Giovanni Russo, Sud specchio dell’Italia, con Introduzione di Francesco Erbani, Liguori Editore Napoli 1993
6. Rossi Doria o della scienza come impegno civile
In un articolo nel Corriere della Sera quando morì, ricordai, che Manlio Rossi Doria era della stessa famiglia di grandi italiani dei Gobetti, di Ernesto Rossi, di Salvemini, di Giustino Fortunato, di Benedetto Croce. Questo lo dobbiamo dire qui in Lucania, in questa occasione, perché il titolo del mio intervento non l’ho scelto io. Forse il Comitato organizzatore ha pensato che era giusto che ne parlassi io per motivi che cercherò di sintetizzare.
Il primo è il filo dei ricordi, attraverso cui ho potuto conservare, nonostante la molteplicità delle mie attività, la possibilità di “parlare” del Mezzogiorno, per tanti anni nei miei rapporti personali con Rossi Doria. L’altro motivo è, credo, il fatto che ho seguito Rossi Doria in quello che era il suo impegno civile, politico e ho avuto quindi con lui un rapporto non strettamente legato ai suoi studi ma proprio a questa sua presenza nella società italiana.
Il filo dei ricordi: ci sono qui dei testimoni cari a me, come per esempio Giuseppe Ciranna, come Attilio Esposto. Rievoco tempi lontani che mi auguro non si leggano sulla mia faccia; anni molto lontani, quando Michele Cifarelli venne, nel ’43, a Potenza e trovò dei ragazzi ai quali disse che si poteva fondare il Partito d’Azione.
Non so se era prima o dopo il 25 luglio. Crearono il Partito d’Azione in Lucania e questo significò che Rossi Doria - e con Rossi Doria e i personaggi di quella lista che poi si presentò per la Costituente e di cui facevano parte con Michele Cifarelli, Guido Dorso, Carlo Levi, Alberto Cianca e Vincenzo Calace - rappresentò per noi il simbolo della lotta per la democrazia e la Repubblica.
Dalla parte opposta parlò Rossi Doria. Fu un comizio travolgente. Quel comizio ha segnato parte della mia vita, perché capii che un personaggio come Rossi Doria, che parlava con quell’impeto, con quella eloquenza che nasceva da un vero ideale, aveva un rapporto non da tecnico ma umano con i contadini e devo ringraziare l’antropologo Davis per il modo in cui ha parlato della “modernità” del mondo contadino, frutto dell’evoluzione sociale europea del 1700. Ora questo è un problema più complesso che non si può approfondire. La battaglia per la Costituente fu vinta, ha ragione Davis, anche per la scelta dei contadini, che capirono di poter uscire da un passato di miseria e di oppressione per inserirsi nella novità della storia.
Il Partito d’Azione, nelle elezioni per la Costituente del 1946, ebbe tredicimila voti, organizzò delle leghe contadine, che riuscimmo a far sfilare per via Pretoria a Potenza con alla testa alcuni dei suoi più noti avvocati e notabili antifascisti che uscirono allo scoperto. Quindi il rapporto notabili-contadini come scelta, contribuì in qualche modo a far vincere la repubblica, che è stata fatta proprio perché molti contadini hanno votato come Rossi Doria auspicava.L’altro impegno che ho potuto constatare (tralascio il rapporto con il Mondo di Pannunzio e la sua polemica sulla Federconsorzi insieme ad Ernesto Rossi) e quello sul “campo” della riforma agraria. Si può discutere se la riforma agraria sia stato un fatto positivo o negativo e se avesse ragione, e non lo credo proprio, Giorgio Amendola che era contrario, o avesse ragione chi volle invece la Cassa per il Mezzogiorno che è stato l’unico tentativo, almeno per 15 anni, di programmazione fatta in Italia. Dopo è diventata un’agenzia assistenziale e anche di questo Rossi Doria aveva preso piena oscienza e lo aveva denunziato nei suoi scritti.
