Foto di briganti.La domenica del 2 giugno, dunque, si celebrò la festa dello Statuto, tra il malinconico entusiasmo di una sparuta schiera di 'veri italiani', alla De Theo, e quello 'ufficiale' delle autorità e guardie; grande l’indifferenza o l'assenza dei molti scaltri o bene informati; generale la diffidenza sospettosa e allarmata o armata del popolo. Si avvicina l’ora del confronto delle parti, ognuno è costretto ad assumersi le proprie responsabilità e a pagare di persona. Profittando dell'imprevidente allontanamento delle forze dell’ordine, non a caso fu scelta dai briganti questa prima festività nazionale: era stata scartata la precedente festa del Corpus Domini, sia per la presenza del distaccamento dei soldati sia per l’accertata intesa tra i bene informati del luogo, del clero e dei briganti. Al solo fine di dare un'impressione più viva e diretta degli avvenimenti, è bene cedere la parola ai memorialisti del tempo, ai testimoni dei fatti, alle autorità inquirenti, donde alcune inevitabili ma non inutili ripetizioni. Apparirà ovvia in questi l’interpretazione unilaterale, specie del magistrato, e la relativa, sommaria condanna: ma il lettore scevererà e giudicherà da sé. Opportunamente annota il Giuliani:
'Non mai la storia dei patrii fatti può trasmettersi più veritiera e fedele, che quando essa viene delineata e tessuta da colui che di essi ne contemplava le apparenze, ne misurava la durata, ne assaporava gli effetti e ne segnava le variazioni tra le perturbazioni e l'indifferenza, tra la ferocia e la speranza. Tale, lettori amatissimi, sulla mia fede, è questo breve cenno storico, che vi presento, e che spero voglia esservi di buon grado, perché vi trarrà, quasi per mano, con la sincera esposizione dei tristi avvenimenti, ad un tempo, in cui questa medesima terra, questo medesimo cielo, queste medesime mura, ne videro l'esordio, la continuazione, la fine'.
Il canonico P. M. Giuliani, per la verità, nella sua memoria, in cui è evidente la collaborazione patema, segue all’inizio un po' pedissequamente gli atti del processo di Trani, ai quali è bene ora rifarsi. Però il padre, questo caro vecchio sindaco del burrascoso periodo garibaldino, indirettamente ci fa riflettere che la gran parte del popolo era sempre implacabilmente e duramente avversa al nuovo assetto delle cose, come dimostrano i fatti dello scorso ottobre e del giugno 1861. Con intonazione non priva di solennità, spiegata dalle dure condanne che sta per pronunziare e col sentimento del burocrate ligio al nuovo ordine, non privo di sincera fede patriottica, ma che diventa discutibile in un magistrato, quando detta solennità si vuol ergere a giudizio storico, così, nella sua lunga e dettagliata relazione istruttoria, il giudice della Corte di Appello di Trani cronologicamente registra e diligentemente allibra (Nota 1):
Panorama di S. Marco in Lamis.'In una delle falde del Gargano è situato San Marco in Lamis, terra popolatissima, ma angusta ed insufficiente a contenervi tutti i naturali di quel paese, i quali perciò si diramano nelle campagne, anche dei limitrofi territori, dove conducono vita nomade ed isolata. Non si vuole oltraggiare l’umana natura, ma certo non tutti imitano la primitiva innocenza dei pastori e dell’industre agricoltore. Vi ha pur molti che rozzi nei costumi, sforniti di ogni specie di istruzione, poco inclini al lavoro, si danno a seguire ciecamente l'impulso di selvagge abitudini che li trasporta al furto e alla rapina. Il senso morale si tace e si rendono accessibili al consiglio dei tristi. A queste cause naturali e predisponenti vanno aggiunte quelle che derivarono dal rivolgimento politico del 1860, quando pel disordine morale dal quale furono invase le popolazioni nel breve periodo interceduto fra la fine della servitù e il trionfo delle libere istituzioni, molti si abbandonarono al facile mestiere del brigantaggio, affidandosi a folli speranze di impunità. Ecco le cause prime ed originarie del tragico avvenimento che si ebbe a deplorare in San Marco in Lamis nel giugno 1861, oggetto della presente rilevantissima processura, alla quale per ragioni di connessità vanno riuniti svariati processi relativi ai fatti precedenti e posteriori addebitati ai medesimi malfattori. E questi fatti esposti man mano con ordine di data serviranno potentemente a rifermare il principio, cioè che lo scopo precipuo e unico del movimento insurrezionale fu la rapina, il furto