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Giovanni Russo, Sud specchio dell’Italia, con Introduzione di Francesco Erbani, Liguori Editore Napoli 1993
2. Il ritorno di Nitti
b_335_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Telero-Carlo_Levi_p._068.jpgSeguirò la traccia del libro di Francesco Barbagallo che è un libro molto bello, nello stesso di tempo di storia e di narrativa, di impegno civile e di partecipazione personale.
Nitti ritornò in Italia il 13 luglio 1945, ma credo che venne per la prima volta in Lucania per le elezioni del 1946 per la Costituente e per la Repubblica; e già allora si delineava il dramma di quest’uomo che non aveva potuto esplicare a causa del fascismo tutta la sua attività, tutto il suo impegno civile; di questo liberale che, come tutti i liberali, era caduto nella trappola di credere che Mussolini rappresentasse soltanto un’escrescenza della società italiana mentre era invece proprio lo sconvolgimento del sistema politico della democrazia postrisorgimentale. Mussolini realizzava il colpo di Stato e i liberali non lo capirono: Nitti non sfuggì a questo destino.
Nel 1946 Nitti ritornava in Lucania per presentarsi come candidato alla Costituente nel Blocco Nazionale. Noi eravamo un gruppo di adolescenti (i giovani di oggi non possono immaginare quanta vivacità e voglia c’era allora di battersi per la democrazia), che avevamo fondato a Potenza nel 1943 il Partito d’Azione. A Tricarico c’era Scotellaro che capeggiava il movimento socialista soprattutto nel materano. C’erano poi i comunisti, c’erano i democristiani con Emilio Colombo. Tutti schierati contro Nitti, non come persona ma come simbolo, però tutti aspettando Nitti.
Quando arrivò a Potenza c’era anche Carlo Levi che era venuto per partecipare alla campagna elettorale del Partito d’Azione, uno dei partiti che più si oppose alla linea politica di Nitti, come spiega il Barbagallo nell’ultima parte del volume. Quella lista, che si chiamava dell’Alleanza repubblicana, era composta da Guido Dorso, Mario Cianca, Manlio Rossi Doria, Carlo Levi, Michele Cifarelli e Vincenzo Calace. Eravamo a piazza 18 agosto quando si cominciò a vedere un corteo che si andava formando verso la stazione e che accompagnava Francesco Saverio Nitti. A poco a poco tutti noi e lo stesso Carlo Levi ci accodammo al corteo che, come una processione laica, si avviò da piazza 18 agosto (la Potenza di allora non era ridotta a quel girone infernale di cemento che la classe politica democristiana ha consentito che diventasse ed era ancora una città vivibile). Verso via Pretoria seguendo Nitti che andava in Prefettura, quando, d’improvviso, il proprietario di un bar, un ex squadrista, uscì urlando contro di lui. Allora tutti capimmo che Nitti ritornava come simbolo dell’antifascismo in Lucania. (Questo signore (che poi era una brava persona) era stato preso da una specie di furore antico nel rivedere Nitti trionfante che ritornava in via Pretoria dopo che i fascisti avevano ritenuto di poterlo mandare per sempre in esilio. Fu respinto nel locale e fu abbassata la saracinesca. Questo ritorno di cui sono stato testimone mi sembra simboleggi il rapporto che Barbagallo molto bene ha espresso tra Nitti e l’antifascismo dei Comitati di Liberazione Nazionale. Secondo me, Nitti ha avuto, dopo la caduta del fascismo, dal ’4-5 al ’48, un ruolo di grandissima importanza nella storia d’Italia, forse un ruolo determinante quasi come quello di Togliatti in quello stesso periodo.
