Domenica 28 ottobre: ancora trattative e finalmente il plebiscito

S. Marco in Lamis: il vescovo della diocesi di Foggia circondato da numerose persone.
S. Marco in Lamis: il vescovo della diocesi di Foggia circondato da numerose persone.
“A prima ora del seguente mattino, domenica, tutto il popolo armato trovavasi altra volta schierato fuori al Piano. La deputazione riunita diede lettura della convenzione stabilita col generale in Rignano. Non tutti la sentivano bene e specialmente riguardo al disarmo. I sangiovannesi che non vedevano in trattativa gli affari del loro paese, giacché anch’essi dopo l'eccidio commesso desideravano la pace, fremevano, e l’Antini e il Cascavilla minacciavano rimanersene coi paesani armati in campagna per disturbare la pace ottenuta. A siffatte minacce il popolo sammarchese che quasi era persuaso ad accettare le condizioni di pace, surse altra volta a gridare che se la truppa doveva venire non doveva entrare armata, ma depositar dovea ancor essa le armi ove si richiedeva il deposito delle armi cittadine. Strana pretenzione! ed il galantuomismo ed il clero non potevano persuaderli. Si dové ricorrere ad Agostino Nardella “Potecaro”, che con la sua influenza sul popolo ne fece raggiungere lo scopo, ed il disarmo avvenne, depositandosi li fucili nel camposanto. Intanto l’ora di appuntamento era per passare, ed essendosi ottenuto il deposito delle armi, si spedì Pasquale Tancredi al Generale, onde far noto che la deputazione non si muoveva ancora, perché stava disponendo le cose per la votazione del plebiscito, essendosi il disarmo già fatto. Così assicurati il Governatore e il Generale, si apparecchiavano a uscire da Rignano e muovere verso San Marco, e da qui, dopo che la popolazione si calmò, la deputazione contenta si mosse ad incontrarli.
San Marco in Lamis: Largo Piano ovvero Piazza Europa.
San Marco in Lamis: Largo Piano ovvero Piazza Europa.
E tu, lettore carissimo, non puoi immaginarti, né io saprei dirti il cambiamento istantaneo che successe nella popolazione poco prima sì feroce. Come quando succede in un teatro il cambiamento di scena, che da quella che si faceva vedere un carcere, una casa di lutto, ne succede un'altra briosa, allegra come quella che è per festa, così avvenne quel giorno. Poco prima lo squallore era dipinto in tutti i volti, le strade parevano a lutto, se qualcuno ti guardava lo credevi nemico. In men che lo dico le facce degli uomini si erano rimesse da quell'aspetto ferigno, e tutti indistintamente allegri uscivano dalla casa comunale, dalle botteghe, dalle strade col ‘Sì’ sulla falda del cappello e nelle pieghe dei berretti, e molti, per farla più sontuosa, uscivano col ’Sì’ di tre colori che facevano fare da un pittore, e quel ‘Sì’ che tanto aborrivano e che se fosse stato pronunziato in tempo avrebbe risparmiato il paese dallo spavento e dal terrore, si pagava financo ognuno un grano. Tutte le porte, tutti i balconi, tutte le finestre ornate si erano di bandiere tricolori con lo stemma di Savoia, ed in mancanza di questo si vedevano faccioletti di colore con in mezzo la croce bianca. E così parate tutte le strade davasi il segno della pace accettata, ed il cuore che prima era oppresso dal timore e dallo spavento si apriva a respirare la vita. Verso le ore 20 [precisamente verso le attuali ore 13 e 30, poiché le ore 24 corrispondono a quella dell'Ave dopo il tramonto] la truppa comparve sulle ‘Coppe’, e si vedeva la cavalleria in bella linea disposta sulla cresta delle montagne. Allora tutto il galantuomismo con bandiere tricolori e tutta la popolazione si mosse ad incontrarla, salutandola con gli evviva a Garibaldi e al Re Galantuomo. Prima a calare fu l'avanguardia, e quattro dragoni si misero alla custodia dei fucili depositati, e un tenente delle guide a cavallo fece schierare la popolazione in due ale, e la istruì come doveva salutare la truppa. Lo squillo della tromba ordinava la ritirata dei cacciatori che si erano sparpagliati sulle vette dei monti e il rullo dei tamburi faceva disporre la truppa al defilare, e così, tra il suono della banda musicale che accompagnava la truppa, tra gli evviva a Vittorio Emanuele, a Garibaldi, all'Italia, una, libera, indipendente, si entrò nel paese per la strada Ponte alle Grazie. Tutte le strade formavano un continuo padiglione di bandiere tricolori e faccioletti crociati: le donne dai veroni sventolavano bianchi lini, salutando la truppa con gli stessi evviva. Si girò sempre gridando per la piazza maestra, si prese la piazza seconda da San Berardino, e si camminò per tutto il paese; e quando si giunse al Corpo di Guardia, un altro grido di evviva ed ognuno soddisfatto si ritirò. I soldati cantando e contentissimi della ricevuta accoglienza presero gli alloggi per riposare. Per ordine del governatore il popolo riunitesi in comizio divenne al plebiscito, che non poté aver luogo nel giorno 21, e la Commissione in permanenza sino alle ore 24 ebbe colma di ‘Sì’ la cassolina dei voti, che il dì seguente si portava a Foggia dal decurione Don Giovanni Picucci con uffizio della lodata autorità, e schiusa da quella commissione risultò in numero di 3.200 ‘Sì’ (Nota 1) e non si rinvenne alcuna cartella per il ‘No’”.