e la vendetta privata, e che la causa politica cui accenna il processo vi concorse come secondaria ed accidentale, o meglio servì di occasione e di pretesto per abbandonarsi a tanti eccessi. In agosto e mesi posteriori del 1860 si organizzarono diverse bande armate col fine di commetter furti e depredazioni, composte in gran parte di contadini di San Marco in Lamis, ed in numero maggiore di cinque. Primi a scorrere le campagne furono gli evasi dal carcere: Angelo Maria Del Sambro già fucilato, che ne faceva da capo; Michele Battista Incotticello e Angelo Villani, ai quali se ne associarono molti altri. L'esempio fu imitato subito da Agostino Nardella ora estinto e da Angelo Gravina coi cinque figli Nicola, Giuseppe, Pasquale, Michele e Matteo, quest'ultimo già latitante per furto commesso in concorso di altri ladri ignoti ed armati la notte del 20 gennaio 1858 nella mandra del Sig. Pasquale Tagliavia, rubando diversi oggetti appartenenti al pastore Francesco Fanto, e 22 capre in danno di Tagliavia. Per questo reato dopo la spedizione del mandato di arresto a’ 19 febbraio 1859 si iniziava il giudizio contumaciale con decisione dell’abolita Corte Criminale di Lucera del dì 20 dello stesso mese ed anno. Essi Nardella e Gravina trovavansi possessori di poche pecore, che custodivano su quelle montagne, le quali in breve tempo si ebbero un prodigioso accrescimento, come si vedrà in seguito. Si associarono pure alla comitiva l’altro evaso dal carcere Nicandro Polignone, Fabiano Lallo, Luigi Civitavecchia, Carlo Caggiano, Giuseppe Battista fu Michele, Michele Gualano e Giuseppe Napoleone de Santis anche di San Marco in Lamis e tutti estinti o per fucilazione o nel conflitto con la forza pubblica... Alcune delle aree del Gargano nelle quali furono molto attivi i briganti.Tutti questi malfattori alcune volte si univano formando una banda numerosa di 40 in 50 individui armati di tutto punto ed a cavallo; altre volte si dividevano formando delle frazioni comandate da Del Sambro, da Agostino Nardella, da Nicandro Polignone e da qualche altro. Essi esordivano nella carriera del maleficio con infinito numero di abigeati, rubando gran quantità di pecore appartenenti ai proprietari della Capitanata e degli Abruzzi, che vanno a svernare in quella provincia. Ed in vero nella notte del 5 agosto 1860 rubarono 80 pecore nell’ovile di Pietro Fantetti di Alberona e la notte del 29 settembre dello stesso anno ne rubavano altre 293 e 11 capre in danno di Vincenzo Chiaromonte. Questi furti e depredazioni furono commessi in comitiva armata e continuarono senza interruzione fino a tutto aprile 1861, imperocché ne furono rubate in gran numero negli ovili, e in danno di Liborio e Stefano Angeloni e di Filippo Patini tutti di Roccaraso, di Nicola Caniglia di Rivisondoli, di Isidoro Corrado di Castel di Sangro, di Pasquale Miocchi di Lucoli e di molti altri. Le pecore e le capre rubate venivano sparse e divise fra i territori di Apricena e San Marco in Lamis riunendosi a quelle poche appartenenti ai briganti Nardella e Gravina. Quindi nel 27 aprile 1861 il giudice istruttore di San Severo assicurava in territorio di Apricena 556 pecore e 33 capre, mentre dal 28 al 30 dello stesso mese ed anno la forza pubblica ne assicurava altre 1.497 con circa 15 cantaja di lana nascosta tra i cespugli e le macchie. I custodi se la diedero a gambe e fu arrestato Angelo Colletta che i Gravina tenevano alle loro dipendenze... Inoltre a 8 maggio 1861 gli agenti della pubblica sicurezza ed il solerte ed animoso capitano della Guardia Nazionale di San Severo, sig. Santelli, dopo essersi imbattuti con la comitiva Del Sambro composta di cinque a cavallo e di altri a piedi, che posero in fuga, continuando le loro perlustrazioni, riuscivano ad assicurare nei pascoli del tenimento di San Marco in Lamis altre 1.698 pecore rubate, non ché un cavallo, arrestando i pastori Gerardo Tarulli, Michele e Felice Nardella al servizio del capo-brigante Nardella... Vi sono gravissimi indizi da far ritenere che Giuseppe Polignone fratello di Nicandro faceva parte di quella banda perché tolse al corriere la lettera diretta all’uopo dal Giudice di San Marco in Lamis a quello di Apricena... Ma quelle comitive, che già scorrazzavano nella Provincia di Capitanata, continuavano incessantemente nelle grassazioni e depredazioni'
(segue un lungo elenco di altri abigeati, di estorsioni, di depredazioni e forti taglie di ducati).
