L'Unità del 21.07.2010
Intervista a Piero Bevilacqua
“Sud, green economy e un piano del lavoro per uscire dal guado”
Lo storico meridionalista: i miliardi calati dall’alto sarebbero facile preda della mafia. Sì a tante attività nel territorio, dall’agricoltura al turismo.
Bruno Gravagnuolo“Ci vuole un piano del lavoro di nuovo tipo per il Sud, non l’ennesima erogazione di miliardi per le infrastrutture calati dall’alto, facile preda di mafia e clientele”. Commenta così Piero Bevilacqua - calabrese, 65 anni, storico contemporaneo a Roma - l’ultimo Rapporto Svimez per il Mezzogiorno.
Un report la cui drammaticità lo studioso non sottovaluta affatto, a partire dall’allarmante decrescita del Pil, dalla disoccupazione e dal rischio povertà. E però le idee di Bevilacqua - meridionalista di sinistra e teorico della green economy - sono altre: ambiente, agroalimentare green, risanamento dei centri interni, forestazione.
Con in più una rete di centri universitari di tipo francese mirati su “scienze umane” e territorio. E poi attorno, a venire, le infrastrutture.
Ma soprattutto, “niente riedizioni della Cassa per il Mezzogiorno e niente retorica tremontiana sulla Banca per il Sud”. Tutte proposte che vedranno la luce in gennaio in un libro per Laterza intitolato La grande distruzione e con un capitolo ad hoc: “Un piano del lavoro per la gioventù” . Sentiamo Bevilacqua.
Professore, per Svimez il Sud va sempre più indietro e da 8 anni cresce meno del Nord. Da dove viene la recessione a Mezzogiorno?
"Sono dati che non mi sorprendono, indici di un degrado che si vede già da alcuni anni. Il flusso emigratorio è cresciuto, anche se i giovani vogliono rimanere, magari da disoccupati di lunga durata, in attesa di lavoro.
Però vorrei segnalare che la questione è globale. Il Sud vive nell’economia-mondo, e sconta la crisi mondiale".
Colpa del capitalismo globale?
"Ovvio. La tendenza di fondo è il risparmio di lavoro per incrementare la produzione: è crescita senza lavoro.
Anche prima della crisi, negli Usa cuore del capitalismo il tema dell’occupazione era decisivo, mascherato dal fatto che lì chi lavora una settimana è considerato occupato! E anche lì la gente di colore non cerca lavoro.Nel Sud italiano la deindustrializzazione ha fatto il suo corso: da Taranto, a Priolo, Siracusa e Bagnoli. E il tutto senza lasciare alcuna disseminazione di piccole imprese, come invece al Nord".
Sì, ma ormai la recessione al Sud genera una catastrofe civile, la caduta di ogni standard ...
"Verissimo, ma il punto decisivo è dare ai giovani un reddito, legato a molte cose. A un vero piano del lavoro, connesso al territorio, all’agricoltura, alla green economy, alla forestazione, al recupero dei centri urbani e delle aree interne abbandonate.
Si può cominciare con misure tampone, per affrancare i giovani dalle famiglie, far circolare un po’ di denaro, e alimentare così la domanda".
Non la convince l’idea Svimez di un piano infrastrutturale di 38 miliardi di euro?
"Assolutamente no, è il solito vizio illuministico dei piani calati dall’alto in chiave miracolistica. E con le infrastrutture a fare il miracolo".
D’accordo, ma allora quale deve essere il volano per la nuova economia meridionale?
"Il volano, i volani, devono essere diversi e graduali. L’economia non si inventa, viene da lontano, dalla storia, dalle radici e dal saper fare".
Che economia immagina al Sud?
"Tante economie del territorio: allevamento, prodotti agricoli di qualità, turismo di qualità, palazzi storici da recuperare, anche alla ricerca e allo studio. Il punto resta la qualità, ovunque. Si può creare un’agricoltura altra, e non solo industriale. E poi le piccole opere, le città, i borghi ..."
Ci vogliono soldi da distribuire. Come non sprecarli ancora?
"Si possono immaginare tante cose innovative. Ad esempio una consulta di studiosi, manager, scienziati dell’ambiente, storici e meridionalisti, che possa monitorare gli interventi, dentro un progetto coordinato.
Penso a un'alleanza tra cultura, politica e legalità sul territorio. Ma innanzitutto va combattuta tutta la cultura liberista di questi anni, che ha finito con il potenziare il cinismo della libera iniziativa illegale e mafiosa, vero modello distruttivo per i giovani".
