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Intervista di Alto Varano inserita nel libro di Giovanni Russo Sud specchio dell’Italia, Liguori Editore 1993.
L’Unità del 3 gennaio 1991
“Io accuso chi accusa il Sud”
b_400_287_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Telero-Carlo_Levi_p._0151.jpgGli intellettuali meridionali, di questi tempi, ricordano le tre scimmie: muti, sordi, ciechi. Sono stati accusati di afasia.
Del Sud parlano Bocca, che è piemontese, e chi si occupa di leghe. Più per capir quelle che non il Mezzogiorno. Perché tanto silenzio?
“La cultura meridionalista" è in crisi. Del resto, già negli anni Settanta il meridionalismo democratico aveva subito una degradazione. La polemica di Dorso, Salvemini, Gramsci e Fortunato aveva guardato il Mezzogiorno alla luce dei problemi nazionali, per fare il Paese più moderno. Ma nel Settanta eravamo già ad un’altra cosa, al “meridionalismo di Stato”, una specie di assistenzialismo perverso. Perché? Era sopraggiunta la crisi dello Stato italiano, di tutto lo Stato. Il meridionalismo era cambiato in strumento, magari involontario, del trasformismo dei partiti politici.
Ma questo legittima l’afasia degli intellettuali meridionali?
Certo che no. Ma oggi molti meridionalisti sono i professionisti del “meridionalismo di Stato”. Si riuniscono in convegni dove i più ascoltati sono quelli che hanno la responsabilità della crisi del Mezzogiorno. La stessa Repubblica ospita nelle sue colonne ministri democristiani che pontificano sul Sud, nonostante siano i principali colpevoli di come sono stati amministrati appalti e finanziamenti.
Si riferisce a Misasi, Gaspari, Pomicino ...
Non soltanto a quelli. Anche a molti personaggi che ormai sono nel sistema del “meridionalismo di Stato”. Ma sia chiaro: è un fenomeno presente anche a sinistra. Quando era di moda la retorica sul centralismo della questione meridionale ed i sindacati se la cavavano con affermazioni e sfilate, si favoriva il dissolversi di una seria analisi dei processi che maturavano.
Questo però è stato in qualche modo il risultato di un fallimento? Il meridionalismo democratico laico - Rossi-Doria, Galasso, Compagna, anche lei - non avete un po’ fatto la fine degli intellettuali del Settecento napoletano al servizio dell’assolutismo illuminato: grandi sogni e brucianti fallimenti?
No. Fino ad un certo punto la cosa ha retto. Se oggi arriva la Fiat è per le infrastrutture che si sono fatte allora. Poi si è creato un sistema, come frutto della crisi dello Stato, che è quello delle “concessioni”. Non ne parla quasi nessuno, sinistra e PCI compresi. Ma lo Stato è stato privato di tutto: controlli, tempi, finanziamenti, assegnazione degli appalti. Tutto delegato alle grandi imprese, pubbliche e private del Nord e del Sud, soprattutto Nord, che tramite le concessioni arraffano soldi e distribuiscono subappalti. In Sicilia ed a Napoli lavorano le imprese di Milano, dell’Emilia e di Vicenza. E i subappalti finiscono alla mafia. Ma nessuno lo dice. Specie i “Signori della penna". Ho letto stamattina (ieri mattina, ndr) su Repubblica l’elenco di Augias. Ci sono tutti: dai questori a Bobbio. Pasquale Nonno scopre che, per la gente, meridionalismo si identifica con corruzione e che quindi i giornali non ci aiutano.
Per la verità non lo facevano neanche prima. Quel che mi fa paura è che è come se tutti volessero salire sul carro del vincitore, credendo che quel carro sia quello delle Leghe. Qualcosa di simile al dopo prima guerra mondiale.

Dal Telèro di Calo Levi.
Dal Telèro di Calo Levi.
Lei dice che nel Settanta erano già falliti i sogni riformatori e …
Sì. Per responsabilità di governo ed opposizione. Si era fatta quella che ho chiamato “industrializzazione senza sviluppo”. Ma allora si poteva vedere che il petrolchimico al Sud, voluto da tutti, era una pura follia.
Questa però è soltanto la foto che lei fa del disastro. E le responsabilità? Insomma, cos’è successo?
E’ che ad un certo punto il problema meridionale si è trasformato in quello della crisi dello Stato italiano. Se le strutture statali si sfasciano, le istituzioni non funzionano più, le amministrazioni perdono il potere di controllo, il progetto meridionalista (quello laico e democratico, ma anche quello della sinistra ispirata da Gramsci) affonda. E’ impossibile realizzarlo con la crisi dello Stato. come sarebbe possibile fare le opere pubbliche se le opere pubbliche servono soprattutto per distribuire tangenti e spartire appalti?
Però in questo periodo l’Italia è andata avanti, il Sud no.
Ci saranno responsabilità anche da Roma in giù. Il meridione avrà pure dei nemici interni ...
L’Italia, nel suo complesso, è andata avanti. Ed il Mezzogiorno pure. Non è questo in discussione. Io dico che c’è un tema alla moda, di tipo qualunquistico, per cui, senza tener conto dei processi storici, economici e sociali si mette tutto nello stesso mazzo senza tener conto delle responsabilità e soprattutto saltando a pié pari la crisi dello Stato italiano che ha avuto le sue peggiori ripercussioni sul Mezzogiorno. Il problema è che oggi si vuol togliere la voce a chi continua ad analizzare la situazione. Meglio mettere tutti nello stesso brodo su cui galleggiano i vecchi luoghi comuni: su questo ha ragione Luigi Manconi che sul suo giornale ha scritto che va forte l’antimeridionalismo democratico.