La masseria Paglicci a Rignano Garganico.'Per non interrompere la storia di tanti malefici consumati da quei ribaldi è opportuno ricordare che nel 19 aprile di quell'anno Pasquale Santoro, Francesco Nigro, Achille Renzulli e Giovanni Ferrandino, Guardie Nazionali di Montesantangelo, reduci da Rignano, per una missione di servizio volevano dissetarsi nella Reale Vaccheria Paglizzi(Nota 2) in quel territorio dove appena entrati furono circondati dalla comitiva Del Sambro ed obbligati a deporre le armi ed altro che quei tristi s’appropriarono, meno il fucile di Ferrandino che fu restituito per un'antica conoscenza da costui fatta col Del Sambro allorché stava in carcere. La già Corte Criminale della Provincia con decisione del 20 luglio 1861 dispose di spedirsi mandato di arresto essendo stato conosciuto tra gli altri Francesco Caterina. Veniva per questo carico imputato anche Giuseppe Guerrieri; ma il Giudice Istruttore dopo i raccolti elementi di innocenza lo scagionava. Serbando l'ordine delle date è d’uopo far parola del secondo carico espresso nella requisitoria del P. Ministero. Il Sig. Francesco Santelli di San Severo nel giorno 6 maggio 1861 assisteva i muratori che costruivano un locale nella sua masseria Mandramurata in territorio di San Marco in Lamis [si tratta invece di territorio sito in agro di Apricena], quando alle ore 22 comparve una comitiva di cinque malviventi tutti a cavallo e bene armati, due anche con sciabole, diretta da Nardella. Dopo aver cercato e bevuto del vino, rubarono due fucili, una sciabola, le giberne, con corrispondenti munizioni e quindi sequestrarono tanto il Santelli che il capo muratore Michele Soimero, ai quali imposero il riscatto di ducati 2.500: spedendo all'uopo in San Severo il carrettiere del sig. Santelli ed un figlio di Soimero, con la minaccia di morte dei due sequestrati se fino alle ore 2 di quella stessa sera non recavano il danaro. Partiti appena i due messi i briganti condussero i sequestrati alle falde della montagna detta Castelpagano, dove li obbligarono a gridare Viva Francesco 2° ed entrati in un abituro di pastori coi loro rasoi recisero la barba al Santelli e al Soimero il mustacchio. In quel rincontro quei predoni vollero far credere che propugnavano la causa dell’espulso sovrano, ed uno di essi cioè Francesco Caterina si annunciò di essere al servizio di Cappelli e diceva di essere in corrispondenza con Roma e che la reazione doveva diffondersi per tutta la provincia, sicché nel 25 di quel mese si sarebbe avverato il ritorno del loro protetto. Intanto alle ore tre di quella notte arrivò il carrettiere del sig. Santelli per nome Giuseppe Vicario e consegnò ai briganti duc. 60 ricevuti in San Severo. Furono dolenti di sì tenue bottino e per seviziare i sequestrati li spogliarono e li mandarono via. Il giorno 30 maggio 1861 la comitiva Del Sambro e di Agostino Nardella, composta di 12 a cavallo e 2 a piedi fra i quali fu conosciuto Antonio Fiorillo, presentavasi nella masseria di Pasquale Trotta di San Severo, dove rubavano una giumenta del valore di duc. 50 e quindi rilasciavano biglietti di ricatto con le solite minaccie per avere ducati mille. Nella stessa epoca la identica comitiva passando all’altra masseria di Matteo d’Anzeo anche di San Severo, rubava un