Che cosa ha rappresentato la riforma agraria per Rossi Dorian l’ho scritto in una inchiesta che feci per il Mondo. Andai proprio in quel paese di cui ha parlato oggi Verrastro, San Cataldo, e io posso aggiungere (Verrastro nel suo orgoglio di appartenere alla nazione aviglianese non l’ha detto) che San Cataldo era identica all’isola di Robinson Crusoe: non aveva nessun rapporto con la civiltà moderna. A San Cataldo, incontrai Rossi Doria e voglio solo leggere qualche riga di questa inchiesta che è un capitolo del mio libro Baroni e contadini. Potrei raccontare tante storie di estrema drammaticità e nello stesso tempo divertenti: su quei contadini, ad esempio, che dicevano a Rossi Doria che prima di decidere se trasferirsi da San Cataldo a Scanzano dovevano fare “parlamento”. Parlamento è un termine da tribù tedesca che significava che si doveva riunire tutta la famiglia per poter decidere se valeva la pena o no di abbandonare la vecchia residenza per stabilirsi nei poderi della riforma. “A Potenza, nella sede dell’Ente - scrivevo - ho visto il prof. Manlio Rossi Doria che presiede a questo lavoro con il direttore dell’Ufficio il dr. Salinardi uno dei migliori tecnici agrari del Mezzogiorno, curvo su carte simili a tavolozze di un pittore pazzo per indicare la diversa qualità delle particelle non sono bastati i colori conosciuti, si sono dovuti inventare centinaia di segni speciali. I soli quattrocento ettari di San Cataldo erano divisi in tremila particelle che sono state unificate in 1200 corpi, i corpi debbono essere di valore uguale per evitare disparità, un lavoro a cui sarebbe servita più la bilancia di un farmacista che la competenza di un tecnico”.
Per ritornare al complesso rapporto che Rossi Doria aveva con il mondo contadino esso nasceva anche da una dote che credo qui non è stata da molti considerata: le sue qualità letterarie. Egli aveva capacita narrative ed espressive degne di un grande scrittore, come il suo maestro Giustino Fortunato. Intanto si possono leggere con passione gli scritti tecnici di Rossi Doria, in quanto sono di eccezionale qualità letteraria. Rossi Doria sentiva il mondo contadino, il mondo meridionale, la Basilicata anche come un mondo che gli dava un’emozione artistica. Rossi Doria per esempio prendeva da Carlo Levi quello che di Levi gli pareva giusto; è quello che di Levi gli pareva giusto era la sua tesi sulla capacità d’autonomia del contadino, anche se la filosofia di Levi sulle possibilità della civiltà contadina di ispirare il progetto di una società moderna non l’aveva mai convinto. Non dobbiamo dimenticare che Rossi Doria chiamò Rocco Scotellaro a Portici anche perché era un poeta, non soltanto perché era un organizzatore di contadini e il sindaco socialista di Tricarico. Per merito di Rossi Doria nasce sotto forma letteraria il primo libro di sociologia sul mondo contadino, Contadini del Sud. La sociologia “letteraria” è la più felice testimonianza dei contadini del Sud, nata perché Rocco Scotellaro fu incitato da Rossi Doria.
Egli ha avuto, nelle regioni meridionali, due grandi amori: la Basilicata e l’Irpinia. Per Rossi Doria la Basilicata era in un certo senso il super Io, se vogliamo usare un termine psicoanalitico, erano la tenacia e la rudezza dei contadini e anche di una borghesia di galantuomini che avevano un loro rigore nell’esercitare le professioni, da Giustino Fortunato a Viggiano. Un giorno, forse, si dovrebbe scrivere un piccolo saggio sull’amore per la Lucania e l’Irpinia. Il meridionalismo di Rossi Doria era perciò complesso; vi entrava il mondo contadino di Carlo Levi ma anche il meridionalismo liberale di Francesco Compagna e il progetto di sviluppo industriale di Pasquale Saraceno. Compagna aveva capito che bisognava guardare al Sud anche attraverso le “lenti” di Rossi Doria. Gli interventi di Rossi Doria su Nord e Sud ebbero influenza su Compagna come alcune posizioni di Compagna ebbero influenza su di lui. Non sempre erano convergenti le loro posizioni ma il loro confronto l’ho sempre trovato costruttivo.
Su questo tema Rossi Doria fu duro e disse quello e disse quello che doveva dire e cioè che l’industrializzazione di questo tipo non andava.
