Sanguinosi scontri, equivoci e gentilezza di popolo e di soldati.

La forza che sempre era in movimento, specialmente per le falde dei monti verso la Puglia, nel giorno otto sostenne un altro attacco nel Calderoso, ed uccise tre briganti; mettendo in fuga il resto per la salita della Torre, ove il Del Sambro fu quasi per essere trapassato dalla lancia di un soldato che solo fino a quel luogo e lontano dai suoi lo inseguiva alla coda del cavallo. I trapazzi continui però sostenuti dai soldati nella corrente canicola apportarongli non lievi nocumenti nella salute, per cui tra i molti infermi che vi erano, uno ne morì emottiaco nel giorno dieci, e fu precisamente il sergente che veniva fatto prigioniero dai briganti nel palazzo di Tardio. L’infelice morì senza il conforto della religione di Cristo, perché non poté ricevere i sacramenti, ma fu gratuitamente accompagnato il cadavere da tutto il clero.
Lo spirito del popolo intanto sempre protervo, sempre indocile, sempre restio alla minima osservanza delle leggi, ad onta del rigore in cui si viveva, non era mica ancora tranquillo. Arrivavano nel mattino del giorno 11 vari carabinieri da San Severo, e tosto una voce allarmante nel popolaccio annuncia che qui erano venuti per arrestare tutti i giovani plebei per farli soldati. Niente di tutto questo. E pure se lo fosse stato, modo strano, avrebbe dato a conoscere, come di già lo dicevano, che essi eligevano piuttosto farsi briganti che soldati. Furono per questo obbligati i parrochi girare per le rispettive parrocchie e persuadere gli sconsigliati padri a far ritornare i loro figli, perché in contrario sarebbero stati trattati come veri briganti, incontrandoli la truppa. Riuscì quest'altra volta il persuaderli e nel giorno dopo tutti si ritirarono. In questo medesimo giorno 4 guardie di Sannicandro accompagnarono qui in arresto varie persone parenti di briganti; ritornandosene in Sannicandro, in quelle vicinanze, con una sola scarica furono uccisi dai briganti che, postati, li attendevano. Intendete bene da questo fatto come e quanto timore dovevano avere i braccianti tutti che menar dovevano quasi tutti i giorni in campagna, della banda malevola, se questa sapeva fare immediata vendetta ancora di chi chiamato veniva dalla giustizia a prestare il suo servizio. Ma però Iddio di tratto in tratto ne sapeva fare anche delle sue, come nel giorno 15, quando infuse tanto coraggio a tre individui di San Giovanni Rotondo, i quali seppero eludere la vigilanza dei briganti, entrare inosservati nella masseria dei signori De Piato ed ucciderne due, che in compagnia di 
Un altro fatto, strano per verità, il quale se incolpabile nel suo successo, fu certamente di sommo sfortunio per una infelice famiglia, accadde nel venticinque, giorno di domenica. Circa 20 briganti a cavallo, con la solita audacia comparvero sulla vetta di Monte Melisci e, tirando colpi all’aria, via facendo, parte discese fin sopra la vigna di Tancredi, in vicinanza dell’abitato, e parte si fermò all’altra parte del monte, alla Crocicchia, nell’aiuola, un tiro di fucile appena lontano dalle ultime case. Il Capitano dei bersaglieri che faceva capolino dal solaio del sig. Tardio col cannocchiale prese tutti i connotati di un contadino che scendeva dalla conferenza coi briganti per la via dello Strascino, e subito, armati la sua ordinanza, si avvia frettoloso per quella parte. In quel frattempo viene da Rignano il padre Basilio Santurbano, accompagnato da un tal Michele Vocale (Sciarpone) al quale il suo padrone avea dato una pistola per difesa nella via, e che si era portato in casa per rilevare una sua figlia inferma e condurla seco in Rignano. Suonava per l’ultima volta la messa del mezzogiorno nella Chiesa dell’Addolorata, e poiché Sciarpone la doveva ancora sentire, a passo celere usciva da casa sua per andare in chiesa. Nel contempo giunge il capitano, il quale, vedendo colui fuggire, gl'intima di fermarsi, perché lo aveva realmente preso per la persona da lui veduta separarsi dai briganti, atteso che quasi tutti i contadini vestono alla stessa foggia. L’infelice, che ricordava di essere ancora armato, sbalordito al grido del capitano, si fermò subito, ma destramente cercava di gittare la pistola nel canalone. Il capitano se ne accorse della sorpresa, vide pure l’arma, e, vieppiù confermato, lo fece sparare dall'ordinanza. Cadde l’infelice ferito nel fianco. E quantunque costui avesse fatta palese la sua innocenza, contestata ancora da tutti per la sua buona condotta, pure si dové ricevere l'altro dispiacere di essere trasportato, così malconcio nel quartiere militare. E ci volle non poco a persuadere il capitano, il quale, finalmente convinto, lo lasciò condurre in propria casa, in dove nel giorno trenta morì.
Spesso spesso i soldati battevano la strada di Stignano, sia andando che venendo da S. Severo, e sempre si temeva per qualche imboscata di briganti a cagione dei tanti dirupi, macchioni ed andirivieni che quella valle offriva. Accadde infatti nel giorno 30 che di qui partendo una compagnia di bersaglieri per incontrare il sindaco reduce da Sansevero nelle vicinanze della Cappella, ebbe a sostenere un lungo fuoco con una ventina di briganti a piedi. Fortuna che se ne avvidero quando quelli stavano verso l’ombrilica di quella valle, nel bosco del Barone; per cui si attaccò fuoco fuori tiro, e non vi fu cosa a lamentarsi.
Sempre avidi di oro gli assassini con la forza sapevano saziarsi sul più debole, e quel che fa meraviglia si è che tra loro stessi niuno poteva essere sicuro. Una compagnia a cavallo di 19 briganti passava per le falde della montagna di Rignano nel giorno 3 settembre, e tutti forastieri. Ammutinatisi contro il loro capo, lo disarmano, lo spogliano di ducati 1.700 che aveva in oro e argento, e dopo tanti colpi e tante ferite, credendolo morto lo lasciano. Riavutosi il disgraziato dopo qualche tempo, e cercando sollievo per l’avanzo di quella misera vita, a stenti si incammina per quei dirupi; e per fortuna si imbatté in una grottolina vicino alla 