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Ho scansionato questo testo (scritto a macchina) con OCR e lo ho controllato scrupolosamente. Le note e le foto sono dello scrivente. Il webmaster
Il 22 febbraio 1300 il papa Bonifacio VIII promulgò la bolla Antiquorum habet fida relatio con la quale istituiva il Giubileo della piena remissione dei peccati, il primo Giubileo della storia cristiana. La bolla aveva valore retroattivo giacché il papa intendeva inserire nell’anno giubilare anche i due mesi precedenti a cominciare dal Natale del 1299. Si disponeva, poi, che l’anno santo si chiudesse nel giorno di Natale del 1300. Bolla "Antiquorum habet fida relatio" di Bonifacio VIII con la quale veniva indetto il primo GiubileoLa lettera apostolica munita di bolle appese a fili di seta, fu dichiarata in San Pietro dopo che il pontefice ebbe tenuto un discorso alla folla dall’alto dell’ambone ornato più sontuosamente del solito di drappi d’oro e di seta. Poi fu deposta, quale magnifico dono, sull’altare di San Pietro. Il papa volle che, contrariamente alla consuetudine di datare le sue solenni missive da San Giovanni in Laterano, questa volta la bolla avesse l’annotazione data in S. Pietro. La retroattività della bolla papale si era resa necessaria per il ritardo con cui la disposizione apostolica era arrivata rispetto a quanto il popolo cristiano di Roma, rinforzato dai pellegrini forestieri, aveva già deciso per proprio conto. Si può ben dire che questo primo Giubileo, più che dal papa, sia stato deciso dal comune sentire a cui solo il 22 febbraio 1300 il papa diede adeguata sanzione. Dobbiamo la conoscenza degli avvenimenti di questo primo Giubileo al card. Iacopo Gaetani Stefaneschi, di ben altra famiglia, nonostante le somiglianze onomastiche, da quella dei Caetani a cui apparteneva il papa. La narrazione puntuale degli avvenimenti è contenuta nella sua preziosa relazione Libro del centesimo anno giubilare ultimamente ripropostoci in occasione del Giubileo nel bel volume di Arsenio Frugoni Pellegrini a Roma nel 1300 - Cronache del primo Giubileo.
Ogni anno il 28 e il 29 agosto si rinnova a L'Aquila il rito di indulgenza concesso da Celestino V nel 1294. Tra le novità di quest'anno, l'anticipazione dell'inizio dell'evento al 16 agosto in concomitanza con la Fiaccolata del Perdono all'eremo di Sant'Onofrio a Sulmona.'S’era andata diffondendo, scrive il card. Stefaneschi, una voce che riguardava l’anno santo, di cui allora si attendeva l’inizio ormai imminente con il numero di 1300. Tale voce, incerta com’era e priva quasi di un’apparente attendibilità, era pervenuta al romano Pontefice; essa divulgava una promessa: chi si fosse recato a Roma nella basilica di S. Pietro, Principe degli apostoli, avrebbe ottenuto la pienissima remissione di tutti i peccati. Il buon padre, quindi, decretò che si ricercasero riscontri negli antichi libri. Ma da essi nulla venne in piena luce di quanto si cercava, forse per la negligenza dei padri, se fosse lecito intaccarne la fama; oppure perché quei libri erano andati perduti in seguito a scismi e guerre delle cui tempeste molto spesso Roma fu travagliata - ed è un motivo di pianto e non di meraviglia -, oppure perché era frutto più di fantasia che di verità. Intanto spunta l’anno secolare mentre nel Patriarchio lateranese sedeva il medesimo presule'. (Immagine del Patriarchio)
Possiamo riassumere così: l’anno santo del 1300 era inteso dal popolo cristiano come cosa certa e stabilita, avallata da antiche consuetudini, ma di tutto ciò nelle alte sfere della scienza, della politica e delle decisioni, nulla si sapeva.
“La meraviglia è questa, prosegue lo Stefaneschi: per tutta la durata del primo gennaio rimase nascosto il segreto della nuova remissione; ma al declinare del sole, verso sera, fìn quasi al silenzio profondo della mezzanotte, i Romani ne vennero a conoscenza: ed ecco il loro accorrere in folla alla sacra basilica di S. Pietro. Si ammassavano accalcati presso l’altare, ostacolandosi a vicenda così che a stento era possibile avvicinarsi, come se pensassero che in quella giornata, che tra poco sarebbe finita, dovesse terminare con essa la concessione della grazia, almeno di quella maggiore”.
Lo Stefaneschi nota che non era affatto chiaro chi o che cosa avesse dato impulso a tutto questo intenso e tenace scorrere di folla, se qualche sermone particolarmente infiammato tenuto in basilica in occasione del Capodanno, o qualche segno del cielo, o la volontà divina misteriosamente comunicata. Insomma, la folla s’impadronì di San Pietro, e dopo qualche mese da quel 1° gennaio 1300, non dava alcun segno di stanchezza. Anzi, prosegue lo Stefaneschi
“Con questi inizi incominciò di giorno in giorno ad accrescersi la fede e la frequenza di cittadini e forestieri: alcuni di loro asserivano che nel primo giorno dell’anno secolare si cancellasse la macchia d’ogni colpa, mentre negli altri pensavano si lucrasse l’indulgenza di cento anni. E così per la durata di circa due mesi conservavano l’una e l’altra speranza insieme col dubbio, e molti accorrevano numerosi, e in turbe più compatte del solito nel giorno in cui veniva esposta l’effigie venerabile al mondo intero, detta volgarmente il Sudario ovvero la Veronica”.