Negli ultimi tempi sono stato molto vicino a Rossi Doria; ogni tanto, se non mi facevo vivo, mi telefonava, e io, quando potevo, lo cercavo e parlavamo a lungo. Egli era abbastanza severo nell’ammonirmi che non bisognava guardare alla cose del Sud solo in senso negativo. Prima che morisse abbiamo avuto varie conversazioni, anche perché mi designò a vicepresidente della Fondazione Levi e, quindi, ebbi poi la sorte di ereditare la carica di presidente di questa Fondazione che se oggi ancora esiste, lo deve al fatto che Rossi Doria gli dedicò le sue ultime energie. Senza la sua dedizione la Fondazione Levi, con tutto quello che significa per la Cultura italiana, non sarebbe sopravvissuta. Si dedicò soprattutto all’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia di cui Michele Cifarelli è oggi suo successore alla presidenza, facendo ripubblicare i testi classici del meridionalismo. Conservo le lettere con cui affettuosamente ma insistentemente mi scriveva, talvolta riprendendomi, se non facevo in tempo una recensione, sul Corriere della Sera. Oggi noi possiamo leggere i testi degli studiosi classici del Mezzogiorno da Fortunato, a Nitti, a Dorso, a Giovanni Amendola, fino a Compagna, e i carteggi di Salvemini e Umberto Zanotti Bianco perché Rossi Doria ebbe il merito di capire che ripubblicare queste opere significava riaprire il dibattito sulle radici storiche del pensiero meridionalista.
Sul Mezzogiorno d’oggi vi sono state relazioni molto interessanti: per esempio quella di Kaiser, quella di Fabiani e quella di Michele De Benedictis. Tutte hanno posto una domanda fondamentale: quale sarebbe l’insegnamento di Rossi Doria di fronte alla situazione attuale? Vengo da un viaggio in Sila dove ho partecipato a un convegno sulle lotte contadine e lì ho scoperto che è vero quello che diceva Kaiser e quello che diceva Fabiani. Abbiamo una piccola e media imprenditorialità di un ceto emergente, contadino, che è molto migliore della borghesia lazzarona e di un certo ceto di professionisti diventati intellettuali organici alla mafia e alla camorra.
Nei colloqui che ebbi con lui per farmi orientare su una storia del Sud che dovevo preparare per conto della RAI-TV, egli osservava che i fenomeni di criminalità andavano interpretati anche come la crisi del tessuto sociale del Mezzogiorno che era stato distrutto con l’emigrazione. D’altra parte l’urbanesimo malato, la disoccupazione giovanile sono tutti temi su cui Rossi Doria andava riflettendo. Egli sosteneva che s’era creato quello che definì un “nuovo blocco”, che non era più il blocco agrario, ma era l’alleanza tra assistenza pubblica dove praticamente l’agenzia per il Mezzogiorno, mi dispiace dirlo, è diventata uno sportello di erogazione di finanziamenti (i dirigenti stessi hanno fatto presente che non sono in grado di fare delle scelte programmatiche) e la mediazione clientelare politica che, recentemente, i vescovi italiani hanno denunciato in un loro documento su cui ho scritto sul Corriere della Sera, che, dopo 150 anni dall’Unità, lo Stato italiano, che si poteva vantare di aver distrutto il regime più corrotto che esisteva in Italia, cioè lo Stato Pontificio, adesso riceve dalla Chiesa l’ammonimento che nel Sud succedono le cose che succedevano nello Stato Pontificio.
Qual è la lezione di Rossi Doria di fronte al Sud di oggi? Mi sembra che sia questa: bisogna ritornare a occuparci del Mezzogiorno come lui. Noi dobbiamo, al di sopra di ogni ideologia, riproporci di lottare contro questo nuovo blocco, dove tra il comparaggio politico e la criminalità non c’è più distinzione. Le persone per bene, le persone che credono ancora in un Mezzogiorno moderno e civile hanno quindi un vero punto di riferimento e questo punto di riferimento è Manlio Rossi Doria.
Fonte: Rossi Doria o della scienza come impegno civile (Rossi Doria o della scienza come impegno civile, Intervento al convegno su Manlio Rossi Doria e la Basilicata, Matera, 3-4 novembre 1989, edito poi in Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, V, 1989)
1993 - Manlio Rossi Doria
powered by social2s