cavallo, che fu destinato ad uso del brigante Giuseppe Napoleone de Santis da molti anni domiciliato in San Severo, il quale andava a piedi. Costui però si avvisò di restituire il cavallo al derubato, e per tal motivo recavasi a San Severo la sera del I giugno, dove affidando il cavallo al cieco Gerardo Rocca, che lo conduceva in casa del sig. d’Anzeo, egli, il de Santis, andò a visitare la moglie; ma mentre voleva andar via imbattutosi con una pattuglia di Guardia Nazionale gli fu ingiunto di fermarsi, al che egli aveva resistito a mano armata e quindi fu forza far fuoco. Così rimase ferito ed abbandonato. La mattina seguente rinvenuto in un giardino fu al caso di fare una lunga dichiarazione, nella quale disse che da due mesi si era associato alle due comitive di malfattori, comandate da Del Sambro e da Agostino Nardella, composte da 21 individui. Parlando dei movimenti della banda e di coloro coi quali era in relazione indicava fra gli altri il sig. Centola Francesco di San Marco in Lamis, come quello che dava asilo ai briganti e conservava anche una bandiera bianca: ma queste fole furono smentite con l’autorità di svariati e probi cittadini per modo che l’abolita Gran Corte Criminale con decisione del 28 agosto 1861 dichiarava di non farsi luogo a procedimento penale. La medesima comitiva il 12 maggio 1861 riappare nelle campagne di S. Marco in Lamis e Del Sambro e Nardella rubano due fucili, due agnelli ed altri oggetti nella masseria del sig. Lorenzo Masela di Rivisondoli a cui volevano ricattare ducati mille. E qui per serbare l’ordine delle date è uopo aggiungere che certamente la stessa comitiva composta di circa 20 individui, comandata dal Nardella la notte del 31 maggio 1861 recavasi nell'ovile del sig. Vincenzo Zaccagnini in territorio di San Severo e vi rubava due giumente, un fucile ed altri oggetti, facendo richiedere al proprietario la somma di ducati mille con la minaccia d’incendio e di distruzione di tutti gli animali. Si è già avvertito che i briganti di San Marco in Lamis avevano il sistema di dividersi e di formare separate bande. Così avvenne che nel giorno 9 maggio 1861 un drappello della Guardia Nazionale di quel comune essendo in perlustrazione ebbe ad imbattersi con una di tali bande composta da dodici briganti riconosciuti nelle persone non solo dei quattro estinti Nardella, Nicandro Polignone, Michele Gualano e Del Sambro, ma anche di Pietro Augello, Francesco Caterina, Angelo Gravina e figli Nicola, Giuseppe, Michele, Matteo e Pasquale armati di tutto punto e, siccome il milite Carlo De Carolis incautamente s’era allontanato dai compagni, così sei di quei malfattori lo circondarono minacciandolo del fato estremo se i suoi compagni avessero osato di far fuoco. Costoro al contrario vedendo in pericolo uno dei loro compagni di armi ebbero a retrocedere ed in tal guisa non si ebbe a deplorare alcun inconveniente. Probabilmente la stessa comitiva aggrediva nelle campagne di S. Severo quell’agrimensore Luigi Palmieri, cui rubava un cavallo ed una bisaccia. Quindi lo sequestrò e lo condusse nella masseria dei signori Figliolia di Foggia, donde fu liberato la mattina seguente. Capo di quella banda armata anche di sciabola si annunciava il Del Sambro'.
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