La sicurezza di fede s’aggrovigliava con il dubbio; non si sapeva di preciso di che indulgenza si trattasse, se plenaria o parziale; s’attendeva un qualche chiarimento, ma le mura leonine e il portone di bronzo rimanevano irrimediabilmente serrati. Così per due mesi. Il papa, tuttavia, non era inerte. Dall’alto del suo palazzo apostolico guardava la folla e la cosa gli piaceva. Deluso dalle indagini fatte negli archivi, volle interrogare la tradizione orale. Spuntarono dei testimoni. Uno disse che suo padre, cento anni prima, per guadagnare l’indulgenza aveva dimorato a Roma fino a consumare tutti i suoi magri risparmi. Aveva poi raccomandato al figlio che
se fosse arrivato al venturo anno secolare, il che egli non riteneva possibile, si recasse a Roma senza lasciarsi vincere in nessun modo dalla pigrizia.
Chiusura del Giubileo del 2000 a Roma.Altri testimoni vennero scovati addirittura in Gallia nella diocesi di Beauvais, alcuni di essi erano di origine italiana. Nonostante il papa, in apertura della bolla avesse dichiarato con sicurezza e solennità Antiquorum habet fida relatio…., di questa relatio antiquorum, nessuno sapeva, e tuttora nulla si sa: invano si cercherebbe negli archivi ecclesiastici e civili un riscontro oggettivo a tali affermazioni. Nella Chiesa fino all’anno 1300 una tradizione di indulgenza plenaria legata allo scadere dell’anno secolare non è mai esistita. Resta da notare, tuttavia, che il termine Giubileo non era sconosciuto. I Canones Hiberniae, con evidente riferimento alla prassi ebraica, chiamano ‘Giubileo’ un periodo di cinquant’anni dopo il quale un campo, anche senza i rituali contratti sottoscritti, apparteneva di diritto a colui che lo occupava. In altri casi, sempre con evidente riferimento al giubileo ebraico inteso come anno di remissione, il Giubileo indicava la remissione parziale della pena del purgatorio che la chiesa concedeva attingendo all’infinito tesoro dei meriti di Gesù Cristo, della Vergine Maria e dei Santi. In tal modo, l’indulgenza plenaria concessa da Urbano II nel Concilio di Clermont nel 1095 a chi combattesse i Saraceni per liberare la Terra Santa, era chiamata Giubileo. Similmente anche la crociata contro gli Albigesi, nella prima metà del ‘200, era chiamata ‘Giubileo’, per le indulgenze connesse. A tal proposito così un anonimo poeta si esprime
Anni favor iubilaei/ Poenarum taxat debitum/ Post peccatorum vomitum/ et cessandi propositum II favore dell’anno giubilare / Condona il debito delle pene / dopo il rigetto dei peccati / e il proposito di non più commetterli.
Il primo Giubileo della Storia nel Corteo storico di Monza.Comunque sia, il popolo cristiano all’idea di un Giubileo, benché ancora malamente identificata, era avvezzo, come del resto era avvezzo all’idea dell’indulgenza plenaria, anche se la Chiesa la riteneva un provvedimento del tutto eccezionale. Oltre alle Crociate, che per ragioni evidenti conferivano la grazia dell’indulgenza plenaria a un numero necessariamente ridotto di cristiani, c’erano due indulgenze plenarie di nuovo conio, ambedue istituite nella seconda metà del secolo XIII, il Perdono d’Assisi legata alla chiesetta della Porziuncola cara a San Francesco, e la Perdonanza aquilana istituita dall’immediato predecessore di Bonifacio VIII sul soglio pontifìcio, quel Pietro Celestino da Morrone, papa con nome di Celestino V. Tuttavia sia l’una che l’altra riscuotevano scarso successo. Alla Porziuncola, agli inizi del sec. XIV, un frate rifletteva sconsolatamente che, morto l’attuale gruppetto di tenaci devoti, dell’indulgenza della Porziuncola si sarebbe persa ogni memoria. Quanto alla Perdonanza, essa si manteneva nell’ambito strettamente locale. La bolla papale venne a dar consistenza giuridica e dogmatica a questa prassi fortemente richiesta dallo spirito del cristiano e già fortemente consolidata in un immaginario collettivo ancorato a fatti e ascendenti tanto più tenacemente supposti e affermati quanto più storicamente evanescenti. E’ appena il caso di sottolineare che la bolla papale, sottendendo la profonda verità della esigenza spirituale del popolo cristiano, intendeva percorrere tempi lunghi guardando più al futuro che al presente. Non esitava, quindi, a progettare per i prossimi cento anni, e poi per altri cento scandendo il tempo futuro di perdono in perdono fin quando la Porta Santa per eccellenza, quella le cui chiavi sono custodite da San Pietro, si aprirà definitivamente alla fine dei tempi su una umanità finalmente e totalmente redenta. È inutile cercare nella bolla papale contenuti e suggestioni che non possono appartenerle. Il linguaggio è quello della Curia e la sua visione dell’indulgenza non eccede i confini giuridici del dare e dell’avere in una cornice di pura giustizia commutativa: il pellegrino proveniente da città e regioni fuori Roma deve visitare per quindici giorni consecutivi le basiliche di San Pietro e quella di San Paolo; per i romani le visite devono essere trenta da effettuare in altrettanti giorni consecutivi. Senza visite, niente indulgenza. Alla fine del periodo giubilare, tuttavia, con apposito decreto Ad honorem Dei il papa concedeva il beneficio dell’indulgenza giubilare ai pellegrini arrivati all’ultimo momento impossibilitati per cause non volontarie ad esaurire tutte le visite prescritte. Uguale benefìcio era concesso ai pellegrini morti durante le visite e a quelli che, messisi in viaggio, senza loro colpa non erano mai giunti a Roma per causa di malattia o della “tristitia temporum”. La tomba di Bonifacio VIII nelle