Veduta di Borgo Celano a S. Marco in Lamis. Il Borgo nacque nel 1908 come Villaggio S. Matteo
Veduta di Borgo Celano a S. Marco in Lamis. Il Borgo nacque nel 1908 come Villaggio S. Matteo
Seconda reazione, un Farinata plebeo e il plebiscito del 28 ottobre.
Dopo i chiarimenti già fatti, con alcune precisazioni e un tentativo di interpretazione delle due sollevazioni, ci pare opportuno ora affidarci senz’altro al Giuliani. Cronista diligente e attento, d'una precisione e fedeltà che certamente gli venivano dalla professione notarile, il Giuliani dimostra una notevole sensibilità storica, anche se il suo punto di vista è inevitabilmente unilaterale e non gli permette di comprendere a fondo le ragioni dell'altra parte. È evidente che noi, così dicendo, ragioniamo col senno dei posteri, con la prospettiva di un secolo di distanza; ma è anche chiaro che alcune deposizioni, genuine e non sospette dello stesso Giuliani, si ritorcono contro di lui e l’imbelle sua parte. Si devono infine ammirare nel Giuliani alcune qualità di vero scrittore: vi è ancora nelle pagine che seguono la presenza viva di un gusto del tempo, di un umore e colore che certamente saranno graditi al lettore. Superfluo aggiungere che non si possono condividere, anche se umanamente si comprendono, certe sue invettive contro la turba rivoltosa, terrorizzata e terrorizzante.

Un angolo di Rignano Garganico.
Un angolo di Rignano Garganico.
“Gli eventi tumultuosi e tremendi che si succedono in San Giovanni Rotondo (Immagine)palazzo-san-francesco.jpg spaventarono l’intiera provincia, e sempre più richiamarono l'attenzione dei superiori, che perciò nel giorno di giovedì 25 una forza di Garibaldini, al comando del generale Romano (Nota 1 - 1. parte) (Nota 1 - 2. parte), in numero sopra mille, altra volta usciva da Foggia, e non più direttamente per l’infame paese si dirigeva, ma prese la volta di Rignano, ove giunse alle ore tarde della sera. I naturali di quel paese, quasi tutti, avevano abbandonate le proprie case per la tema che i sammarchesi fusserò ivi andati per rovinarli, poggiando fede a quello che si vociferava. Giuntavi la truppa, onde alloggiarla si dovettero aprire le case per lo più rimaste incustodite, per cui ne seguirono quei soprusi che qui non è lecito ricordare. Per l'arrivo della truppa in Rignano, i proletari sammarchesi, uniti a non pochi sangiovannesi, fecero ritorno a ciò che era già succeduto nel mattino del giorno otto. Voci allarmanti uscivano dalla moltitudine, che arrecavano l'universale spavento. La forza, dicevano, aggredirà il paese; le nostre donne saranno disonorate e tutto sarà posto a sacco e fuoco”.

Ancora una volta la strana e paradossale situazione di un popolo impazzito: si crede minacciato dalle sopravvenienti truppe garibaldine, e in più si sente pressato dagli stessi rivoltosi che lo hanno subornato per credersi infine ricacciato e sfuggito come cane rognoso e appestato dai paesi limitrofi e dalla stessa gente del contado.

