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Ritirate il progetto di autonomia differenziata come Ddl collegato alla legge di bilancio 2021
18 novembre 2020
b_258_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Levi_e_la_Basilicata_Carlo_Levi-Basilicata-20.jpgLa pandemia ha squarciato il legame che in uno stato unitario deve tenere uniti i diversi livelli di governo territoriale, evidenziando le debolezze del regionalismo “all’italiana”, che ha innescato, complice la scellerata riforma del Titolo V del 2001, meccanismi normativi divisivi e deresponsabilizzanti, che lasciano i cittadini e le cittadine privi e prive di un solido punto di riferimento politico.
E a farne le spese sono le persone più fragili, gli anziani e i giovani: stiamo così assistendo a un collasso della sanità e dell’istruzione pubblica, emblema del fallimento del regionalismo, ma anche dell’esercizio delle responsabilità da parte del governo centrale: entrambi impreparati alla seconda ondata pandemica.
Sono passati sette mesi dalla dichiarazione dello Stato di emergenza - cinque mesi dal primo lockdown - senza che le Regioni, pur avendone tutte le competenze per farlo dal 2001 ed essendo stati stanziati gli 8 miliardi (siamo sicuri che il dato sia questo? Sembra basso per sanità e scuola. Non è meglio scrivere svariati?) di finanziamenti ad hoc, adottassero i provvedimenti necessari a fronteggiare la seconda ondata pandemica (potenziamento del personale sanitario e scolastico, delle strutture diagnostiche e dei piani di tracciamento; adeguamento degli spazi scolastici e dei trasporti, e così via). E senza che il Governo centrale sia intervenuto a fronte dell’inadeguatezza degli interventi regionali.
Eppure, mentre i cittadini e le cittadine accettavano i più duri provvedimenti restrittivi delle libertà fondamentali che la storia della Repubblica italiana rammenti con comportamenti responsabili e solidali, mentre morti e contagiati aumentano, in sistemi sanitari che spesso sono ormai al collasso, la politica non ha fermato il treno delle riforme: dopo il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari rientra spudoratamente in scena l’autonomia differenziata.
La legge quadro, circolata in due bozze alla fine del 2019 e che sembrava anestetizzata dalla pandemia, è stata annunciata nel NADEF 2020 (“Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, 3 comma, Cost.”), disegno di legge collegato alla manovra finanziaria che potrebbe già integralmente e definitivamente devolvere la sanità alla potestà legislativa delle regioni, come prima materia di attribuzione di autonomia differenziata.
Si tratta di una legge ordinaria collegata alla legge di bilancio; in quanto tale, facilmente modificabile dalle maggioranze parlamentari, ma sottratta alla volontà di abrogazione tramite referendum popolare.
b_326_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Levi_e_la_Basilicata_Carlo_Levi-Basilicata-21.jpgInserire l’autonomia differenziata come “costola” della legge di bilancio significa introdurre un pericoloso precedente per sottrarre in futuro altre delicate materie al circuito democratico deliberativo. Non sono temi che si possono affrontare nelle chiuse stanze del potere. Tanto più che una seria attuazione del regionalismo impone dapprima lo stanziamento di un adeguato fondo pluriennale di perequazione del divario tra i territori – cosa che il Recovery Fund non garantisce, essendo un finanziamento una tantum - e solo successivamente si potrebbe avviare una seria riflessione sui livelli uniformi delle prestazioni sociali su tutto il territorio nazionale, condivisione e partecipazione sociale.
Varie voci del mondo culturale ed accademico si sono levate contro questo processo di “balcanizzazione” del Paese, e tra queste quella del “Comitato nazionale per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica e la rimozione delle diseguaglianze”, che ha da tempo messo in guardia contro il pericolo eversivo insito nelle spinte autonomistiche innescate dalle bozze di Intesa firmate il 28 febbraio 2018 da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e dal Governo Gentiloni.
E’ la Costituzione che impone di tutelare l’unità e l’indivisibilità della Repubblica - garantendo identicamente i diritti universali su tutti i territori - e che deve dunque guidare la scelta di cosa possa essere ragionevolmente attribuito alla singola regione e di cosa debba invece rimanere sotto l’egida statale, sulla base dei principi fondamentali declinati nei primi articoli della Carta. Non il contrario!
Emerge forte l’esigenza di ripensamento sull’impianto regionalista, che segni prospettive di maggiore chiarezza nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni, che riconduca alla dimensione statale la tutela dei diritti fondamentali e affidi allo Stato il compito della loro concreta realizzazione in una cornice di eguaglianza sostanziale e riduca la spinta competitiva tra i territori, foriera solo di conflitti sociali e di privatizzazione selvaggia.
E’ giunto dunque il momento di fermarsi!
E il primo passo che la classe politica deve aver il coraggio di fare, sulla scorta della drammatica esperienza che il nostro Paese sta vivendo, è il ritiro del Ddl sull’autonomia differenziata collegato alla legge di bilancio 2021.

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