In un momento in cui c’era una posizione di stallo tra il Comitato di Liberazione da una parte, espresso dalle forze antifasciste unite nel Congresso, che si era svolto a Bari e il cui animatore era stato Michele Cifarelli, e il Governo del re diretto da Badoglio dall’altra, la situazione venne sbloccata (e questo secondo me andava ricordato nel libro di Barbagallo) perché Nitti consigliò uno dei suoi più fedeli sostenitori, l’avvocato Vito Reale di Potenza, che esitava enormemente, a entrare nel governo Badoglio. Intorno a Vito Reale, per circa due mesi, si svolse un intenso lavorio politico tra gli alleati, il re e Badoglio. Fece bene o male Nitti? Questo è un giudizio che spetta agli storici. Nitti disse a Reale di “andar con Badoglio”, e la situazione si sblocco. b_290_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Telero-Carlo_Levi_p._069.jpgL’antifascismo del CLN ebbe poi, proprio per questo, posizioni molto critiche verso Nitti, e mise al bando Vito Reale che era entrato nel governo come Ministro dell’Interno.
Questo episodio è importante. Da esso conseguono le posizioni assunte anche nei confronti delle sinistre da Nitti fino al referendum e alle elezioni del 1946. Se Nitti fosse stato sotto certi aspetti meno patriota in quel momento e non avesse capito che era necessario aiutare Badoglio, avrebbe potuto con successo aspirare alla presidenza della Repubblica.
Barbagallo ha descritto bene la famiglia di Nitti. Il padre, Vincenzo, era un anarchico liberale che si arruolò tra i garibaldini ma che era un anticonformista contro ogni “buon senso borghese”.
Il nonno di Nitti fu ucciso, se ben ricordo, dalla banda del brigante Crocco, era stato in contrasto con il figlio Vincenzo perché questi non aveva voluto studiare e aveva sposato una contadina che si chiamava Filomena Coraggio, (bello il nome, come Madre Coraggio di Brecht). Vincenzo combatté contro i briganti per due ragioni: per vendicare il padre e per difendere le sue idee democratiche contro i Borboni; le due cose insieme fino a quando non catturò coloro che avevano ucciso il padre.
Nel libro è descritta molto bene la società di Melfi e sono raccontati gli studi, tra Ariano Irpino e Potenza, di questo giovane convittore. Leggendo la storia di Nitti, di come si sacrificava, mi sono ricordato di quando studiavo a Potenza al Liceo, negli anni Quaranta e arrivavano i compagni di scuola studenti viaggiatori (o che erano convittori del Collegio Nazionale) da Avignano o da Barile, con la neve e i geloni. Questo Nitti che arrivava da Melfi, che aveva una madre contadina e un padre al quale avevano trovato un posto provvisorio, questo giovane che studiava con profitto e si sacrificava sapendo che dallo studio poteva nascere la possibilità di affermarsi, mi ricorda i miei antichi compagni di scuola. Le lettere che scriveva al padre (altro che lettere tipo “Cuore” di De Amicis) ragioni: per vendicare il padre e per difendere le sue idee democratiche contro i Borboni; le due cose insieme fino a quando non catturò coloro che avevano ucciso il padre.
Nel libro è descritta molto bene la società di Melfi e sono raccontati gli studi, tra Ariano Irpino e Potenza, di questo giovane convittore. Leggendo la storia di Nitti, di come si sacrificava, mi sono ricordato di quando studiavo a Potenza al Liceo, negli anni Quaranta e arrivavano i compagni di scuola studenti viaggiatori (o che erano convittori del Collegio Nazionale) da Avignano o da Barile, con la neve e i geloni. Questo Nitti che arrivava da Melfi, che aveva una madre contadina e un padre al quale avevano trovato un posto provvisorio, questo giovane che studiava con profitto e si sacrificava sapendo che dallo studio poteva nascere la possibilità di affermarsi, mi ricorda i miei antichi compagni di scuola. Le lettere che scriveva al padre (altro che lettere tipo “Cuore” di De Amicis) le pubblicherei tutte.
b_341_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Telero-Carlo_Levi_p._070.jpgNitti scriveva al padre di fargli avere i soldi di cui aveva bisogno soprattutto per comprarsi dei libri. un aspetto questo fondamentale per capire la personalità dell’uomo perché si apprende che aveva cominciato fin da ragazzo, anche quando poi andò a Napoli, a mantenersi da sé, facendo lezioni private e poi scrivendo con uno pseudonimo sui giornali.
