Stato d'assedio. Preti e soldati contro briganti. Una processione a S. Marco in Lamis.I fatti che seguono sfiorano appena l’importanza di due avvenimenti: quello di Aspromonte e lo stato di assedio. Questo, inasprito dopo Aspromonte, fu proclamato, come si può notare, con molto ritardo e, almeno per S. Marco, a fenomeno brigantesco declinante, per la scomparsa dei suoi capi più animosi e geniali. Si può, anzi, notare questa situazione paradossale: in un primo tempo, briganti numerosissimi e forze regolari scarsissime; in un secondo tempo, stragrandi queste contro gruppi briganteschi sempre più sparuti. Altro da rilevare è l'animosa fede unitaria e liberale del giovane clero sammarchese: fede animosa e senso di moralità offesa in più modi fanno imbracciare il fucile a questi giovani preti, in aperto contrasto con il comportamento di gran parte del vecchio clero. Ne è da dimenticare che l’arciprete Spagnoli faceva parte della commissione per la repressione del brigantaggio. Va notato, per capire l'importanza della cosa, che a quel tempo il clero sammarchese era fiorentissimo, composto di oltre 60 preti (Nota 6).
'Per li nuovi movimenti [che] si facevano da Garibaldi, le Provincie Napolitane si dichiararono in istato di assedio. Nel 2 settembre [1862] perciò si pubblica con tamburo ancora qui: si chiamano le persone dalla campagna e si mettono le sentinelle a tutte le uscite del paese. Nel giorno 6 arriva un distaccamento del 22° bersaglieri con molte guardie nazionali da Montesantangelo. Non erano questi ancora giunti e due briganti a cavallo, che li avevano seguiti alla pedata, da sopra l’ultimo ponticello della strada nuova tirano cinque fucilate che mettono l’allarme nella folla ed un bisbiglio nel paese. I briganti adunque vogliono burlarsi della forza; continuano le rappresaglie; uccidono un cafone; ad un pastore tagliano ambe le orecchie; e nel giro di pochissimi giorni tolgono replicate volte la valigia della posta. Dietro questi fatti nel giorno 9 si mettono in giro i bersaglieri, e la sera del giorno 13 si ritirano otto cavalli e 11 cappotti tolti ai briganti. Le continue lagnanze di questi braccianti fanno persuaso il maggiore comandante, per cui questi si abitrò dare libera uscita e togliere il cordone nel giorno 16. Nel giorno 21 [settembre 1862] si celebra la fiera di S. Matteo la quale passò come se non vi fusse fatta per lo pochissimo concorso di forestieri. Gli animali neri però ebbero alto prezzo di ducati 25 ognuno. Si fanno in questi giorni molti arresti di donne, parenti dei briganti, e s’intima loro che se da quelli si farà il minimo male per le campagne, per ogni volta una di esse, presa a sorte, sarà fucilata. Era questo per certo uno spauracchio, ma fu per quelle misere meglio che una purga. Nel giorno 22 i bersaglieri partono per Foggia, ed i briganti, dopo aver licenziato i pastori, chiudono gli animali che trovano, e verso mezzogiorno, nel numero di circa 20, compariscono sopra il vallone, nella solita aiuola, da dove tirano molte fucilate. Succede tosto un allarme ed un serra serra, perché sempre si temeva che avessero voluto entrare. Essendo tornati nel giorno 24 i bersaglieri da Foggia, viene con essi la sospensione dell'assedio per 20 giorni, per causa della semina che si doveva fare. Intanto si fanno molti arresti, e si pubblica che chiunque porta per le campagne pane e altre vettovaglie senza biglietto sarà fucilato. Si arrestarono in questo medesimo giorno Michele Jatta fu Matteo e Giuseppe Ritoli, detto Malepensiero, perché trovati senza biglietto con pane ed avena, nel mentre andavano per seminare nel Calderoso. Li furono confiscati i cavalli, che poi si venderono all'asta pubblica e nel mattino del 26 si pubblica la sentenza di morte dei due infelici. Si fanno confessare e si mettono in carceri separate. Fu generale il dispiacere e sommo, ma inenarrabile fu poi quello dei loro parenti, i