Libero del 15 gennaio 2019
Il dibattito sul titolo di Libero
I meridionali alimentano gli stereotipi su se stessi
Al Sud si offendono per terroni, ma nessuno si indigna con Di Maio che non investe per lo sviluppo del territorio.
di Nicola Apollonio
Evidentemente, qualcuno (o più d'uno) ha dimenticato o ignora del tutto la storia del Mezzogiorno d’ltalia, storia che è tutt'uno con la vita di uomini e donne passata a coltivare la terra, dall'alba al tramonto, con la faccia bruciata dal sole. Finché, con l’emigrazione di massa verso Paesi che offrivano di più in termini di lavoro e di guadagni, quella “amata terra mia” cantata negli anni ‘70 da Domenico Modugno non divenne una terra orfana dei “volti come pietra” e delle “mani incallite senza ormai speranza”. Se ne andarono in migliaia, da ogni regione del Sud, con l’aspirazione di fare un po’ di fortuna e poi, con le esperienze fatte all’estero, tornare nei paesi di origine e costruire una mentalità nuova, che guardasse di più all’impresa e allo sviluppo economico, sociale e culturale di quella terronia amara e bella.
Soldi sperperati
Nemmeno gli esempi delle grosse industrie del Nord arrivate al Sud in quegli anni della ricostruzione (la Fiat - Hallis a Lecce, il Polo chimico a Brindisi, l’Italsider a Taranto, il nuovo porto a Gioia Tauro ecc.) bastarono a risvegliare le nostre coscienze e la nostra voglia di riscatto sociale ed economico rispetto quell’altra metà del Paese, il Settentrione, che intanto si era consolidata come forza trainante dell'intera economia nazionale.
Secondo me, chi oggi si sente in qualche modo offeso dal titolo di Libero (ma sono pronto a scommettere che si tratta di una esigua minoranza) non ha ancora trovato la forza per liberarsi una volta per tutte da quell’ombra del campanile che ancora si respira nelle nostre contrade, tanto da non farci nemmeno intendere quand’è che si scherza, come ha fatto Vittorio Feltri chiamandoci “terroni”. Certo, come cantava Caterina Caselli a metà degli anni Sessanta, la verità fa male. Specie quando non si è ancora attrezzati (!) per fare un po’ di autocritica, per individuare le responsabilità oggettive dei residenti che - salvo qualche sporadico scatto d’orgoglio - hanno portato al generalizzato lassismo delle regioni del Sud.
Perché non alzano la voce con il vice premier campano di Pomigliano d’Arco e con la ministra leccese per il Sud Barbara Lezzi, entrambi responsabili dei mancati investimenti per la crescita e lo sviluppo in quelle regioni che fino a pochi anni fa erano addirittura considerate “aree depresse”?. Perché ci dovremo offendere se il direttore Feltri ci chiama terroni e non diciamo invece una parola se in Sicilia mancano le ferrovie, se in Calabria si continua a non avere strade sicure, se in Lucania non c’è un linea che colleghi Matera a Potenza, se in Puglia - come scrive il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe De Tomaso - resiste la filosofia del “rinvio“ e se in Campania non si capisce perché gli ospedali debbano ancora essere da terzo mondo?
Noi sbraitiamo (senza comprenderne appieno lo spirito e il significato di un termine) per un nonnulla. Ci sentiamo offesi non dalla nostra incapacità a liberarci da certi retaggi del passato ma per il fatto che un polentone ci definisce, scherzando, terroni.
Serbatoio di voti
Forse, anche questo è un modo per allontanarsi, meschinamente, dai problemi reali che i governi d'ogni tempo ci hanno lasciato irrisolti, perché tutti i governi hanno considerato questa parte di Paese come una specie di zavorra, un ampio territorio che andava assistito e non aiutato a svilupparsi socialmente ed economicamente. Il Sud era visto soltanto come un semplice serbatoio di voti democristiani e comunisti nel quale, ogni tanto, immettere qualche dose di ansiolitici (sotto forma di piccoli aiuti finanziari) per tenere a freno i bollenti spiriti che si temeva potessero esplodere da un momento all’altro. Questo passava il convento!
