Prime conoscenze e vaghe reminiscenze dei briganti nostrani.
'Le comitive indigene, singolarmente scarse di numero, ma non meno feroci e sanguinarie delle maggiori, senz’altro scopo che quello della devastazione e della preda, si aggirano in permanenza nel territorio della provincia, salvo ad unirsi alle grosse comitive quando queste vengono fuori. Di codeste piccole bande, le più consistenti sono specialmente tre, che prendono nome dai loro comandanti, cioè Angelo Maria Villani, Nicandrone e Nicandruccio, oltre delle quali, pullulano da per tutto i piccoli nuclei di tre, quattro e cinque guidati da questo o quel ceffo dei più risoluti e intraprendenti. Basta che uno di costoro commetta un reato e sia ricercato dalla giustizia, ciò che accade tutti i giorni, perché si dia alla campagna e tragga seco qualche parente od amico. Per tal modo, si formano di continuo piccolissime bande con azione autonoma, e protette dall'una o dall’altra e da tutte quelle di maggior forza.
Per avere qualche particolare biografico dei tre masnadieri indigeni, che noi nel ‘62 non conoscevamo se non di nome solamente e per le loro gesta brigantesche, io mi sono rivolto al dott. Luigi De Palma, presso la cui famiglia in Poggio Imperiale fui ospite due volte, nel 1862 e 1863, ma non molto mi è riuscito di ottenere, poiché il dott. Luigi De Palma, in quel tempo ragazzetto appena decenne, non è stato in grado di comunicarmi ricordi personali attendibili, ma rivoltosi premurosamente ai vecchi di quei luoghi, ecco quanto egli mi scriveva sin dal febbraio 1909: “Come le scrissi altre volte, il tempo ha messo già in oblìo fatti ed avvenimenti che formarono, direi, la vita intima brigantesca. Tra i pochi superstiti dei giorni burrascosi, qualcuno forse a non rievocare fortunosi ricordi personali, crede bene chiudersi nel silenzio, o rispondere che certe cose si domandano per le ricerche di un tesoro. A S. Marco feci scrivere varie volte, ad Apricena è andato mio nipote, così a stento ho potuto mettere insieme poche notizie riguardanti i tre famosi briganti di quei luoghi, ai quali Ella mi accenna con le ripetute sue lettere; e sono: Angelo Maria Villani di S. Marco in Lamis, era un contadino soprannominato Lo Zambro. Servì di leva nell’esercito borbonico; nel 1860 disertò ed unitesi ad altri del mestiere, si diè al ladroneccio di animali. Presso S. Marco, nella località Le Coppe, fu arrestato e quindi condannato ma riuscì ad evadere con altri. Per le vicende dei tempi, trovò facile compito ingrossarsi di numero e darsi a scorrazzare la campagna. Con lo stato d'assedio, proclamato in questa provincia, il brigantaggio ebbe il suo colpo mortale e le comitive sbandarono. Angelo Maria solo, errante per le macchie, fu arrestato al casino di Don Giuseppe Luigi Chiavarello [ossia: Ciavarella], proprietario di S. Marco, e la sera del 29 giugno 1862 fucilato in piazza. Intorno a questa fucilazione, molto probabilmente vi è equivoco di persona, la quale potrebbe essere uno dei responsabili della scarica che uccise il capitano del genio Valentini, di cui parlerò in seguito; persona che noi del 55° fanteria, accorsi prontamente, riuscimmo a ghermire e fucilammo per l’appunto in piazza. Del resto la data indicata al De Palma, della cattura e fucilazione di Angelo Maria Villani è senza dubbio errata, anche nelle casuali addotte. Primo, perché lo stato d’assedio non fu proclamato che nell’agosto del 1863; secondo, perché il 6 marzo 1863 noi del 55° avemmo, come tra poco narrerò, un importante scontro nel Gargano con la banda di Angelo Maria Villani, il quale con noi venne alle mani essendo ancora nel numero ragguardevole di 35, e che noi riducemmo a 25. Per tale motivo e perché noi durante tutto l'anno 1863 ci aggirammo sempre, per il lungo e per il largo in tutto intero il circondario di S. Severo, Poggio Imperiale, Apricena, S. Marco, Rignano, Torre Maggiore, S. Paolo Civitate, Sannicandro, Cagnano, Carpino, Ischitella, Rodi, Vico, Vieste, e la fucilazione di Angelo Villani non poteva passarci inosservata; io escludo assolutamente che essa abbia potuto aver luogo non solo nel 1862, ma neppure nel 1863. Forse potrà essersi verifìcata nel 1864, ma non prima, quando cioè il mio battaglione era passato a Cerignola ed agiva in quelle campagne e villaggi sino alle saline di Barletta'.