Ne viene fuori la caratteristica di quella borghesia lucana nella quale la dignità della vita consiste anche nel saper affrontare rinunce, per compiere gli Studi e aiutare la famiglia. Nitti a 20 anni cominciò a mantenere il padre e i fratelli. Barbagallo ha messo in luce non solo il suo coraggio ma anche la capacità di stabilire un rapporto con la città e l’Università aggiungendo che la sua personalità iniziale, il suo mondo, non si sono mai perduti. Da giovane aveva tendenze mazziniane e attraverso il rapporto con la durezza della vita, con la durezza lucana arrivo al positivismo. Il positivismo di Nitti era però una esperienza della realtà. Egli voleva trasformare la realtà tenendo conto della realtà; e questa è la grande distinzione tra il meridionalismo di Nitti e il meridionalismo di altri personaggi ugualmente importanti, come Giustino Fortunato. La distinzione sta proprio nel fatto che Nitti non ha mai separato l’intellettuale dal politico.
Da ammiratore di Crispi, come Giovanni Nicotera, divenne in un secondo momento giolittiano e poi socialista riformista e quindi un liberale socialista, se si può utilizzare questa parola, e cioè un liberale che considerava il capitalismo come uno strumento di trasformazione economica e non di conservazione sociale.
La grande intuizione di Nitti è stata quella dello Stato inteso come mezzo per poter equilibrare le condizioni delle categorie più deboli anche del Sud.
Il suo meridionalismo, il suo statalismo nascono da una concezione economica. Non dimentichiamo che Nitti è uno dei nostri maggiori economisti e uno studioso abbastanza innovatore per i suoi tempi. Per la prima volta i problemi meridionali vengono studiati da un meridionalista il quale è convinto che lo Stato deve aiutare i contadini e le plebi meridionali a rinnovarsi e che quindi si batte affinché la borghesia meridionale e italiana capisca questo problema.
Dal libro di Barbagallo non viene fuori che Nitti fosse uno stinco di santo. Era un uomo caustico, che aveva il senso del potere ma non lo sapeva esercitare molto bene, altrimenti avrebbe avuto molto più successo. Era un uomo coltissimo. La sua matrice contadina lucana era fortissima; ma lo portava anche a pensare che bisognava sempre ottenere qualcosa, di pratico, di utile, che la fatica deve dare un certo guadagno. Il meridionalismo di Nitti differiva perciò da quello di Fortunato, di De Viti De Marco, di Salvemini, dall’ideologismo di Dorso.
b_231_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Telero-Carlo_Levi_p._071.jpgQuali erano i punti essenziali del meridionalismo di Nitti?
Innanzi tutto egli ebbe il coraggio, in un momento in cui, per paura dell’accusa di essere dei reazionari o dei borbonici, non si sollevava alcuna critica al tipo di gestione dello Stato unitario, di dimostrare che il rapporto tra Nord e Sud, con l’unità, era stato un rapporto sbilanciato, nel senso che lo Stato unitario aveva drenato risorse finanziarie dal Sud, e, attraverso un certo tipo di tassazione, aveva anche punito il Sud.
Questa denunzia allarmò Giustino Fortunato, timoroso che una simile tesi aprisse una frattura nella cultura “unitaria”, mentre Nitti sosteneva ciò proprio per rafforzare il rapporto tra Stato e Sud. Per esempio sull’emigrazione Nitti ha avuto sempre un’idea molto avanzata rispetto a quei borghesi meridionali, o anche a quai meridionalisti, che hanno avuto comportamenti ambigui e che, in sostanza, riducevano il fenomeno in poche battute: “I contadini se ne vanno, purtroppo; ma è meglio così perché non fanno la rivoluzione; peccato che se ne vanno perché aumenta il prezzo delle braccia da lavoro”.