Veduta della valle dello Starale nella quale si trova S. Marco in Lamis.
Veduta della valle dello Starale nella quale si trova S. Marco in Lamis.
“All'armi adunque. Oh cecità, oh insania! Tutti corsero all'armi, e per armarsi chi di anni era privo, il popolo in rivolta assaliva le case dei proprietari, richiedendo fucili e munizioni, e chi poté prestarsi dové contentarli. Si chiassava e tumultuava in modo inesprimibile in tutta quella terribile notte, nella quale non si prese cibo né sonno. Le famiglie venivano sorprese da mille tristi pensieri, e dalla maggior parte si prese la determinazione di fuggire in campagna. Ed era cosa spaventevole vedere tutte le primarie famiglie del paese, e tra esse degli uomini inoltrati in età, e donne inabili, non avvezze al cammino, uscire di notte tempo dalle case loro, e chi con i piccoli loro figli nelle braccia, chi sostenendo il vecchio padre, chi trasportando materassi e coverte per dare riposo a colui che più indebolito fusse giunto alla meta del loro sconsigliato imprudente viaggio. Fuggire spaventati inerpicandosi sulle alte e alpestri montagne, che dalla parte settentrionale circondano il paese, e fortunato chiamavasi colui che nella fuga non trovava ostacoli, come non a pochi è avvenuto, giacché tutto il paese e tutte le uscite erano custodite dal popolo che gridava ai fuggenti: - non uscite, non ci abbandonate, perché noi difendiamo l'onore, la vita, la roba di voi tutti; e se voi tutti abbandonar ci volete all'ira della truppa, noi saccheggeremo le vostre case e metteremo tutto a fuoco. Che perciò fu giuocoforza agli ostacolati far ritorno nelle proprie abitazioni. Di quelli poi che uscirono, chi ne può descrivere i trapazzi, gli incomodi ed i mille mali cui andarono soggetti? Chi non avendo potuto trovare alcun ricovero, è stato costretto a starsene tutta la notte all'aria aperta, accovacciato dietro una maceria, esposto al rigido di una notte di ottobre, che nel nostro paese è un principio di inverno: chi entrato in una qualche rurale abitazione, appena vi trovava luogo per essere all’impiedi, e stretto dalla moltitudine ruggita da non potersi muovere; chi appena per favore poteva avere poca paglia per accovacciarsi in un cantuccio, e vedevasi costretto a ritirarsi in qualche lurida grotta a mo’ di immondo animale. Non poche delle famiglie così trapazzate, nella notte per non andare incontro forse ad un'altra più terribile, si decisero, all'albeggiare, andarsene nei convicini paesi, e perciò si diresse per Sannicandro una parte, altra per Sansevero, altra per Apricena. Ma quale non fu la sorpresa quando veniva loro contrastata l'entrata nei detti paesi, perché i convicini popoli già si erano malamente prevenuti al riguardo dei sammarchesi. Convenne piangere e pregare e chiedere garanzia agli amici. E chi descriver potrà lo spavento di quelli rimasti in campagna, quando un banditore, mandato dai caporioni del popolo, girando per colà con tromba e tamburo, invitava tutti a ritirarsi se non volevano che le loro case si fussero esposte al sacco e al fuoco?
Convenne loro, dopo una penosissima notte, ritornare in paese calando quelle ripidissime montagne che a stenti salirono la notte innanzi. Il sole del venerdì [26 ottobre] incominciava a indorare le creste dei monti. Le voci di allarmi si facevano nuovamente sentire, e chi di arma da fuoco non poté essere provvisto, si vedeva armato con armi di ogni specie. I timori di una vicina aggressione sempre più aumentavano, e specialmente dal silenzio in cui si rimaneva il generale Romano, il quale nessuna partecipazione uffiziale ne faceva giungere alle autorità locali: ciò non pertanto si sperava che quella forza si sarebbe diretta non già per San Marco, ma per San Giovanni Rotondo. Il giudice regio, Don Luigi Altobelli, il secondo eletto funzionante da Sindaco per la mia dimissione, Don Michele La Porta, intrattennero la moltitudine, e mossero per Rignano in deputazione, ma, giunti a metà della strada, alcuni contadini reduci da quel paese l’intrattennero, assicurandoli che la forza sarebbe venuta sdegnata in San Marco e che non voleva sentirsi parlare di pace. Quindi i due magistrati se ne ritornarono, ed alla loro comparsa i malevoli, persuadendosi nella loro ostinatezza, che tutto era inutile, che la truppa sarebbe venuta in paese per metterlo al sacco e al fuoco, ed esporre il popolo al furore militare, armati come si trovavano, e rafforzati dai sanguinari sangiovannesi, presero prestamente la via di Rignano, nel contempo che la truppa per qua si muoveva”.

E qui il prodigio di uno strano fenomeno meteorologico, inteso dalle parti come provvido intervento, cui anche altri cronisti, tra cui il Tardio, accennano.

Il castello baronale di Rignano Garganico
Il castello baronale di Rignano Garganico
“Quando le due forze furono a vista, la truppa si schierò in posizione di guerra e sotto il comando militare si avanzava.
Non così la massa, la quale senza direzione e senza comando si precipitava per essere affrontata e distrutta. Nell'avvicinarsi si scambiarono delle fucilate, e, per quanto si disse, l'armata tirava per non offendere ma per intimorire. Il cafone irruente non curava pericoli e si inoltrava. Ma, oh portento! nel mentre che limpido e raggiante della più pura sua luce il sole si alzava in un ciclo perfetto azzurro e tutto sgombro di nubi, ed intrepido spettatore della funesta scena annunziava il più bel giorno di autunno, alla prima azione una nube misteriosa sorta nel solo perimetro della pugna, recava nebbia addensata sopra di quella montagna, e, strette le tenebre come la notte, la bellica azione non più poté proseguire, e la forza, a miglior consiglio, inesperta dei luoghi, dové non senza stenti retrocedere in Rignano, nel mentre che i rivoltosi, quasi con la stessa difficoltà, facevano ritorno in paese. Nel conflitto non si deplorò alcun ferito”.

