Spuntano ai pali ancora le teste dei briganti, e la caverna, l'oasi verde della triste speranza, lindo conserva un guanciale di pietra.
Rocco Scotellaro
L'ora del sangue e della verità
La domenica del 2 giugno 1861, prima festa dello Statuto dopo la proclamazione dell'Unità, è l’ora del sangue inutilmente versato e della verità per tutti. È l’ora della realtà tragica, maturatasi nel breve giro di pochi mesi, vista e presentita pensosamente da pochi, volutamente ignorata da molti, svelatasi infine funestamente a tutti. La verità di una situazione sempre più tempestosa, di una condizione storica patologica che dava i suoi frutti di cenere e tosco proprio al momento in cui veniva a scontrarsi con altra situazione storica che, per quanto nuova, anzi appunto perché tale, veniva improvvisamente a sovrapporsi esteriormente, si vorrebbe dire, quasi artificiosamente, dall’alto. È l'ora della verità per tutti, in quanto ogni singolo cittadino è posto definitivamente di fronte ad una scelta drammatica, senza poter più nascondere i propri sentimenti, interessi, scopi, tendenze e compiacenze. È la prova del fuoco, della forza e del sangue. Ognuno è costretto a mostrarsi per quello che intimamente è e per quello che nascondeva o covava.
Già da alcuni mesi, specie dopo la resa di Gaeta, l’atmosfera è carica di tensione; come di correnti di varia carica elettrica che tendono fatalmente all’incontro e allo scontro, all’urto, allo scoppio finale.
Quel che è triste notare è che si tratta di una catastrofe senza catarsi o, per lo meno, decantazione di sorta.
Episodi di valore, degni di miglior causa, e di abiezione e di tradimento si verificano e si susseguono in ogni campo. Sacrifici di sangue e di morte (quattro degli assassinati dai briganti sono anch’essi popolani) non conducono a un'interna illuminazione o, almeno, al comune senso umano della pietà, della resipiscenza e della reciproca comprensione. Vano qui è appellarsi, sia detto ancora una volta, a motivi patriottici, religiosi, morali, dinastici, ispirati questi dal senso della conservazione e della tradizione, o a moventi sociali e civili. Compositi e complessi, questi motivi, pur presenti ed agenti, hanno in fondo, per comune denominatore, la natura umana nei suoi sentimenti più nobilmente sublimi e più ferocemente bestiali. La natura umana vulcanicamente sprigiona tutte le sue forze, tutti i suoi istinti, tutti i suoi sentimenti; dove gli ideali sono strumenti del proprio “particulare” e questo viene elevato a nuovo ideale o semplice diritto alla personale esistenza. Alla fine, cioè al momento del confronto delle parti, vi è, comunque, una molteplice serie di sentimenti, di interessi e stati d'animo diversi che tendono allo scontro, quasi desiderano una buona volta l’urto, precipitando, come chimicamente, in uno stato esplosivo. Se un affetto v’è, quello del trono e dell’altare, esso si scontra con la dura realtà della nuova situazione storica; verità che si fa strada a fatica nella coscienza di un’esigua parte, e a cui vuol reagire, come reagisce, la quasi totalità della popolazione sammarchese.
Si è accennato a sentimenti tipici della natura umana, di là dalla superficie civile, politica e sociale. Vero è che mai sotto il passato regime borbonico si è avuto un precedente di così clamorosa esplosione di sentimenti e di ribellione al regime e all’ordine costituito. Le pressanti e fondatissime aspirazioni sociali ed economiche mai ebbero una reazione così violenta o un’affermazione così decisa e tenace. Tutto è stato possibile con l’arma della libertà, arma di cui il popolo ha fatto un immediato uso orgiastico e infantile, con le ovvie e inattese conseguenze del boomerang (Nota 1). Orgia sfrenata di desideri leciti e illeciti, di esigenze giuste e ingiuste, di aspirazioni degne e indegne, di fini privati e di ideali universali, patriottici o sociali che siano. Il popolo, usando della libertà, profittando dell’altrui debolezza e della fragile compagine del nuovo Stato, si è abbandonato a un’efferatezza tipica della condizione in cui è stato tenuto per lunghi secoli. Talché l’ebrezza della libertà e dei vecchi e dei nuovi ideali diviene praticamente, fuor di metafora, una ubriachezza vera e propria, tra cantine e improvvisati bivacchi notturni. E durante una di queste orgie i briganti saranno sorpresi e fugati nel sonno o nel delirio, come gli antichi eroi della leggenda omerica.
Non è superfluo ricordare che molta vecchia storia del costume paesano ha avuto origine nelle numerose cantine. Gravissimi delitti per futili motivi sono spiegati dal vino. E questa volta, dall'agitata emulsione di tale ridda di motivi, strano a dirsi, spunta il fiore della pura giocosità: dal giuoco delle parti politico-sociali e da quelle dei fatti privati e personali, si passa al giuoco puro e gratuito, anche se letale, al gusto di ammazzare e al rischio di farsi ammazzare, con una spavalderia comprensibile solo per una brama sfrenata e anarchica, e col terrore, poi, del ritorno all’ordine, al duro certo quotidiano (Nota 2). Funesto e macabro giuoco dell'antichissimo cupio dissolvi. Disintegrarsi nel delirio di una lunga notte senz’alba.