Verso il nuovo regno

Stampa del 1860 che mostra le critiche garibaldine alla situazione nel 1860: Garibaldi regge un foglio sui temi dell'armamento nazionale, liberazione di Roma e Venezia e i suoi decreti emessi a Napoli, a terra giacciono due fogli con i nomi di Nizza e Savoia, tre garibaldini feriti volgono le spalle ad un gruppo di borghesi e notabili che ballano, commentati col detto: 'Il maestro di cappella è mutato, ma la musica è la stessa'.
Stampa del 1860 che mostra le critiche garibaldine alla situazione nel 1860: Garibaldi regge un foglio sui temi dell'armamento nazionale, liberazione di Roma e Venezia e i suoi decreti emessi a Napoli, a terra giacciono due fogli con i nomi di Nizza e Savoia, tre garibaldini feriti volgono le spalle ad un gruppo di borghesi e notabili che ballano, commentati col detto: 'Il maestro di cappella è mutato, ma la musica è la stessa'.
Il grosso bagaglio di problemi che alla vigilia del plebiscito il Giuliani lasciava in eredità al nuovo sindaco Antonio De Theo era invero di una mole imponente e paurosa, tale da scoraggiare chiunque, e, in modo particolare, il capo di un comune che si avviava ad essere “culla”, “fucina” (sono parole dello stesso Giuliani) del brigantaggio e “vergogna nazionale” (come dirà poi il prefetto di Foggia). L'alba della nuova vita si annunziava con barbagli foschi e sinistri, con qualche tuono minaccioso all'indomani stesso del plebiscito. I passi incerti e non privi di sbandamento del nuovo Regno non promettevano sul momento nulla di buono. Ed è mirabile cosa notare come, nonostante tutto, l'unità del nuovo Stato abbia miracolosamente resistito ad ogni gravissimo urto: la saldezza della fede dei pochi, l'ostinata pervicacia di tanti oscuri eroi del buon senso, l'infinita pazienza, la generosità, lo slancio, lo spirito di sacrificio dei preposti alla tutela dell'ordine ci possono in qualche modo spiegare tale miracolo. Erano i sindaci del tempo certamente i cirenei della situazione, votati da un'ingrata fatica a un eroismo tanto più nobile quanto più oscuro. Rivolgimenti radicali dovuti a trasformazioni di stato, di regime e conseguente indirizzo di governo erano, di per sé, già grossi problemi; ma a S. Marco, per la mentalità anzidetta della popolazione, si andava, con rapidi drastici passaggi, inevitabilmente e fatalmente verso la tragedia: alla farsa del 28 ottobre per il plebiscito successe il lungo drammatico inverno e finalmente la catastrofe del 2 giugno 1861.
A distanza di un secolo si possono vedere ora in limpida prospettiva tutti i motivi che la costituirono, i quali furono vari e complessi e perciò decisamente rifuggiamo dall’interpretazione unilaterale di quegli avvenimenti. Motivi che ora isolati costituiscono la nota predominante di una musica sinistra e funesta e che ora s'intrecciano, convergono e divergono, acutizzando ed esasperando così una situazione di per se stessa disperante: motivi politici e personali che conducono alla faida più barbarica e selvaggia; motivi sociali, economici, familiari, religiosi, morali, ambientali porgono, col loro insorgere e con i loro contrasti, naturale alimento a disertori, a latitanti, a delinquenti comuni, ad avventurieri di ogni risma, a manutengoli e, infine, a briganti: e su tutto il generale malumore, con minacce di insurrezioni, per le sempre crescenti tassazioni, taglie e vessazioni di ogni genere. Ne è da sottovalutare il ruolo importante giuocato dall'ignoranza, pura e semplice fonte di ingiustificata paura del nuovo, dei garibaldini, degli avventurieri - i cui soprusi sono già stati notati - e di invalicabili muri d'ombra. Per quest'ultima ragione è stato osservato, con acuta e amara ironia, che ai galantuomini che hanno voluto l'unità d'Italia, tassati e vessati fortemente dallo Stato e dal comune e più ferocemente depredati e saccheggiati nelle loro case dai briganti, il Risorgimento è venuto a costare ben caro. In tale groviglio dovette dibattersi il povero e davvero eroico sindaco De Theo, il quale, pur non avendo l'altezza di ingegno del suo predecessore, aveva però dalla sua una carica di energia, una volontà, uno slancio che al vecchio Giuliani ormai mancavano, per cui non poche volte seppe tener testa con decisione e fermezza, e qualche volta con minaccia di dimissioni dall'ufficio al sottintendente di S. Severo e al governatore di Foggia. A seguire il serrato dialogo tra questi due e lui, attraverso le pratiche di ufficio (che abbiamo minuziosamente lette e riordinate), ne viene fuori un'istruttiva pagina di storia, di significato tutt'altro che locale.