Esperienze da seguire a riguardo?
"Sì il centro-nord, con la sua cultura del territorio, le sue tradizioni. La sua cultura civica, che è il vero involucro dell’economia. La quale non nasce mai dal nulla. Eccolo il modello da cui far ripartire una rinascita del Mezzogiorno. È alle regioni appenniniche che dobbiamo guardare.
E poi, me lo lasci dire, Gramsci ha fatto nascere gran parte della sua riflessione culturale dal Sud e dall’intreccio di Sud, nord ed economia-mondo di allora. Questi, e intendo la sinistra, sembra abbiano dimenticato davvero tutto ...".
Domanda tutta politica: che giudizio dà dell’anomalia Vendola, in Puglia e magari più in grande?
"Buon giudizio. Guardo a Vendola con speranza e simpatia. Gli ho anche mandato il mio libro. Ha bisogno di crescere, di calcio minerale per fortificarsi e forse di visione strategica un po’ più ampia ..."
Un meridionale su tre è a rischio povertà
Il Pil del Mezzogiorno torna a 10 anni fa. L’effetto della crisi è dirompente. La disoccupazione aumenta, molti si rassegnano.
Redditi delle famiglie sempre più in sofferenza. Fassina (Pd): la politica è assente.
Di Bianca Di GiovanniÈ la fotografia di una terra desolata, quella fornita quest’anno dal rapporto Svimez sul Mezzogiorno.
La crisi globale si abbatte su un microcosmo già disperato: e la disperazione aumenta. I segnali sono quelli della povertà assoluta: c’è chi non può pagarsi il medico (una famiglia su cinque), chi non ha i soldi per il riscaldamento (la stessa quota), chi non ce la fa ad acquistare un abito nuovo (30%), chi paga in ritardo le bollette (16,7%). Si riducono gli acquisti su tutto, perfino sul cibo: 8 famiglie su 100 hanno rinunciato agli alimentari nel 2009. Quasi una famiglia su due non ha potuto sostenere una spesa imprevista di 750 euro. Sono quasi 7milioni le persone a rischio povertà, un meridionale su tre, contro uno su dieci a Nord. Tra questi non mancano i lavoratori stabili (889mila dipendenti) e pensionati (760mila).
Famiglie
Ma i bilanci familiari restano ai minimi, in nuclei molto spesso (47%) monoreddito. Le donne restano a casa e non cercano neanche più lavoro «anche per fattori culturali», osserva il rapporto. Nel 12% dei casi un lavoratore ha a carico tre o più familiari, un dato quattro volte superiore a quello del Centro-Nord.
Di fronte a queste rilevazioni fanno impallidire tutti gli slogan sulle gabbie salariali che spesso si diffondono nel ring della politica. Il Sud affondain una disoccupazione endemica.
Il 36%dei giovanissimi è senza lavoro.
Cresce anche il numero dei disoccupati di lunga durata. Molti giovani laureati, vera linfa vitale dei sistemi economici, hanno ripreso a partire prevalentemente verso il Nord Italia. In un ventennio sono emigrati verso regioni più ricche 2 milioni e 385mila persone. Oggi, se si somma il tasso di disoccupazione a quella zona grigia che non cerca più lavoro ma che si dichiara disponibile a lavorare, il tasso arriva al 24%: un meridionale su 4. Prospettive nerissime, che si aggiungono alle ultime stime del Cnel, che per l’anno in corso prevedono in tutta Italia 350mila posti di lavoro a rischio, con possibili peggioramenti fino a 420mila.
Recessione
La recessione è profonda. Da otto anni il Sud cresce meno del centronord: segno inequivocabile della frenata italiana. Il Pil nell’anno della crisi è tornato ai livelli di 10 anni fa, con un impatto su tutti i settori. Il calo del 2009 è stato del 4,5%, un valore molto più negativo del -1,5% del 2008, ma inferiore al -5,2 dell’Italia centrosettentrionale, esposta maggiormente alla crisi mondiale.
In ogni caso la ricchezza pro capite resta quasi la metà di quella del resto d’Italia. Anche l’agricoltura è stata colpita dalla crisi, con un arretramento del 5%, contro il -1,9% del resto del Paese. A fare le spesemaggiori della crisi, l’industria, con il crollo del valore aggiunto industriale del 15,8%, mentre la produzione manifatturiera ha segnato un calo del 16,6%. In questa situazione, denuncia Svimez, l’industria del sud è a rischio estinzione. Dal 2008 al 2009 l’industria manifatturiera del sud ha perso oltre 100mila posti di lavoro, di cui 61mila lo scorso anno.
