L'Astrolabio n. 17-18-1979
In margine all'indagine Censis del luglio 1979
Povertà assoluta e “bisogni del dopo”.
Il problema del lavoro e il mito dello spazio domestico
di Antonello Palieri (1939-2010)
Alla fìne del 1979 avremo speso “per vivere” - abitare una casa, mangiare, vestire, “andare a benzina” e ad elettricità ecc. - non meno di 132 mila miliardi (contro i 125 mila del 1978). Nel 1979 il reddito netto degli italiani dovrebbe aver raggiunto i 220 mila miliardi (di cui 185 mila di reddito ufficiale e 35 mila di reddito sommerso) contro i 202 mila miliardi del 1978 (di cui 175 per l'ufficiale e 25 per il sommerso).
Tali cifre dovrebbero dimostrare che, mediamente, ogni famiglia italiana ha un reddito annuale di 13 milioni 600 mila lire e che spende per vivere 9 milioni 600 mila lire l'anno. Dunque un paese ricco, anzi opulento. Eppure nelle statistiche ufficiali figurano circa 7 milioni di famiglie con redditi inferiori a 4 milioni l'anno, di cui 3 milioni 500.000 famiglie con redditi addirittura inferiori ai 2 milioni l'anno, tenuto conto che nella prima serie - 4 milioni di reddito - vi sono famiglie numerose, con più di quattro persone, e che nella seconda serie, gli ultra poveri, ve ne sono uno o due (pensionato con o senza consorte) si può affermare che circa 28 milioni di persone vivono in Italia in condizioni di povertà, se è vero che con 2 milioni l'anno si pagano in molte aree metropolitane l'equo canone, il gas, la luce e il mezzo pubblico e con quattro milioni l'anno si può mangiare anche un pasto al giorno, comprare abiti al mercato americano e un giornale.
Se insomma i rapimenti hanno rivelato che almeno 100 famiglie italiane hanno rendite e redditi da 400 milioni a 3 miliardi l'anno, una lettura appassionata e testarda delle pur parziali statistiche Istat (al momento disponibili sino a tutto il 1977) e la loro proiezione attraverso le ricerche dell'ISPE, permette di affermare che 28 milioni di italiani non possono spendere tutti insieme più di 21 mila miliardi l'anno mentre altri 25 milioni ne possono spendere, globalmente, 111 mila. Ovviamente nella fascia dei medio-ricchi vi sono numerose aree di super-privilegio che al momento è impossibile quantificare.
Le statistiche sulla povertà - 7 milioni di famiglie con meno di 4 milioni di reddito l'anno, che sono lo stipendio mensile, di certi speciali funzionari - sembrano vecchie di venti anni e probabilmente non tengono conto di redditi sommersi che, a certi livelli, sono indispensabili per sopravvivere nell'attuale contesto socio-economico. Del resto abbiamo più volte rilevato che le statistiche nel nostro paese anziché rappresentare l'aritmetica della programmazione rappresentano, sempre più spesso, la geometria del terrorismo economico. Oggi siamo al quarto posto, nel mondo, per le riserve statali; domani, se farà comodo - magari di fronte all'ultimatum a fare un governo che rappresenti finalmente il paese - qualcuno affermerà, senza smentita, che i vecchi debiti con l'estero e il disavanzo della bilancia dei pagamenti hanno annullato il valore reale di tutte le riserve e che siamo perciò sul lastrico.
Eppure siamo poveri: lo testimoniano le liste di collocamento, il fenomeno sempre più esteso della coabitazione, le montagne di cambiali che spesso non trovano più il destinatario, l'infittirsi dell'esercito degli emarginati e, non ultimo, un equo canone che per chi ha un reddito superiore agli 8 milioni l'anno (cioè anche poco di più di 666 mila lire al mese, reddito con il quale si può anche morire o impazzire in un'area metropolitana) è, in molte zone urbane, insostenibile. Ma al tempo stesso siamo tanto ricchi da indurre oltre 1 milione di uomini e donne di colore ad approdare - negli ultimi 6 anni - in Italia per essere, al 60 per cento, sfruttati e prostituiti. Insomma come stanno veramente le cose?
Non è infine da sottovalutare il rischio che la “scoperta” delle povertà post-materialistiche (bisogni civili e culturali e di identità) sia utilizzata come cortina fumogena delle povertà assolute (alimentazione, casa e sanità). Assetto urbano, trasporti e tempo libero devono finalmente essere finalizzati a migliorare la qualità del lavoro, inteso anche come attività creativa, visto cioè finalmente al di fuori dello spazio angusto e specifico delle attività che permettono di percepire stipendi e salari. E il lavoro e non il nostro mitico spazio domestico deve generare un avanzamento generale globale, con buona pace della CEE e dei suoi sacerdoti.
Povertà assoluta
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