quali giravano le piazze piangendo da forsennati e cercando aiuto e protezione. Tale scena luttuosissima, che conquideva ogni cuore, riuscì pure a conquidere l’animo del maggiore, il quale, vedendosi ai piedi con la faccia nel fango donne mature, giovani donzelle e ragazzi di ogni età, con le lacrime che non poté trattenere, promise di aiutare gli infelici. La sentenza era del capitano dei bersaglieri. Convoca all’istante la commissione di guerra tra gli uffiziali di ambo le armate di linea, cioè, e bersaglieri e, contro della emanata sentenza, si rivolge per la sospensione della esecuzione. Il Ritoli, per la forte compunzione, vedendosi la morte vicina, si rompe il petto con una pietra, sino ad averlo tutto gonfio ed insanguinato. La sentenza non più si eseguì, dimostrata la loro innocenza. La alluvione del 2014 a S. Marco in Lamis.Nel giorno 30 si fanno armare molti cittadini e di ogni classe, tra i quali fanno parte vari preti giovani, e tutti, in compagnia dei soldati, partono in perlustrazione. Girano tutto il giorno e si ritirano la sera, senza aver visto neppure le vestigia dei briganti. Alle tante mortificazioni, sotto delle quali Iddio volle umiliare questo infelice paese, aggiungere si doveva la dirottissima acqua che nel giorno 3 ottobre, dalle ore 21 sino alle ore 3 della notte, cadde senza interruzione e sempre impetuosa. La piena del Vallone di S. Giuseppe, rotti gli argini sopra l'orto della Badia, s’incanala per quello, riempie tutte le case sottane ivi vicine fino a quelle nell'angiporto Totta: entra per la porta del campanile, occupa sino all’altezza di quattro palmi lo scoverto di questo, la sacrestia dei Fratelli di Cristo, e la piccola sacrestia oscura, entra anche nella sacrestia grande che riempie per un mezzo palmo; finalmente la piena, facendosi strada per sotto la porta di comunicazione del campanile, entra in chiesa ed allaga la piccola navata sinistra di fango, che si fece uscire insieme con l’acqua per la porta grande. Gli orti di questo contorno sono stati tutti coverti di ghiaia. Circa cento capre e pecore da macello, chiuse nella casa di Vincitorio dietro ai pozzi, morirono soffocate. Non si deplorò, per altro, altra vittima. S. Marco in Lamis: località Zazzano. Vecchia foto della casa di Tardio, a poche decine di metri dalla grava. Della casa ora sono rimaste solo rovine.Nel giorno 8 di detto mese si volle fare una seconda perlustrazione con molte guardie e con queste si fanno partire altri sette preti. Si trattengono 5 giorni nello girare la campagna, ma nulla fanno. I briganti invece fanno caccia tra loro stessi: uccidono, cioè, il compagno Marco Nardella Giarrino. Con la di costui morte pare che siasi pagato a rigore alla giustizia di Dio il barbaro omicidio in persona di Raffaele de Nisi, figlio di Pietro, consumato nel giorno 23 giugno 1857. I tre imputati, cioè Francesco e Marco Nardella di Luigi e Fabiano Lallo fu Nunziante, che, per due volte arrestati, seppero evadere il rigore della giustizia umana, non hanno saputo sfuggire anche in questo mondo il castigo della giustizia divina. Il primo fu ucciso nel palazzo di Tardio dai briganti nel 3 giugno 1861; il secondo ucciso dai medesimi in campagna, come sopra si è detto, e l'ultimo finì con la stessa morte nel 19 luglio ultimo. Ritirate nel giorno 13 le guardie, con soli sei cavalli trovati a riposo, nel seguente giorno se ne fanno partire altri, in cui si fanno comprendere altri due preti. Questa volta le guardie, nel giorno 15, trovandosi nella ‘cesina’ del sig. Tardio al bosco Zazzano, furono circondate da 150 briganti a cavallo: si fece per qualche tempo vivo fuoco da ambo le parti; non vi fu alcun ferito, ma i briganti vi lasciarono 13 cavalli. Le guardie si ritirarono nel giorno 19, e nel seguente se ne fanno partire altre, che, senza alcun bottino, si ritirano nel giorno 26”.
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