Pur dopo tanto tempo trascorso, l'onda di commozione del buono e vecchio Giuliani raggiunge anche noi, ma... come spiegarsi questo improvviso cambiamento di scena, così radicale e totale? Quel giubilo, quell'entusiasmo della stessa folla che fraternizza con i soldati di Garibaldi e di Re Vittorio ci lascia perplessi. La popolazione era dunque stata ingannata ancora una volta sulle buone e giuste intenzioni dei soldati italiani?
L'inganno caduto spiegherebbe l'esplosione di gioia e l'unanime votazione plebiscitaria? In quella gioia però, in quell'entusiasmo notiamo qualche cosa, se non d'isterico, certamente di posticcio, di artificioso e di effimero (Nota 2). I fatti che seguiranno a pochi mesi di distanza lo confermeranno. A parte il voto non segreto (con tre urne, con schede distinguibili dal colore e numero inferiore (Nota 3) preventivato per le rosee: per cui si presumeva scontato in anticipo l'esito favorevole), come ha fatto la commissione provinciale, aperta l'urna, la 'cassolina', a contare 3.032 'Sì' e a non rinvenire nessuna 'cartella' rosea, scheda cioè negativa?
Negli atti da noi rinvenuti però v'è un elenco nominativo degli elettori di questo Comune che arriva precisamente fino al numero 3.086. Ammesso che non vi sia stato alcun assente per giustificato motivo di malattia o per altro impedimento, v'è una differenza nel numero di non votanti di appena 54. Come poteva esserci un così travolgente e mutevole entusiasmo da un giorno all'altro? Effettivamente non vi è stato alcun votante che si sia cancellato dall'animo, al momento del voto, l'immagine del figlio di Maria Cristina?
Per questo gratuito e inutile broglio elettorale pensiamo alle malinconiche riflessioni dell'autore del Gattopardo. In quell'entusiasmo popolare v'era dunque qualcosa di burlesco, il piacere di un giuoco puerile, come di chi l'ha fatta franca, di chi l'ha scampata bella.
Pur ammettendo una genuina maggioranza favorevole, v'è comunque in tutto questo, nella votazione ritardata, il mesto odore di una minestra riscaldata. Ma vi è dell'altro: in data 26 ottobre il governatore provinciale, per i troppi disordini e moti insurrezionali dauni, assumeva i pieni poteri. A S. Marco il 28 ottobre c'erano le truppe inviate dal governatore e quelle di un uomo di ventura quale Liborio Romano: e ognuno sa come vanno a finire le votazioni con le baionette a pochi passi dalle urne.
Nonostante la sua indubbia diligenza, tutte queste considerazioni il buon Giuliani non le fa e non le poteva fare.
Per suo conto il governatore di Foggia, con nota del 4 novembre 1860 informava il sindaco di S. Marco sui risultati ufficiali del plebiscito tenutosi in tutte le provincie del continente (Nota 4). E per finire, ecco la storia di un retroscena e dei suoi odiosi strascichi.
Si tratta di una domanda e di una risposta, rispettivamente dell'intendente di S. Severo e del sindaco di S. Marco, che qui trascriviamo:

'Signore,
sarà compiacente di informarmi della condotta del signor Liborio Romano della disciolta brigata Peuceta in Avellino; e nel caso che costui pervenga costà di strettamente sorvegliarlo. L'Intendente Folinca.
Sansevero, 28 Gennaio 1861'.