Grotte Vaticane.Tutta questa magnanimità non fece dimenticare al papa Bonifacio VIII di essere un uomo del suo tempo, tenacemente condizionato da legami e interessi, da politiche e progetti. Nello stesso giorno in cui indiceva il grande giubileo, il 22 febbraio 1300 Bonifacio VIII, dall’alto del suo soglio, emanò un’altra bolla ugualmente solenne, ma di ben altro tono. Con essa sbarrava le porte del Giubileo a tutti quelli che intrattenevano rapporti con i Turchi per motivo di alleanza politica e militare, o per ragioni di commercio. Dal Giubileo erano esclusi alcuni non identificati inimici Ecclesiae, e i membri della famiglia dei Colonna. Era il rovescio della medaglia. Non si sa fino a che punto il papa considerasse i Colonna inimici Ecclesiae, anche perché fino a quel momento nessuno di loro si era ancora legato al re di Francia, Filippo il Bello, la bestia nera di Bonifacio VIII. In effetti la lite non aveva niente a che fare con la grande politica internazionale e fino a quel momento si era mantenuta entro i limiti di un normale conflitto di interesse tra famiglie potenti. La lite, quindi, di per sé non attingeva né la persona del papa, né la sua sovranità, né gli interessi della Chiesa universale. Da cardinale papa Caetani, come spesso allora accadeva nelle alte sfere della Chiesa, aveva favorito la sua famiglia che aveva il suo punto di forza nel grande feudo centrato sulla cittadina di Anagni. Limitrofo era il feudo altrettanto importante dei Colonna che aveva il suo centro nella vicina Palestrina. Una volta papa, la sua tensione nepotistica non aveva conosciuto più freni. Il malumore sordo e sotterraneo esplose il 3 maggio 1297 quando un corriere papale, carico di monete d’oro, fu assalito e depredato in circostanze sospette. Fu facile per il papa appurare come si erano svolti i fatti. I Colonna furono costretti a restituire il mal tolto, ma si rifiutarono di consegnare gli autori materiali dell’assalto. Tanto bastò perché Bonifacio pensasse di risolvere con le spicce e definitivamente la questione. I Colonna furono condannati per ribellione e tradimento ed espropriati dei beni di famiglia. I due cardinali della famiglia Colonna, Pietro e Giacomo, benché avessero avuto buoni rapporti con Bonifacio e nel Conclave gli avessero dato voto favorevole, furono deposti dall’incarico cardinalizio. I due cardinali si diedero da fare per allargare il malcontento e destare ad una inimicizia attiva quanti erano oppressi da rancori e offese. Trovarono facile esca negli ambienti dell’ordine celestino e tra gli spirituali francescani secondo cui l’abdicazione di Celestino V da papa era stata estorta da Bonifacio e quindi non valida. Era opinione fra costoro che il papato di Bonifacio fosse del tutto illegittimo e usurpato. Anche il Giubileo, fra costoro, divenne ben presto oggetto di disquisizioni non proprio benevole e di battute pungenti. Dai libri di storia sappiamo come si è conclusa la vicenda. Qui basti sottolineare la facile considerazione che anche il Giubileo, un avvenimento importante, fortemente voluto dalla vox populi, in questo caso autentica vox Dei, che ha trovato nel papa un momento di particolare illuminazione lungimirante, ottimista, misericordiosa, si sia compiuto pur tuttavia nella fragile condizione umana mai sazia di sorprendere se stessa, nel bene e nel male, o, come nell’episodio surriferito, nel bene e nel male contemporaneamente. In tutti i casi il popolo di Dio era troppo occupato a salvarsi l’anima per perder tempo dietro le beghe di potere di cui era, peraltro, perfettamente ignaro e accorreva sempre più numeroso a Roma. L’accoglienza era buona, i locandieri ospitali. Dopo qualche mese le derrate alimentari cominciarono a scarseggiare e ci fu qualche malumore. Lo Stefaneschi ci fa sapere che la crisi fu breve e che il raccolto dai campi fu straordinariamente abbondante, tale che non si vedeva da molti anni. Verso maggio le cibarie tornarono sufficienti e il primo Giubileo della storia cristiana proseguì in santità e gioia come era cominciato. Il giubileo e l’indulgenza plenaria Passarono 43 anni da quel fatidico 22 febbraio 1300. Nel frattempo i papi con la curia si erano trasferiti ad Avignone, sotto la tutela del Re di Francia. Lo Stato Pontificio languiva abbandonato a se stesso. Roma immiserita e derelitta sopravviveva al ricordo della grandezza perduta. Sedeva in quel momento sul soglio pontificio Clemente VI, un papa che molti non stimano e non ricordano volentieri. Tuttavia la sua bolla Unigenitus Dei Filius del 27 gennaio 1343 mostrò al mondo cristiano che il Giubileo era un’autentica grazia di Dio da conoscere, da liberare da sovrastrutture terrene, da vivere con fede. La bolla, per la prima volta nella storia della Chiesa, delineava la dottrina delle indulgenze nella sua completezza. Risolveva, quindi, molte questioni che agitavano già da allora i teologi. Tracciava con grande chiarezza il rapporto fra indulgenza e il tesoro della Chiesa costituito dagli infiniti meriti di Cristo, della Madonna e dei Santi. Con altrettanta chiarezza esponeva il nesso tra l’indulgenza, ossia remissione della pena temporale dovuta ai peccati già confessati e perdonati da Dio per mezzo del ministero della Chiesa, e il pentimento per i peccati commessi unito alla richiesta di perdono nel sacramento della confessione. A conti fatti il Giubileo veniva visto ancora in una prospettiva di giustizia commutativa per cui ad ogni peccato si deve una pena, che però la clemenza del Signore, amministrata dal potere delle chiavi, poteva, a