Qualche precisazione denominativa.
Le premurose informazioni di De Palma, a circa mezzo secolo di distanza, sono vaghe e confuse, come le reminiscenze dello stesso Mariotti. Dal De Palma sono, infatti, confusi e fusi due distinti briganti: Angelo Maria Del Sambro, detto lo 'Zambro', e Angelo Raffaele Villani, Recchiomozzo, col quale ultimo soltanto, come si vedrà fra poco, ebbe a che fare il nostro Mariotti nei primi giorni del mese di marzo del 1863, tra S. Marco e Cagnano; mentre il Del Sambro era già stato giustiziato il 29 giugno 1862, come esattamente informa il De Palma. Ignorando questo particolare, precedente alla sua venuta a S. Marco, il Mariotti mal congettura, pensando che il Del Sambro sia stato uno degli assassini del capitano Valentini, mentre si tratta di Leonardantonio Villani, fratello di Recchiomozzo (vedi anche Giuliani, p. 235). Forse, per i suddetti motivi e per le informazioni errate del De Palma, il Mariotti cita inesattamente le generalità del suo antagonista Recchiomozzo.
Anche F. Molfese (Nota 6) erroneamente scrive: 'Si erano formate alcune bande a cavallo delle quali una delle più agguerrite era quella sotto il comando di Angelo Maria Villani (Lo Zambro) contadino di S. Marco in Lamis, che effettuava scorrerie sul Tavoliere di Foggia, razziando intiere mandrie e ricattandone i proprietari...; il 10 giugno il Villani occupò Poggio Imperiale' (p. 80). Il Molfese fonde e confonde nome e attività dei due famosi capibriganti sammarchesi: Angelo Maria Del Sambro e Angelo Raffaele Villani, Orecchiomozzo o, meglio, com’è tuttora vivo nella memoria locale, Recchiomozzo; e poi sdoppia quest'ultimo in due persone, dando stranamente al soprannome attribuito al Villani vita autonoma e relativa attività fantomatica (vedi anche pp. 148 e 313). Nell’Appendice, infatti, nell’elenco “delle bande brigantesche attive fra il 1861 e il 1870” (a pp. 378 e 379) si ha la conferma dello sdoppiamento di Orecchiomozzo in due persone e la fusione invece e confusione di Villani e di Del Sambro. Nella stessa pagina vi è questo elenco: “Orecchiomozzo, Gargano e Tavoliere”, senza alcun’altra indicazione di generalità, cioè né di nome né di cognome. L’elenco prosegue con i nominativi di Bruciapaese, classificato brigante di piccola banda operante tra Rignano e il ponte di Ciccallento sul Candelaro (e non 'ponte di Cicalento', come scrive l’autore) e quello di G. B. Varanello, brigante di media banda operante tra “Celenza, Castelnuovo Daunia, Pietra”. E poi si legge: 'Villani Angelo Maria (Lo Zambro) Gargano e Tavoliere', capo di 'grande' banda. 'Contadino di S. Marco in Lamis, ucciso il 17 agosto 1863'. Angelo Raffaele Villani, compreso il suo soprannome Orecchiomozzo, è stato ammazzato il 17 agosto 1863, mentre Angelo Maria Del Sambro è stato fucilato, come già si è visto, coram populo, il 29 giugno 1862. A che cosa si deve attribuire questo sdoppiamento e questa confusione di persone? Si aggiunga che il Molfese parla di un'invasione brigantesca in S. Marco in data 27 ottobre 1861: pura invenzione (Nota 7).
Ecco, infine, quanto allo stesso Mariotti nel 1909 il De Palma, con maggior precisione e veridicità, scriveva sull’altro capo brigante Nicandro Polignone:'Nicandro Polignone, detto Nicandrone, era dedito anche esso alla rapina: degno satellite di Angelo Maria, fece parte sempre come sottocapo della sua banda. Circa la fine di questo brigante (anch’esso di S. Marco in Lamis) si narra che, disfatta la banda, rimasto solo, si teneva nascosto nella difesa (selva chiusa) del Barone in Valle di Stignano, ove parenti e amici andavano furtivamente a portargli l’occorrente in abiti od altro. Scoverti, ebbero il dilemma: o esser fucilati, o ucciderlo. Un giorno convenuto, infatti, ritornati a trovarlo con la biancheria, mentre il Nicandrone sicuro delle persone era intento a cambiarsi di camicia, con un colpo di scure lo intramortirono; riavutosi li rincorse, ma venutogli meno le forze, ricadde a terra. Trasportato al convento di Stignano, venne consegnato ai soldati e di là lo portarono esanime a S. Marco, dove morì'.