In questo modo il gap dell’industria meridionale rispetto al resto d’Italia e rispetto all’Europa è ulteriormente aumentato.
Cosa mancaCosa manca davvero per recuperare terreno? Il rapporto Svimez individua due cause principali dell’andamento recessivo. Investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Queste ultime infatti hanno ridotto la spesa del 2,6%, contro l’1,6% del Centro-Nord.
Mentre gli investimenti industriali sono crollati del 9,6% nel 2009, dopo la flessione (- 3,7%) del 2008.
Per questo Svimez propone l’avvio di un ampio piano di investimenti per invertire la rotta. Ma sta in questo dato tutto il segno del ritardo della politica vero il Meridione. Stefano Fassina, del Pd, denuncia «la completa assenza di una strategia riformista per aggredire i nodi che da decenni soffocano le potenzialità del Mezzogiorno». Questo fatto, aggiunge il responsabile economico, "ha portato il governo a saccheggiare, anche con la manovra ora alla Camera, le risorse dedicate agli investimenti nel Mezzogiorno e a spostarle a spesa corrente e ad irresponsabili sprechi elettorali. Il Sud non è un problema territoriale, è l'espressione acuta dei fondamentali problemi dell'Italia".
Fonte: www.svimez.it
Napolitano: “Non può esserci ripresa senza il Sud”
Può venire proprio dal Mezzogiorno, la parte più in sofferenza del Paese, il “complessivo rilancio dell’economia italiana” perché c’è un “legame inscindibile tra sviluppo e Sud”. Lo ha ribadito il presidente della Repubblica.
Di Marcella CiarnelliLe politiche del passato si sono rivelate “insufficienti”, tanto più in presenza di “significative inefficienze” che “rendono necessario un ripensamento e possono anche spingere ad una profonda modifica delle modalità e dello stesso impianto strategico degli interventi di sviluppo”.
Il presidente della Repubblica, nel messaggio inviato in occasione della presentazione del Rapporto Svimez 2010, una radiografia amara e drammatica di una parte rilevante del Paese, non ha mancato di segnalare ancora una volta le insufficienze e le inefficienze, ma ha ancora una volta ribadito il suo profondo convincimento, un “fatto” lui lo definisce, che proprio “il Mezzogiorno può contribuire, attraverso la piena messa a frutto delle sue risorse, alla ripresa di un più sostenuto e stabile processo di crescita dell’economia e della società italiana fondato anche su una strategia di leale e convinta collaborazione tra Regioni e Stato”.
Quel Mezzogiorno alla cui classe dirigente il presidente non ha mai mancato di far sentire il suo sostegno ma che ha anche invitato all’autocritica ma non a rallentare il cammino perché “lo sconforto” è un lusso che nessuno si può permettere.
Crisi e priorità
Sviluppo del Sud eguale complessivo rilancio dell’economia italiana.
Un’equazione di cui Napolitano è più che mai convinto. Puntare sul Mezzogiorno così come sui giovani.
È un imperativo del presidente. Ripetuto anche nell’occasione della presentazione di un Rapporto che ha messo in evidenza la drammaticità di una situazione perché «la crisi che ha colpito tutte le aree del paese non ha risparmiato le situazioni già di profonda difficoltà del Mezzogiorno che rischiano di risultarne aggravate anche in prospettiva». Ora «prioritario » è l’obbiettivo di «ridurre gli effetti della crisi finanziaria nel breve periodo ma in presenza di un ineludibile vincolo di contenimento del disavanzo pubblico si è operato uno spostamento di risorse di cui hanno sofferto le politiche di sviluppo». Lo dimostrano «le ricadute sul quadro strategico nazionale 2007-2013 al quale sono state sottratte ingenti dotazioni e che registra, a metà del periodo di programmazione, gravi ritardi».
Il rapporto Svimez , nota il presidente "offre un apporto importante sia all’analisi degli andamenti più recenti, sia all’approfondimento dei principali nodi da affrontare comel’attuazione del “federalismo fiscale”, le politiche di coesione dell’Unione europea, la qualità dei servizi pubblici, la formazione di accesso al lavoro dei giovani, il ruolo del sistema bancario".
"Tutte le istituzioni europee, nazionali e locali accolgano la preoccupata esortazione del Capo dello stato a un profondo ripensamento delle modalità e dell'impianto strategico degli interventi a sostegno dello sviluppo nel Mezzogiorno che rischia la deriva". Così il vicepresidente vicario del parlamento europeo, il Pd Gianni Pittella.