Ma il mutismo non dipenderà anche dal fatto che gli strati della vecchia e nuova professionalità meridionale, interi pezzi del mondo della cultura (certe facoltà universitarie acchiappaprogetti, perizie o consulenze) si sono in qualche modo adeguati al meccanismo che lei chiama del “meridionalismo di Stato”?
Bisogna intendersi. Al di là della propaganda, gli intellettuali critici nel Sud sono sempre stati una minoranza. Gli altri, il ceto professionale, ha sempre seguito le regole del sistema. Avremmo dovuto esser tutti più severi, compresi sinistra e PCI, contro il lazzaronismo di certa borghesia e la organicità di certi personaggi - tecnici in specie - al “meridionalismo di Stato”. Ma se si va a Napoli si scopre che il Centro direzionale per tre quarti l’hanno costruito grandi imprese - statali e private - del Nord: Italsider, Italstrade, Italstat. ll tutto grazie ad un nuovo blocco economico che favorisce la mafia.
Ma non c’è il rischio che quest’impostazione giustifichi le responsabilità del Sud?
Glielo ripeto: ci sono grandi responsabilità dei ceti intellettuali meridionali. C’è una organicità, al Sud ed anche nel resto del Paese. A Milano chi li prende i soldi per i progetti o le case di Ligresti? Il sistema è questo: o sei organico e fai quattrini o sei disorganico e vieni tagliato fuori. Ma di questo non si può parlare perché sennò arriva Bocca e dice che si nascondono i difetti dei meridionali. Bella scoperta. Lo so anch’io che siamo pieni di guai e difetti.
Dal Telèro di Carlo Levi.
Dal Telèro di Carlo Levi.
Lei parla spesso di “nuovi feudatari”. Chi sono?
Quelli che hanno sostituito le regole dello Stato ed applicano quelle di un nuovo feudalesimo. I grossi patronati aggregati, tramite la concessione, a quel blocco economico che ha sostituito da tempo il vecchio blocco agrario. E’ qui che cresce la subcultura mafiosa e camorristica. Se non si spezza questo nuovo sistema che gestisce amministrazioni comunali e perfino regionali non si risolveranno mai problemi come mafia e ’ndrangheta. E’ un meccanismo, questo della nuova feudalità, che ingoia migliaia di miliardi.
Non resta un po’ troppo in ombra, nella sua analisi, la responsabilità del ceto politico?
Non credo che quello meridionale vada condannato in blocco.
Anche se è vero che si serve di clientelismo e di strutture corrotte per mantenersi al potere. E’ stato favorito dalla borghesia del Nord, dal suo disinteresse verso i ruoli della politica. Hanno lasciato ai meridionali la gestione del potere nell’interesse di quel blocco mangiamiliardi di cui abbiamo parlato. Ma ci sono anche responsabilità della sinistra che al Sud ha mitizzato piccole isole di classe operaia diventate subalterne. Anche Pasquale Saraceno, almeno in parte, ha voluto quella politica che non è certo stata positiva.
Giorgio Bocca, nel suo libro La disunità d’Italia, traccia grosso modo questo modello interpretativo: c’è la mafia su cui si innesta l’illegalità diffusa ed in questo quadro è emerso un ceto politico rampante, parassita e vorace.
b_266_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Levi_e_la_Basilicata_Carlo_Levi-Basilicata-24.jpgE’ difficile sostenere che l’inizio è mafia e che poi arriva la disgregazione. La mafia è in rapporto con istituzioni e Stato. In certe occasioni diventa aggregazione sociale. Ovviamente, finalizzata a mantenere subalternità perché è interesse della mafia piegare ai propri progetti interi strati sociali. Voglio dire che sotto accusa è il sistema politico della gestione dei partiti. Questo porta all’illegalità diffusa e su questo si irrobustiscono le mafie.
Questo significa che nell’ipotesi di Bocca c’è una responsabilità antropologica dei meridionali e nel secondo caso quella del sistema politico del “meridionalismo di Stato”?
Io dico soltanto che bisogna fare uno sforzo per capire meglio.
Molti di quelli che oggi scrivono del Sud sembrano i nipotini di Niceforo e Lombroso.
Bobbio sostiene che la questione meridionale è ormai la questione dei meridionali.
E sbaglia. Sono preoccupato dei giudizi di persone di grande autorevolezza come Bobbio e prestigio come Bocca. Se si scrive a ruota libera in modo allarmistico ed aggressivo non se ne viene fuori.
Ma perché questo accade ed accade oggi?
C’è un antimeridionalismo diffuso: inchieste ed analisi serie sono quasi proibite. Nel Nord c’è insofferenza, l’impressione che il Sud viva solo di assistenza e sfruttamento. Un’analisi seria svelerebbe che non è così. Questo ovviamente non lo dico per giustificare un ceto politico meridionale che, ripeto, è in gran parte corrotto, ma perché sono tesi che favoriscono un piccolo ceto medio un po’ incolto del Nord che pensa sia meglio fare l’Italia in tre. Connivenze e consenso di certi maitres à penser aiutano un fenomeno che non ha prospettive se non quello di spezzar tutto. Spezzare per ricostruire andrebbe bene. Ma non mi pare sia questo il caso.
Almeno l’Uomo qualunque di Giannini, pur essendo una protesta negativa, conteneva critiche, che sarebbero poi apparse vere, di certa partitocrazia. Vede: se si pensa, si crede o si scrive che Calabria, Sicilia e Campania di fatto non siano più Italia, e questo soltanto per motivi che nascono e si originano all’interno di Calabria, Sicilia e Campania, allora hanno ragione le leghe.

Hai mai visto gli ex voto di san Matteo? Conosci Giovanni Gelsomino?