Perciò, in coscienza, noi terroni che cosa abbiamo fatto per risolvere la vecchia “questione meridionale” se non adagiarci sull'amaca di un'attesa che è ormai diventata palesemente senza sbocchi? Eppure, non come oggi, ogni squadra di governo ha sempre avuto al suo interno un bel numero di rappresentanti del Sud. E che cosa hanno fatto, i nostri deputati e senatori, anche quando i giornaloni che negli anni '80 si dedicavano ancora alle grandi inchieste sullo stato di salute del Paese indicavano il Sud come la potenziale California nazionale? Nulla.
E allora, bando alle chiacchiere: che cosa volete che m’importi se Feltri mi chiama terrone? E sapete perché non m’importa? Perché intanto, conoscendo a fondo il Direttore, so per certo che quel termine lo ha usato scherzosamente; e poi perché io sono nato e cresciuto in Terronia, in questa terra bella e amara. Però, detto fra noi, sottovoce: non potremmo smetterla con i soliti piagnistei e darci un po’ più da fare per rendere questa terra un tanto meno acre? Ne guadagneremmo tutti, soprattutto in dignità.
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Azzurra Noemi Barbuto: chi è la giornalista di Libero criticata per il titolo sui ‘terroni’
Giovanna Tedde
16/1/2019
Ecco chi è la giornalista Azzurra Noemi Barbuto, divenuta nota per un titolo sul quotidiano Libero, che ha scatenato il caos mediatico intorno a sé e al giornale.
Azzurra Noemi Barbuto è una giornalista divenuta famosa per via di un suo articolo dal titolo infelice, pubblicato sul quotidiano Libero nel gennaio 2019. Comandano i terroni: è questo il titolo, diventato subito motivo di discordia e accese polemiche, e al centro di un caos mediatico che ha persino scomodato i vertici del governo, in primis Luigi Di Maio, che dal suo profilo Facebook auspicava imminenti prese di posizione rispetto a una stampa che non fa informazione. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla giornalista di Libero, Azzurra Noemi Barbuto.
Chi è Azzurra Noemi Barbuto, la biografia
Azzurra Noemi Barbuto nasce a Reggio Calabria nel 1983 (non si conosce però la data esatta). Ha coltivato sin da subito il suo interesse per la scrittura, che l’ha portata a dedicarsi al mondo del giornalismo.
Ha collaborato con diverse testate, tra cui Il Tempo e Grazia, ma, come accennato, la sua fama esplode grazie alla sua collaborazione con il quotidiano Libero, fondato da Vittorio Feltri nel 2000 e diretto da Pietro Senaldi.
Il suo lavoro di giornalista non le impedisce però di coltivare anche le sue velleità di scrittrice, e, nel 2018, firma il suo primo libro, intitolato Spegni quel telefono. Ha un fratello che fa il giornalista come lei, e si chiama Fabrizio Maria Barbuto.
La vita privata di Azzurra Noemi Barbuto
Non si sa molto della vita privata di Azzurra, e non è chiaro se ci sia un fidanzato o un marito tra i suoi affetti. Nonostante la sua personalità fumantina e il carattere deciso, Azzurra Noemi Barbato è molto riservata rispetto al suo pro[i, NdR]vato.
Azzurra Noemi Barbuto vive a Milano, dove si è trasferita per motivi di lavoro, ed è qui che la sua fama si è accresciuta in modo notevole e l’ha portata a diventare una delle penne più effervescenti della carta stampata.
Non si conoscono i guadagni della giornalista e scrittrice calabrese.
Azzurra Noemi Barbuto in 4 curiosità
- La giornalista è una grande amante degli animali, soprattutto di cani e gatti.
- Nel gennaio 2019 è stata ospite di Piero Chiambretti, nella trasmissione CR4-La repubblica delle donne, per parlare dell’affaire intorno al titolo di Libero che l’ha vista sommersa da una valanga di insulti (e persino minacce, a suo dire).
- Adora i selfie che condivide soprattutto sul suo profilo Facebook per la gioia dei tantissimi fan, folgorati dalla sua bellezza.
- Il 18 ottobre 2020 partecipa alla puntata di Non è l’Arena ed è protagonista di uno scontro con il conduttore, Massimo Giletti, per differenti opinioni sul caso Bellomo, l’ex magistrato accusato di maltrattamenti e atti persecutori nei confronti delle sue collaboratrici, difeso dalla giornalista in puntata.