certe condizioni, diminuire o abolire del tutto. Tuttavia Clemente VI pose le basi perché il Giubileo si proponesse, nel prosieguo della sua storia, per quello che effettivamente era: una realtà che non si limita con l’indulgenza a sistemare il disordine provocando l’intervento clemente di Dio per il male già passato, ma una realtà dotata di fortissimo dinamismo interno capace di provocare un nuovo modo di pensare, di guardare lontano, di progettare il futuro, e, in pari tempo dotato di grande carica profetica atta a rappresentare quel ritorno alla casa del Padre, a cui tutti tendiamo e in cui, come il Figliol Prodigo, già d vediamo circondati di festa, rivestiti degli abiti più belli e ricondotti alla nostra propria dignità di uomini e di figli. A tale percorso mi pare che conducano alcune decisioni e motivazioni contenute nella bolla Unigenitus Dei Filius. Il papa stabiliva che il giubileo si dovesse celebrare, non più allo scadere dell’anno secolare, ma ogni 50 anni. Stabiliva quindi che il prossimo giubileo si dovesse celebrare nel 1350. I motivi più importanti erano due: il primo, del tutto ovvio, era che ben diffìcilmente un cristiano nato nei primi anni del secolo poteva sperare di percorrere indenne i quasi cento anni che lo separavano dal prossimo giubileo. L’altro era che la legge mosaica stabiliva il giubileo ogni 50 anni. Il riferimento alla legge mosaica era, raffrontate le caratteristiche del giubileo cristiano di Bonifacio VIII con quelle del giubileo ebraico, del tutto fuori posto. Tanto bastò, tuttavia, perché i teologi e il popolo cristiano cominciassero a pensare al giubileo in termini più complessi. Frequenza del giubileo Gli intervalli tra un giubileo e l’altro spesso furono variati con diverse motivazioni. In tutti i casi, la brevità della vita restò il criterio fondamentale. Il papa Urbano VI, tornato a Roma, con la bolla Salvator noster Unigenitus dell’ 8 aprile 1389, stabilì il giubileo ogni 33 anni in memoria della Redenzione operata con la sua morte da Cristo nel trentatreesimo anno della sua vita terrena. Niccolo V con la bolla Immensa et innumerabilia del 19 gennaio 1449 ripristinò l’intervallo di 50 anni. Finalmente Paolo II con la bolla Ineffabilis Providentia del 19 aprile 1470 decise l’accorciamento dell’intervallo a 25 anni con l’esplìcita motivazione della brevità della vita. Anche il papa Giulio III, preparando il giubileo del 1550, fu costretto a rilevare come l’età media non arrivasse ai cinquanta anni e che, quindi, l’intervallo di 25 anni fra un giubileo e l’altro era più che giustificato. Le basiliche giubilari La Basilica giubilare di santa Maria Maggiore a Roma.Le basiliche da visitare erano originariamente quella di San Pietro e quella di San Paolo. Clemente VI, nel 1343, con la citata bolla Unigenitus Dei Filius, decise di inserire nel percorso giubilare anche la basilica del SS. Salvatore, chiamata anche di San Giovanni in Laterano. In quella chiesa, infatti, il beato papa Silvestre, che aveva ricevuto al battesimo l’imperatore Costantino, dopo averla consacrata, vide apparire l’immagine del Salvatore. Questa immagine misteriosamente dipinta il papa vuole che sia onorata in modo particolare in ogni giubileo come le tombe degli apostoli. Trent’anni dopo il papa Gregorio XI da Avignone con la bolla Salvator noster Dominus del 29 aprile 1373 stabilì che anche la basilica di Santa Maria Maggiore dovesse far parte del percorso giubilare romano. Infatti, diceva, la storia di questa basilica esprime una singolare benevolenza della Vergine Madre di Dio per il popolo romano, il quale in questa chiesa viene arricchito di grandi favori e miracoli. Il giubileo voleva mettere a disposizione di tutti la misericordia di Dio. Con grande senso di realismo, tuttavia, fu stabilito che le opere giubilari comportassero notevole fatica, insieme a rilevanti sacrifici personali, soprattutto finanziari. Le visite da compiere alle quattro basiliche erano, per gli abitanti di Roma, ben trenta, distribuite in trenta giorni consecutivi o anche intervallati. Ai forestieri si chiedeva che visitassero tutte e quattro le basiliche almeno per quindici volte in quindici giorni diversi, consecutivi, o intervallati. Se si ha idea della distanza fra le quattro basiliche, si può capire quanta fatica ci volesse. Si aggiunga, poi, che, mentre i romani potevano distribuirsi con comodo le loro visite nel corso dell’intero anno, i forestieri, al contrario, dovevano affrettare i tempi al minimo indispensabile. Questo stato di cose durò, sostanzialmente immutato, attraverso il tardo medioevo e l’epoca moderna, fìno alle soglie dell’epoca contemporanea. Pio XI con la bolla Infinita Dei misericordia del 29 maggio 1924 stabilì che i cittadini romani e i forestieri risiedenti a Roma dovevano visitare le basiliche semel saltem in die, per viginti continuos aut interpolatos dies, almeno una volta al giorno per venti giorni continui o intervallati. Ai pellegrini provenienti da fuori Roma si richiedevano solo dieci visite in dieci giorni differenti. Il card. Stefaneschi ricorda che la permanenza a Roma per esaurire la lunga teoria delle visite alle basiliche era vissuta, fin dal primo giubileo, con grande disagio; ma tutte le richieste di riduzione non ebbero esito positivo. Il giubileo e gli albergatori romani Si può facilmente immaginare quanto fossero grandi i problemi dell’approvvigionamento degli alimenti e dell’acqua, dell’igiene pubblica e personale, del deflusso dei pellegrini, dell’alloggio per le cavalcature, delle locande e delle osterie.