È dunque in atto uno scontro tra le forze garibaldine, rappresentanti la nuova Italia, e quelle di una massa ancora fedele al Borbone; per la seconda volta in un mese S. Marco vuol testimoniare, con questi sussulti di resistenza, la sua fedeltà al vecchio regime.
I sammarchesi però sentono di aver purtroppo perduto la partita, e finalmente chiedono una resa onorevole, venendo a patti con coloro che, sbarcati il 19 agosto a Melito, raggiungeranno e occuperanno, in nome dell’Italia appena il 28 ottobre, la loro città. I delegati al patto di resa saranno sì i borghesi e le autorità costituite, ma il comando, la vera autorità è nelle mani dei ribelli che rappresentano la più parte del popolo.

Veduta di Rignano Garganico.
Veduta di Rignano Garganico.
“Ritiratisi in paese i rivoltosi nelle ore di mezzogiorno, aspettarono che l'orizzonte si fusse rischiarato. Un rinforzo armato di sangiovannesi, al comando di Vincenzo Antini e di Francesco Cascavilla, si era ad essi unito. Costoro finirono di portare lo spavento nel popolo e lo incitarono a ritornare alla pugna, dicendo che la truppa avrebbe prima distrutta San Marco e poi San Giovanni. Tutti insieme assalirono le case dei proprietari per avere armi e munizioni, e poveri quelli che nella notte innanzi non si erano dati in fuga, sanno essi quanti insulti, minacce e peggio han dovuto soffrire! La mia casa venne altra volta aggredita, e la mia famiglia dové soffrire insulti, e specialmente dai più vili, dai più insolenti, dalla feccia del popolo, da Michele Mimmo, detto Sciuliddo, e da Antonio Scarpa (Nota 2), Mulo Tardio, che con lo schioppo impugnato, chiedevano dai miei figli munizioni e armi, ed il ‘Mulo Tardio’ a forza voleva un designato schioppo, e fu giocoforza contentarlo in parte.
Alle ore di vespero ammassati presero la strada di Rignano e ardirono avvicinarsi a quelle mura. La sentinella gridò l'allarmi, e la truppa bellica e coraggiosa, si dispose in ordine e pose in fuga i ribelli, inseguendoli per tutta la strada, e dai rivoltosi si consumò molta munizione inutilmente, perché malamente maneggiavano l’arma, e fuori tiro. Il tetro velo della notte incominciava ad appannare l'azzurro del cielo, e la truppa inseguiva sempre l'orda avvilita ed ignorante fin sulla vetta del monte, a vista del paese, e proprio fino al podere di Don Michele La Porta, e visto avanzarsi la notte se ne ritornò in Rignano. Anche in questo secondo scontro nessuno perì. Nel mattino seguente, sabato [27 ottobre], riunitisi a consiglio i buoni, credettero indispensabile una deputazione al Generale Romano, onde ricevere la truppa in pace, prevedendosi le tristi conseguenze del furore militare. Il parroco Don Eugenio Moscarella, i canonici Don Luigi Giuliani e Don Costantino Pennisi, i sacerdoti Don Pietro e Don Costantino Vocale, il secondo eletto Don Michele La Porta, il conciliatore Don Gabriele Piccirella, ed i Decurioni, professori e galantuomini, Don Matteo Tardio, Don Giovanni Picucci, Don Filippo Santurbano, Don Raffaele Rispoli, Don Pasquale De Theo, Don Giovanni La Selva, Don Pietro Rendina e Don Giovanni D’Apolito, armati di cittadino coraggio ed a piedi, mossero per Rignano tra gli insorti, che a gran pena annuirono. Si pose a guida della deputazione il Sig. Pasquale Tancredi, soggetto assai influente, e perché non avvezzi a camminare sì lungo tratto a piedi, la deputazione poté stentatamente arrivare ad ora di mezzogiorno, e quando il generale non poté riceverla. Terminato il desinare, il generale la ricevé di mala voglia, ma poi convinto che si chiedeva pace e con la pace si doveva entrare in S. Marco, vennero a stabilire le condizioni, e si stipulò che doveva precedere il disarmo, che si doveva procedere alla votazione del plebiscito, che si doveva rivalere la truppa delle spese fin all'uscita da Foggia. Sottoscritto il doppio foglio, la deputazione si accommiatò, e, giunta alla distanza di mezzo miglio dal paese, per espresso veniva richiamata, perché era giunto in Rignano il governatore col procuratore Generale. Si doveva ubbidire, ed il solo Pasquale Tancredi continuò per qua a rilevare le vetture per gli affievoliti deputati. Al di costui arrivo i rivoltosi che aspettavano fuori l'abitato, se lo posero in mezzo, chiedendogli notizie, ed assicurati della pace conclusa, se ne dispiacquero alquanto, e più quei diavoli figli di Giuda, i sangiovannesi, i quali proruppero in minacce contro la deputazione che si voleva massacrare al ritorno. E si immagini il lettore quale impressione produr potevano sugli animi e nelle famiglie dei deputati siffatte voci! Povere famiglie, palpitanti attendevano il loro ritorno. Il Sig. Governatore, negli alti suoi poteri, approvò lo stabilito col Generale, e s’impose alla deputazione di ritornare il domani con le condizioni accettate dal popolo ed immancabilmente per le ore 15, soggiungendo che il domani, domenica [28 ottobre], sarebbe entrato in San Marco col buono o con la forza.
Ma perché nei tumulti popolari ci è sempre un certo numero di uomini che o per un riscaldamento di passione, o per una fanatica persuasione, o per uno scellerato disegno, o per un maledetto gusto del soqquadro, o per un pravo fine di pescare nel torbido, fanno di tutto per ispingere la cosa al peggio, propongono e promuovono i più spietati consigli, soffiano nel fuoco ogni volta che principia ad illanguidirsi; non è mai troppo per costoro, vorrebbero che il tumulto non avesse né fine, né misura; così nella permanenza della deputazione in Rignano, venuto da lì un tale Giuseppe Gaggiano, detto ‘Inquisito’, a comprare sigari per la truppa, non essendovene in Rignano a sufficienza, recò pure la notizia della pace conclusa, e che, per confermarne il popolo, sarebbe la deputazione tornata in compagnia di alcuni ufficiali garibaldini. Ma quale allarme non successe a tale notizia? Si gridò dal popolo al tradimento. La deputazione ci tradisce! ed a questa voce da taluni e, come dicemmo, dai maledetti ed inumani sangiovannesi, si replicava quella istessa insinuazione: si uccidano, si uccidano”.