'Sig. Intendente,

S. Marco in Lamis: il municipio già Palazzo Badiale
S. Marco in Lamis: il municipio già Palazzo Badiale
nella sera del 25 ottobre prossimo scorso anno, si fece ad arte sorgere la voce in questo comune da segreti messi del Sig. Romano, che una partita di milizia avventuriera, comandata da esso Romano era giunta nel limitrofo comune di Rignano, per quindi recarsi in questo comune e mettere a sacco e fuoco questi abitanti e abusare delle donne. Inferocitesi il basso popolo a tale novella si riunì nella notte per impedire l'entrata dei militi, ed i galantuomini e gente da bene emigrarono con le famiglie a piedi in altri comuni e nelle campagne. Infatti gli sforzi di Don Michele La Porta 2. eletto allora funzionante da sindaco, e del clero, e galantuomini riuscirono vani, ed in allora il detto signor La Porta spedì un espresso a cavallo al sig. Governatore in Foggia, il quale in vista si portò di Rignano, ove chiamò una commissione. Il 2. eletto in unione di galantuomini, parroci ed altri preti si portarono in Rignano, e quasi catturati, contro ogni diritto stabilì il Sig. Romano delle condizioni per rispettare la vita, l'onore delle famiglie e le proprietà dei cittadini. Fra queste ordinanze del dì 28 ottobre scorso stabilì una tassa di ducati 6.000 a peso metà del clero e metà di tutti gli ordini della città pagabile fra ventiquattro ore sotto il pretesto di spese di guerra, mentre dopo altri ducati mille si fecero pagare per diarie ai soldati, come si rileva da legali ricevute.
S. Marco in Lamis. Vecchio carro funebre della impresa Del Vecchio, ora scomparsa.
S. Marco in Lamis. Vecchio carro funebre della impresa Del Vecchio, ora scomparsa.
I ducati 6.000 vennero pagati col coltello alla gola ed introitati dal Sig. Romano ed è questa la causa che tiene e terrà in agitazione questo popolo che stimando la tassa ingiusta non sente di pagarla ed erutta voci di sollevazione. I proprietari poi che anticipavano i ducati 3.000 per brevità di tempo, temendo di perderli maledicono il nome di Romano, il nome del sindaco [è una frecciata del nuovo sindaco De Theo contro il vecchio Giuliani: tra i due evidentemente non c'era buon sangue. Altro temperamento quello del De Theo - come vedremo - più energico e, quando occorre, più risoluto contro tutti: autorità, briganti e vecchi amici liberali] e decurionato e quello del popolo ancora. I preti non cessano mai di maledire il Romano con ogni potere. Oltre a ciò tutte le baionette e buona parte dei migliori fucili depositati d'ordine del sig. Romano nel corpo di guardia da questa disciolta guardia nazionale vennero rubati da detta brigata oltre a tante scroccherie ed abusi commessi dalla brigata medesima. Dal quadro che Le ho abbozzato desumerà la condotta del sig. Romano serbata in questo Comune, a prescindere da ciò che ha praticato nei limitrofi comuni di Rignano e S. Giovanni Rotondo, ove intimoriti gli abitanti avevano abbandonate le case e a discrezione non di onorati militari, ma di sordidi avventurieri che si dedicavano al temporaneo mestiere delle armi per derubare quanto loro veniva il destro di vedere. Non mancherò tenerlo sorvegliato pervenendo in questo Comune. Serva ciò di riscontro al di Lei riverito foglio del 28 stante senza numero. Il Sindaco.
San Marco in Lamis, 30 Gennaio 1861'.

Dobbiamo però, a questo punto, far rilevare che era questa faccia negativa del Risorgimento, nell'inevitabile e impetuosa azione, concime fertilissimo all'imminente brigantaggio, e che l'unità italiana si presentava al popolo sammarchese tutto col volto del saccheggio nella prepotente figura di un avventuriero garibaldino (Nota 5-1) (Nota 5-2) (Nota 5-3).