Dentro e fuori le mura della città, racconta il card. Stefaneschi, si ammassava una fitta moltitudine, sempre più, quanto più passavano i giorni e molti restavano schiacciati nella calca. Fu allora adottato un rimedio salutare, anche se non radicalmente sufficiente, aprendo nelle mura una seconda porta per fornire ai pellegrini una via accorciata.
Giovanni Villani ricorda che la città di Roma
Al continuo in tutto l’anno durante aveva in Roma oltre al popolo romano duecentomila pellegrini, senza quelli che erano per li cammini andando e tornando.
Anche le venerande basiliche e le altre chiese romane, invase da una umanità entusiasta, ma anche vociante, stanca, sporca, spesso dall’atteggiamento disinvolto, si trasformavano con facilità in qualcosa di molto poco sacro. Qualcosa si capisce dalla lettura delle bolle di preparazione o di indizione. Il 19 febbraio 1749 il papa Benedetto XIV con la lettera enciclica Annus qui indirizzata ai vescovi dello Stato della Chiesa, dispose che il prossimo anno santo fosse preparato con gran cura. Oltre alle missioni popolari, si disponeva che i vescovi curassero la pulizia e il decoro delle chiese, insieme alle celebrazioni liturgiche, soprattutto la musica e il canto sacro. Disponeva parimentì che
le strade di tutto il nostro Stato fossero per comodità di coloro che arrivavano la lontano, preparate e spianate.
Le preoccupazioni dei papi precedenti, erano più terrestri. Quasi tutti fanno precedere la bolla di indizione del giubileo da disposizioni sugli affìtti e gli sfratti nella zona di Roma. Regolarmente accadeva che qualche anno prima del giubileo i proprietari sfrattavano gli inquillini o li costringevano ad andarsene alzando i prezzi in modo poco cristiano. Per molta gente il giubileo era tutt’altro che un anno di grazia. Matteo Villani ricorda che già nel 1350 i romani tutti eran fatti albergatori. I pellegrini forestieri, in tutti i casi, cercavano di organizzarsi. Molti usufruivano della ospitalità delle cosiddette Scolae peregrinorum, alloggi condotti da ordini religiosi preparati per i pellegrini delle varie nazionalità e lingue. Così c’era la Schola tedesca, quella francese ecc. Molti pellegrini, poi, si organizzavano per proprio conto. Arrivavano a Roma con muli e asini carichi di cibarie e di ogni ben di Dio, per sfuggire alle esosissime richieste degli osti romani. Finivano, tuttavia, per incappare nelle richieste altrettanto esose dei conduttori delle pubbliche taverne che si facevano pagare a peso d’oro il fieno per le cavalcature. E i romani, dice Giovanni Villani, per le loro derrate, furon tutti ricchi. Il giubileo e i soldi Fra il giubileo e i soldi, quindi, fin dall’inizio si stabilì un rapporto privilegiato. Il papa Bonifacio IX con lettera Dudum felicis recordationis dell’11 giugno 1390, indirizzata a Bartolomeo card. del titolo di San Martino ai Monti, dopo aver confermato il giubileo per il corrente anno, concede a 300 abitanti di Genova, scelti secondo il prudente giudizio del vescovo, il privilegio di poter commutare il pellegrinaggio a Roma con visite alle chiese della città, secondo le disposizioni dei confessori. La grazia veniva concessa in considerazione dei pericoli del viaggio e altri disagi. Il papa raccomandava, inoltre, che le persone beneficiarie della commutazione trasmettessero fedelmente e senza indugio le offerte che avrebbero portato alle predette basiliche romane se ci fossero andati di persona At oblationes, quas ad basilicas et ecclesias praedictas oblaturi fuissent si ad illas personaliter accessissent, ad easdem basilicas et ecclesias fideliter et sine dilatione transmittant. Alessandro VI in occasione del giubileo del 1500 esortava i pellegrini a contribuire alla ricostruzione di San Pietro depositando le offerte nelle apposite casse. Molto lodevolmente il papa Bonifacio VIII aveva stabilito che le offerte dei pellegrini del giubileo fossero utilizzate per potenziare il patrimonio fondiario delle basiliche giubilari in modo da renderle autosuffìcienti almeno per le spese di restauro e manutenzione. Questa però era una storia interna dell’amministrazione ecclesiastica. Fuori circolavano altre voci e fiorivano leggende metropolitane. Il mercante astigiano Guglielmo Ventura narra con gusto come durante tutto l’anno giubilare del 1300 Giorno e notte due chierici stavano presso l’altare di S. Paolo, tenendo nella mani rastrelli con cui rastrellavano il denaro infinito. I francescani spirituali ricordavano che anche San Francesco, nel 1205, ancora figlio di belle speranze di un mercante ricco, aveva svuotato tutta la sua borsa sul sepolcro dell’Apostolo Pietro. Lo scroscio argentino sull’antica lapide svegliò l’ammirazione dei pellegrini. Scopertosi al centro dell’attenzione, Francesco si vergognò come un ladro e, uscito di basilica, scambiò i suoi vestiti con un mendicante. Terminò il pellegrinaggio vivendo di elemosine. I soldi del giubileo impressionavano fìn da allora, ed era un argomento sempre