Cartolina postale del XVIII batt. bersaglieri, le date riportate sono quelle della campagna del brigantaggio 1861-1865 e Terza guerra d'Indipendenza 1866 (da Wikipedia).
Cartolina postale del XVIII batt. bersaglieri, le date riportate sono quelle della campagna del brigantaggio 1861-1865 e Terza guerra d'Indipendenza 1866 (da Wikipedia).
Fu Angelo Raffaele Villani, soprannominato Recchiomozzo, per via di un orecchio smozzicato forse in qualche sua prodezza, un brigante tipico garganico. Gli mancava lo slancio generoso, in tutti i sensi, di Agostino, la capacità organizzativa del 'generale' Del Sambro (riconosciuto questi anche dalle autorità militari come 'riformatore di comitive', donde la perplessità e il ritardo della di lui fucilazione, cui accenna il Giuliani). Serrato ad ogni luce di bontà, era l’incarnazione della stessa ferocia, tetragono a ogni lusinga, diffidente verso tutti e soprattutto verso il nuovo ordine che, quando poteva, prendeva beffardamente in giro. Sprezzando ogni condizione di resa, fu ultimo a cadere e a tenere, a suo modo e per suoi fini, ancora tenacemente alta la bandiera borbonica. L’episodio clamoroso del battesimo di suo figlio nella chiesa di S. Chiara, di cui parla il Giuliani, ne è una prova eloquente: in esso interessi personali e di parte sono abilmente fusi e apertamente proclamati e imposti. Sicuro della sua fine, seppe e volle morire combattendo, non rinunciando a una sua vendetta di 'desperado' contro la nobile figura della guardia De Carolis, ultima sua vittima.

Cartolina militare a ricordo della campagna del Reggimento 'Lancieri di Montebello' contro il brigantaggio in Capitanata 1861-1863.
Cartolina militare a ricordo della campagna del Reggimento 'Lancieri di Montebello' contro il brigantaggio in Capitanata 1861-1863.
'Ma la caccia migliore però, sebbene avvenuta con una dispiacevole circostanza, fecesi nel giorno 17 agosto. La squadriglia era stata in agguato per un giorno e una notte, in un canale macchioso dei Lavorelli. Le riuscì finalmente l’imboscata all’alba di detto giorno. Se ne passava sicuro il brigante Angelo Villani-Recchiomozzo con altri due, un sanseverese ed un apricenese. Alla prima scarica caddero cadaveri questi due ultimi, ed il Villani ferito fuggiva. Carlo De Carolis, che era il capo squadra, nell’entusiasmo in cui si vedeva di poter prendere sì ricca preda, per la quale ci era una grossa taglia, senza nemmeno ricaricare il fucile, volle corrergli appresso, nella certezza di prenderlo vivo per lo gran sangue che versava dalla ferita. Ma il brigante, che si aveva il fucile, benché mozzo per metà da una palla, carico ancora, voltato faccia al prode, tirò il colpo, e lo fece morto prima di lui, che fu severamente punito dai compagni e fratelli dell’infelice ucciso. I quattro cadaveri arrivarono qui ad ore 15: quei dei briganti, dopo un giro per la città, furono deposti alla Croce, e quello del disgraziato De Carolis fu portato in sua casa, dalla quale, ad ore 21, fu accompagnato al camposanto con gli onori e con quella pompa che conveniva ad un vero patriota, che non aveva curata la propria vita per liberare la Patria da un mostro che da tanto tempo la infestava.
Sicché di tutta la numerosa banda di briganti sammarchesi, che dal quadro nominativo della provincia si faceva ascendere al numero di 79 non vi rimanevano che due, cioè Michele Battista Incotticello ed Antonio D’Amico detto Baldassarre, i quali, fin dacché fu ucciso Recchio Muzzo, non più comparvero e seppero eludere la più fine vigilanza della giustizia col tenersi nascosti. Ma alla fine, non potendola più così durare, nel giorno 11 febbraio dell'anno 1864 si presentarono: e con essi lascia perfettamente purgata questa Patria da quei suoi figli degeneri che tanto male le accagionarono sia nella sostanza che nella vita naturale e civile' (Giuliani).

Il 'prode' De Carolis.