Qui si fa innanzi Agostino Nardella, il vero capo di S. Marco in quell'ora, il coraggioso futuro brigante che pagherà di persona con la morte, sulla stessa via di S. Marco-Rignano, tra pochi mesi, nel giugno del 1861. Un atto di riabilitazione non ritardato dalla burocrazia, invocato dalle autorità e dai “buoni” sammarchesi, come si vedrà, avrebbe invece fatto di un “prode” brigante un “eroe” dell'altra parte. Egli con sdegno davvero di un Farinata, si pone ora risolutamente contro i colleghi caporioni di S. Giovanni in difesa dei patti, della sua gente e della sua città, rendendosi “il più benemerito della patria”.

S. Marco in Lamis - Uno dei numerosi 'palazzi' che si affacciano su Corso Matteotti.
S. Marco in Lamis - Uno dei numerosi 'palazzi' che si affacciano su Corso Matteotti.
'Allora sì che il tremore del paese e il terrore facevano sentire tutta la loro possanza! Lo spavento che si accrebbe in quelle povere famiglie al solo pensare che chi minacciava la vita ai loro di già avevano le loro vestimenta, le loro mani lorde di sangue umano e innocente! E come che nei tumulti per contrappeso ci è sempre un certo altro numero di uomini che con pari ardore e con insistenza pari ai primi si adoprano per produrre l'effetto contrario, taluni, mossi da amicizia e da riconoscenza, altri, senz'altro impulso che di un ampio e spontaneo orrore del sangue, questi, e più Agostino Nardella "Potecaro", caporione del popolo, minacciando, come tigre sdegnata, i sangiovannesi che avviliti ingambarono la loro coda, gli fece sentire che se per poco avessero ardito rivolgere una parola sola di insulto alla deputazione, quando sarebbe tornata, li avrebbe tutti sterminati. Gloria alla influenza del "Potecaro", il Cielo il benedica, perché alle sue minacce il popolo si ritirò e poco dopo, verso un'ora di notte, la deputazione ritornò sana e salva a consolare le scuorate famiglie'.