fresco. Di quelli raccolti nel giubileo del 1300 si parlò a lungo. Un tardo cronista riferì di un incasso complessivo di diciassette milioni di fiorini. Della diceria s’impadronì il Re di Francia Filippo il Bello il quale nel 1310 imbastì un goffo e blasfemo processo alla memoria di Bonifacio VIII accusandolo, tra l’altro, di aver progettato il giubileo come un affare per raunar denari e tesoro. Calcoli fatti sulla scorta di cronisti più attendibili parlano di una somma complessiva di mezzo milione di fiorini, che fa comunque una bellissima somma. La diceria restò appiccicata addosso al giubileo come un peccato d’origine, soprattutto negli ambienti non cattolici, tanto che il 1 gennaio 1751 papa Lambertini, Benedetto XIV, nella sua bolla Celebrationem magni, facendo il bilancio morale dell’anno giubilare appena trascorso, dopo aver parlato dello spettacolo edificante della folla devota, dei grandi della Chiesa chini a servire i poveri, della grande disponibilità di tutti per rendere meno disagevole la permanenza dei pellegrini, così conclude
Le quali cose, essendosi realizzate davanti a quasi tutto il mondo cattolico, certamente obbligheranno al silenzio quegli uomini tanto sfacciati che, estranei come sono a ogni legame con la chiesa, hanno il coraggio di sostenere calunniosamente che la celebrazione del giubileo in Roma non dev’essere chiamata nient’altro che un mucchio di scandali e invenzione per raccogliere denaro.
Niente di strano, quindi, se anche ai nostri giorni, nell’epoca dell’economia globalizzata, Giuseppe Cassieri, uno scrittore dalla spiccata vena ironica col suo grottesco racconto dal titolo ammiccante I giubilanti proponga una fìnissima parabola del giubileo del 2000 divenuto, con tutto il suo armamentario di luoghi dello spirito, di organizzazione e perfino di preghiera, un frammento indistinto di un mondo oscuro, fatto di computer e di giravolte infinite e sotterranee dove solo gli occhi a mandorla e il giallo dei giapponesi sembrano esser un dato di fatto certo. Hanno acquisito tutta l’area giubilare sud-pontina - rivela il protagonista - In segreto. In blocco. Sacro e profano. I commissari si sono trovati alle prese con un’offerta irrinunciabile. Gestione, diffusione, merchandising, trasporti, restauri, francobolli commemorativi e finanche, conversioni scaglionate. Estensione del giubileo Come si è visto il giubileo crebbe di anno in anno nella sua dimensione rituale e di grande evento sociale, culturale ed economico. Maturò anche in profondità esplicitando quei contenuti spirituali e teologici presenti fìn dalla bolla di Bonifacio VIIIAntiquorum habet fìda relatio. La prima cosa che emerse con grande chiarezza fu che la misericordia di Dio aveva bisogno di campi aperti e di visioni lungimiranti e ottimiste per essere rappresentata. Il pellegrinaggio a Roma e le visite alle basiliche erano certo cose importanti ma non da trasformarsi in recinti aperti solo a pochi privilegiati. Il caso dei fedeli genovesi che non potevano recarsi a Roma, risolto dal papa Bonifacio IX nel 1390, è indicativo di una mentalità di misericordia che via via fu sempre più presente nella chiesa. Fin dai primi giubilei fu oggetto di discussione il caso delle monache di clausura, escluse dalla loro regola dal pellegrinaggio giubilare. Si aggiungevano gli ammalati, i militari, i naviganti, gli eremiti e tutti quelli che per i motivi più vari non potevano partecipare. Fino al 1390, come si è visto, l’indulgenza giubilare era strettamente legata alla città di Roma. Tuttavia già dal primo giubileo, quello del 1300, era stato detto con chiarezza che le condizioni per l’acquisto dell’indulgenza erano prima di tutto un fatto interiore e, anche se le visite alle basiliche romane erano necessarie in condizioni normali, in certe circostanze non erano da ritenersi assolutamente indispensabili. Bonifacio VIII, come si è già visto, concedeva volentieri l’indulgenza plenaria a chi, senza sua colpa non aveva esaurito le visite, a chi moriva durante il pellegrinaggio e persino a chi, iniziato il pellegrinaggio, senza sua colpa, non aveva mai raggiunto Roma. Nel prosieguo della storia la disciplina dell’indulgenza giubilare si è allargata fino a comprendere, come nel giubileo del 2000, le chiese cattedrali e tutti i santuari o semplici chiese che al Vescovo Diocesano sembrano necessarie per il bene dei fedeli. Attraverso la lettura delle bolle di indizione e dei documenti connessi si può seguire tutta la storia del progressivo allargamento. Mi fermerò solo a dare qualche notizia desunta dai documenti emanati dal papa Benedetto XIV per il giubileo del 1750. Con la bolla Benedictus Deus pater misericordiarum del 25 dicembre 1750, il papa mentre chiudeva il giubileo a Roma, lo riapriva in tutto l’universo cristiano stabilendo che la grazia dell’indulgenza propria di Roma fosse estesa a tutte le diocesi del mondo nell’anno 1751. Le chiese da visitare erano le cattedrali e le altre chiese indicate dai