Michelina Di Cesare, brigantessa uccisa dalle truppe italiane nel 1868.
Michelina Di Cesare, brigantessa uccisa dalle truppe italiane nel 1868.
A due anni dalla proclamazione, la piccola fiamma dell'Unità, custodita tenacemente viva dai pochi liberali del luogo, va finalmente estendendosi e ravvivandosi anche nel popolo minuto e soprattutto nel ceto artigianale, cioè, sempre e solo in quella parte residente in città. Sposarono con entusiasmo, si potrebbe dire rumoroso, la causa nazionale i due popolani, 'nullatenenti' fratelli Carlo e Luigi De Carolis, divenuti guardie mobili. Carlo, col suo temperamento energico, entusiasta, attivo, trascinò non pochi dalla sua parte e contribuì con la persuasione alla presentazione o alla cattura o alla morte di non pochi briganti. Dagli atti (Nota 1) della commissione si rileva che già dal 6 maggio 1863 'esso De Carolis' chiede non per sé ma per la squadra da lui comandata 'un premio per l’arresto dei briganti Merla Giuseppe e Miucci Antonio, passati per le armi il 22 aprile ultimo, nonché per l’attività mostrata nella persecuzione del brigantaggio medesimo'. Inoltre per l’”energia” da lui dimostrata 'ha indotto molti altri briganti a presentarsi' e che 'pertanto ora vede questi luoghi sicuri dalle vessazioni di questi assassini'.
Pochi giorni dopo, il 26 maggio, Carlo De Carolis e Francescopaolo Gallucci, 'infelici di fortuna', uccidono, in contrada Castello, il brigante Delli Calici Nicolangelo, 'trasportandone il cadavere in questo abitato'. In pari data, come dal verbale n. 9, la Commissione riconosce il De Carolis capo di una attiva 'squadra di volontari', la quale ha liberato “questa contrada dalle invasioni dei briganti, togliendogli nascondigli e portando il terrore nei manutengoli”. Intanto, per suo conto, Recchiomozzo, burlandosi delle autorità nazionali, non dà tregua, non si arrende, battendo la campagna e dando fastidio a chiunque non sia dalla sua parte. Nel marzo ferisce il pastore Pietro Coco per avergli rifiutato 'un po' di avena'. Nel luglio (vedi verbale del giorno 23) ha dispettosamente appiccato un 'incendio' nella campagna di un tal Ciavarella Nicola, 'apportandogli un danno di ducati 1.287' pari a 5.469,75 lire di quel tempo, milioni di oggi. E inoltre gli ha ammazzato 'un mulo di circa ducati 120 e rapinato un cavallo di non indifferente valore'.
Il saccheggio e l'incendio delle case di Castelluccio ad opera della banda di Chiavone.
Il saccheggio e l'incendio delle case di Castelluccio ad opera della banda di Chiavone.
Insomma, per opera del capobrigante Recchiomozzo, S. Marco è di nuovo terrorizzata, anche per quello che indirettamente le impone per mezzo di qualche prete, della sorella Arcangela e del cognato Giuseppe Villani. (Si ricordi anche la rumorosa manifestazione e gli unanimi rallegramenti popolari per il battesimo di un suo figlio nell'ottobre del ‘61). Questi due furono già in carcere per via della parentela con Recchiomozzo. Furono comunque scarcerati, il cognato in Foggia e la sorella a S. Marco, nel dicembre ‘62. Persistendo però nella loro attività, col seminare odio nel popolo e col minacciare la proprietà dei 'galantuomini', furono entrambi rimessi in carcere.
Fu questa una misura di sicurezza preventiva? Se così, le autorità locali mal si apposero, perché dovevano fare sempre i conti con Recchiomozzo. Questi, infatti, non se ne stette, anzi infierì maggiormente, essendo ora al suo seguito altri due fierissimi briganti: Lanzone Domenico di S. Severo e Guidone Francesco, detto Andreone, di Apricena. E dette così, per ben dieci mesi, filo da torcere al delegato di P.S. de Donato (Nota 2),

come già prima al capitano Rajola e poi al maggiore Mori, rendendosi loro sempre inafferrabile. Il sindaco, sgomento, informa chi di dovere. Alla notizia dell’arresto dei due parenti, Recchiomozzo,

'servendosi dei nefandi suoi mezzi come capo di banda armata, per motivo di brutale sdegno, indotto dalla malvagità, spacciando che tali suoi parenti sono innocenti, con la stessa banda ha carcerato già la massima parte degli armenti di questi proprietari, licenziandone i pastori, facendo sentire che ne deve distruggere subito con l’incendio e con le armi tutti gli animali. Onde si prevede che gravissime rovine faranno i briganti specialmente alla classe dei proprietari che sono rimasti nella massima costernazione'.

La banda del brigante Chiavone ospitata nel refettorio dell'Abbazia di Trisulti.
La banda del brigante Chiavone ospitata nel refettorio dell'Abbazia di Trisulti.
La lettera è del 22 dicembre 1862, e la tensione dura per circa otto mesi, fino all'alba del 17 agosto ‘63. I sammarchesi, divisi in due partiti, ormai capiscono o intuiscono che tutto si risolverà in un duello mortale tra i De Carolis e il Villani, donde la riaccensione degli animi tra i partigiani della vecchia e nuova causa. E se da una parte i manutengoli aumentano, anche dall’altra, proprio nel popolo minuto, amante dell’ordine e delle nuove leggi, la resistenza si fa sempre più tenace: ne è un esempio il caso di quel pastore che rifiuta un po’ di biada a Recchiomozzo, ossequente alle nuove disposizioni militari.
Senonché, c'è da dire che il duello mortale, inizialmente, non si svolse su di un piano di rusticana cavalleria: Recchiomozzo manifestò apertamente le sue intenzioni, per quanto feroci; dall’altra parte invece si ricorse al tranello, alle spie, all’inganno, a una donna. Non ci fu, come nel marzo, col maggiore Mori e il Mariotti, uno scontro aperto, ricercato e deciso dalle due parti.