Nitti, invece, ha guardato sempre all’emigrazione in rapporto allo Stato e si è battuto affinché lo Stato, anche attraverso iniziative private, banche ecc., potesse in qualche modo stabilire un rapporto positivo tra coloro che avevano il diritto di cercare il mercato migliore per le loro braccia e insieme il diritto di ricevere assistenza, grazie ad assicurazioni contro i rischi e a possibilità di lavoro. Le conferenze che Nitti teneva sul tema dell’emigrazione sono di un’attualità incredibile. Le stesse cose che Nitti diceva allora si potevano ripetere nel 1957 quando cominciò il grande esodo dal Sud al Nord.
E lo Stato italiano, la borghesia italiana, il governo italiano si comportavano negli anni Cinquanta esattamente come ai principi del secolo, come se Nitti non avesse insegnato niente.
Quando ho scoperto che Nitti parlava male della classe politica meridionale, mi sono sentito confortato, perché mi sono detto che allora non è così drammatica la situazione di oggi se era cosi con Nitti e che in fondo l’Italia è andata avanti.
b_325_400_16777215_01_images_Nord-Sud_Questione_meridionale_Levi_e_la_Basilicata_Carlo_Levi-Basilicata-22.jpgNitti aveva capito che il problema centrale del nostro Paese è quello di uno Stato moderno che governi con una programmazione economica nazionale, nell’interesse di tutti, che era poi il fine della “politica dei redditi” chiesta da Ugo La Malfa. In uno dei suoi saggi su Napoli raccontava che cosa era la camorra, allora a Napoli, e quali erano i rapporti molto stretti tra alcuni magistrati e alcuni deputati con la camorra.
Qualsiasi persona civile in Italia - scriveva -- non avrebbe invitato a pranzo certi deputati, di cui faceva il nome, e penso che ancora oggi certi deputati meridionali noi non li inviteremmo a pranzo.
Ancora oggi qual è il rapporto tra Stato e Sud? Lo Stato deve essere nel Sud anche imprenditore, nel senso che alcune cose vanno fatte dallo Stato, ma per altre deve garantire che siano attuate legalmente, legittimamente. Era questa la tesi di Nitti su come industrializzare Napoli. Nitti non ha mai pensato che Napoli dovesse essere industrializzata con i soldi dello Stato, ma che lo Stato dovesse garantire ad una grande città come Napoli, le strutture civili ed urbane necessarie affinché gli industriali veri potessero svolgere la loro attività.
Per quello che riguarda il Sud, Nitti ha sempre pensato alle bonifiche, alla riforma agraria, all’agricoltura non come un fattore secondario, come si continua a ritenerla, dell’economia meridionale, ma come ad una risorsa reale del Mezzogiorno, che andava però valorizzata in senso moderno, un’idea che è valida ancora oggi, perché se noi facessimo del grano duro buono, della buona pasta, la esporteremmo nel mondo; se noi conservassimo gli agrumi e le primizie del Sud con l’industria del freddo, noi avremmo dei prodotti industriali moderni che dobbiamo invece importare contribuendo in misura notevole al deficit della nostra bilancia commerciale.
La prima diga costruita da privati in Lucania, si chiamava “Lago Nitti”. Se oggi invece di fare dighe come monumenti, ce ne servissimo per irrigare la terra, certe zone del Sud sarebbero molto più sviluppate.
Tutti questi problemi Nitti li aveva posti nell’ambito di un programma di riforma e in una visione dello Stato che fanno di lui il più moderno statista che ha avuto l’Italia nel Novecento.
Fonte: Il ritorno di Nitti (Il ritorno di Nitti, conferenza alla Fondazione Carlo Levi, Matera giugno 1984, edito poi in Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, I, 1985)

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