vescovi, le condizioni erano in tutto uguali a quelle prescritte per il pellegrinaggio romano: trenta visite in giorni diversi per gli abitanti del luogo, quindici per i forestieri. Nella lettera enciclica Celebrationem magni iubilaei del 1.1.1751 dopo aver tracciato un bilancio più che lusinghiero dell’anno santo appena trascorso, il papa ripercorreva gli episodi più importanti che punteggiavano nella storia l’estensione del giubileo. Oltre al già citato episodio dei fedeli di Genova, il papa ricordava che molti Re, Imperatori e altri personaggi famosi, non potendo, per il ruolo che ricoprivano, lasciare le loro terre, ebbero il privilegio di compiere il giubileo in luoghi vicini. Ricorda i Re Riccardo d’Inghilterra e Giovanni di Portogallo; ricorda poi che il papa Sisto IV concesse simile privilegio al re e alla regina di Castiglia e di Leon e Giulio III il quale permise all’imperatore Carlo V e a suo figlio Filippo di fare il pellegrinaggio nelle chiese di Spagna. Passava poi in rassegna i casi dei vescovi, come San Carlo Borromeo, i quali chiesero ed ottennero dai papi di poter celebrare il giubileo nelle loro chiese dopo che questo si era chiuso a Roma. Benedetto XIV sottolineava che questo privilegio fu dato sempre volentieri dalla sede apostolica ai vescovi che ne fecero richiesta. Il papa si rende conto, tuttavia che non tutti i vescovi sono tempestivi e accorti come San Carlo Borromeo. Perciò conclude
abbiamo ritenuto che fosse meglio estendere con un’unica generale costituzione l’indulgenza del giubileo universale, con gli altri privilegi e favori dalla stessa costituzione indicati, a tutta la chiesa in tutta la sua estensione; perché la possibilità di procurarsi un simile tesoro sia resa comune a tutti coloro che giustamente la desiderano, e per voi, venerabili fratelli, o per i vostri incaricati d’affari a Roma, non vi sia più alcuna preoccupazione per l’invio delle lettere particolari delle quali sopra abbiamo parlato.
Passa poi a parlare di quelli che
per ottenere il giubileo sarebbero volentieri venuti a Roma durante l’anno santo, se la condizione nella quale si trovano, o qualche altro insormontabile ostacolo non avessero loro impedito tale pellegrinaggio; così le monache, le consacrate e le altre vergini e donne che passano la vita nei monasteri e nelle case religiose; come pure gli anacoreti, gli eremiti, gli infermi, i vecchi e quelli che sono tenuti prigionieri o in carcere. A tutti questi, perché non fossero privati dell’esaudimento dei loro pii desideri, fu opportunamente da Noi provveduto con l’altra nostra costituzione sopra citata che comincia con le parole Paterna charitas….
Per tutte queste categorie, fu stabilito che dovessero essere i confessori approvati a decidere le opere sostitutive del pellegrinaggio e le loro modalità. In questa occasione il papa fu tirato, suo malgrado, in una questione tutta ecclesiastica, ma in tipica salsa italiana o, se vogliamo, relativa alla burocrazia sacramentaria: che cosa si dovesse intendere per confessori approvati. Qualche vescovo sosteneva che i confessori dovevano essere approvati dal vescovo nella cui diocesi si trovava il monastero. Altri più ecumenici affermavano che bastasse l’approvazione data dal vescovo nella cui diocesi il confessore era incardinato. Poi c’erano i religiosi che difendevano i loro privilegi: se si trattava di una casa di monache dipendenti da un ordine religioso, l’approvazione richiesta era quella del Superiore religioso, oltre a quella del vescovo diocesano. Poi c’erano i moralisti, i canonisti, i liturgisti di tendenze, diocesi e ordini religiosi diversi, ognuno col suo sistema, i suoi casi e le sue ricette. Insomma, una confusione in cui anche uno studioso solido e accorto come papa Lambertini faceva fatica a districarsi. Si nota da parte del papa un chiaro fastidio, seppur molto sfumato e signorile. Il papa decise che, in occasione del giubileo, bastava un qualsiasi vescovo ad abilitare qualsiasi prete o frate a confessare le monache di qualsivoglia monastero. Più larga di così neppure la misericordia di Dio poteva essere. Il giubileo: indulgenza e conversione Possiamo distinguere la storia dei giubilei in alcuni grandi periodi. Il primo, che arriva fino alla Riforma Protestante, è caratterizzato dal suo carattere indulgenziale in prospettiva fortemente individualistica. Il giubileo viene visto essenzialmente come un mezzo con cui la misericordia di Dio libera il cristiano dalla residua pena del Purgatorio che per giustizia gli è dovuta per i peccati commessi, quand’anche questi fossero stati perdonati in seguito a sincero pentimento e confessione sacramentale. Sappiamo che con questa verità nobilissima ha interferito, nello scorrere del tempo, una incredibile quantità di elementi estranei e di disturbo derivanti dalla commistione fra religione e politica, da interessi personali, da dabbenaggine e da ignoranza. Dell’indulgenza plenaria, per la verità, soprattutto nei sec. XIV e XV si faceva un uso piuttosto intensivo. La regina delle indulgenze restava sempre la crociata contro i Turchi per la liberazione della Terra Santa. Ma ormai, dopo le infelici vicende a tutti note, nessuno aveva seria volontà di imbarcarsi verso l’Oriente. Si preferiva far le Crociate per interposta persona assoldando eserciti, allestendo flotte, sostenendo gli Ordini Cavallereschi, approntando le difese di città e castelli posti in prima linea. Per far tutto questo erano necessari molti soldi. Un nutrito gruppo di predicatori batteva tutta l’Europa, dalla Svezia alla Sicilia, dall’Ungheria alla Spagna, per predicare l’indulgenza a chi col suo contributo finanziario avesse dato una mano alla difesa dell’Europa Cristiana. Anche alcuni eminenti frati minori della nostra Provincia di San Michele Arcangelo furono impegnati in queste missioni. Tra gli altri ricordo fra Antonio da Troia e fra Cecco di San Giovanni Rotondo nominati nel 1444 con apposita lettera apostolica da Eugenio IV nunzi apostolici con l’incarico di predicare l’indulgenza il primo in Danimarca, Sassonia e nelle altre regioni della Germania; l’altro nelle terre di Capitanata, Sannio, Molise e Abruzzo meridionale. Poi ci fu la famosa indulgenza predicata in Germania agli inizi del sec. XVI per finanziare la ricostruzione della chiesa di San Pietro in Roma. Il resto è storia nota. Dalla Riforma Luterana l’indulgenza uscì in grave crisi ma non distrutta. Nel secondo periodo, fin dagli inizi del sec. XVI, il giubileo si rimette in movimento con potente dinamismo proiettato verso il superamento dell’impostazione puramente indulgenziale di tipo individualistico. Il papa Borgia, Alessandro VI, con la bolla Inter curas multiplices, sviluppando il rapporto fra giubileo e indulgenze, sottolinea che è necessario che i fedeli vivano il giubileo come un punto di arrivo come momento rigenerativo dei singoli cristiani, perciò
preparino i fedeli cristiani, dice, i loro cuori al Signore e si sforzino di mutare in meglio i loro costumi, si astengano dalle azioni malvagie, diano soddisfazione al Signore mediante il dolore della penitenza, lo spirito di umiltà….
Quasi con le stesse parole si esprime il papa Clemente VII nel 1525. Viene messa in luce, parimenti, la dimensione ecclesiale del giubileo. Ispirandosi direttamente ai canoni del Concilio Tridentino, il papa Gregorio XIII, nella bolla di indizione del giubileo del 1575 Dominus ac redemptor noster, del 10 maggio 1574, ordina ai vescovi di organizzare la catechesi
per istruire i propri popoli in tutte quelle cose che saranno opportune per la preparazione dell’acquisto della remissione e indulgenza predetta, ravvivando in essi i doveri della pietà e le opere di misericordia.
All’apertura della porta santa, il 24 dicembre del 1574, era presente anche San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. San Carlo Borromeo rimase a lungo nella memoria dei Sommi Pontefici come la figura del perfetto pastore, instancabile nel ministero della parola, tanto che il suo ricordo fu spesso richiamato nelle bolle pontificie relative ai giubilei. In effetti San Carlo si era reso perfettamente conto della enorme capacità trasformativa del giubileo e gli aveva dedicato ben tre anni di catechesi continua: il primo in preparazione del giubileo del 1575, il secondo costituito dallo stesso anno giubilare, e il 1576 in cui si celebrava il giubileo nelle chiese locali e, quindi, anche nella diocesi di Milano. San Carlo veniva ricordato anche per la sollecitudine con cui aveva accolto l’invito del papa Gregorio XIII rivolto ai vescovi di guidare essi stessi i fedeli a Roma. Il pellegrinaggio a Roma, infatti, era da intendere, dicevano le bolle pontificie, anche come un momento di forte unità ecclesiale. I vescovi e i fedeli erano invitati a dare una manifestazione esterna dell’unità della fede e della carità di tutto l’orbe cristiano nella stessa sede del romano pontefice, di colui che garantiva e rappresentava l’unità della Chiesa. Su queste linee essenziali sono stati vissuti i giubilei fino al 1950 quando il papa Pio XII con termini fortemente accorati, di fronte a un mondo devastato dalla guerra e frammentato da ideologie non cristiane, propose il giubileo come grande momento di pacificazione e di unificazione nel nome di Cristo. L’anno 2000, potrebbe essere considerato l’inizio di una ulteriore fase della lunga storia del giubileo: quella che, insieme a una migliore identificazione della funzione indulgenziale, sviluppi il concetto di giubileo come uno dei grandi motori della conversione dei singoli cristiani, dei popoli, e della Chiesa stessa. In questa fase la Chiesa può ritrovare il gusto del pellegrinaggio, dell’andare incontro al Signore che viene nella schiettezza e nella povertà, nell’immediatezza del linguaggio, nella nudità dell’anima, nel silenzio pieno di presenze e nell’adorazione. P. Mario Villani Convento San Matteo 5 febbraio 2000
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