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Donne, oro e briganti. Cattura del 'generale' Del Sambro.

Vieste - Città vecchia: la cattedrale.
Vieste - Città vecchia: la cattedrale.
È il momento più sfrenato della rivolta. Segnali e avvertimenti, grida, canti di disperazione e di morte, fucilate improvvise e crepitii insistenti di schioppi, incendi di case e di boscaglie, vita promiscua nelle grotte, negli anfratti, nelle forre animano e rendono inquieta di giorno e di notte la campagna circostante. Episodi e fatti incidono segni permanenti nei vari luoghi degli eventi più efferati e danno l’avvio a leggende paurose, ormai secolarmente persistenti nella memoria popolare. È, sì, l'ora dell'orgia più sfrenata; dei sensi, del sangue, dell’oro e del vino; un’ora convulsa scandita dal presentimento della fine.
L’anarchia celebra i suoi saturnali, mentre i contadini avvertono di essere fuori del tempo e cercano di rompere il ferreo cerchio dell’ordine, che sempre più li stringe. I briganti quasi sedotti dal loro stato, come falene affascinate dalla luce, essi dalla morte, ormai hanno volto le spalle ad ogni motivo non solo politico e sociale, ma anche morale e umano (Nota 4 - 1. parte) (Nota 4 - 2. parte).
Non rimane, da una parte e dall'altra, che l’implacabile e funesto e incantato giuoco della morte. Per rettificare qualche imprecisione nel racconto del Giuliani, riportiamo alcuni documenti che, più di altri, ci sembrano significativi:

Veduta panoramica di San Marco in Lamis, Borgo Celano e Convento di S. Matteo.
Veduta panoramica di San Marco in Lamis, Borgo Celano e Convento di S. Matteo.
'Intanto nuova caccia di briganti è stata fatta. Nel giorno 7 al Calderoso i lancieri ne uccidono 3, tutti sammarchesi, e molti ne feriscono; nel giorno 9 questi soldati aggrediscono nella vigna di Gentile alle Coppe due altri briganti, con due drude, che, avvisati da un ragazzo, se ne fuggivano. Uno fu preso vivo, il figlio di Profica, e fucilato alla voltata della strada nuova sotto la Cappella in venendo; e l’altro ferito fu trovato cadavere nel seguente giorno a mezzana d’Amelia. Il primo fu esposto a pié della Croce per ore 24.
La comitiva poi, dietro tutte le persecuzioni che le venivano, non lasciava mai intentato quel modo con che danneggiare od affliggere poteva. Nel giorno 10 arrestò questi vetturali che portavano la neve in S. Severo, minacciando loro severi castighi se avessero osato altra volta senza suo permesso portare la neve. La proibizione durò alcuni giorni, e fu un vero castigo per quella popolazione, più sofferente in preferenza nella stagione canicolare.
Libero il freno ad ogni dissolutezza, i briganti, con la profusione del danaro, e con la mostra di gioielli, fila di oro, anelli e altre cose preziose, saccheggiate specialmente nella città di Viesti, avevano di già corrotta la pubblica onestà nel popolo basso. Ognuno di essi, sia o no coniugato, aveva la sua particolare Ciprigna, che gareggiava nello sfoggio con quella del suo compagno. Laonde, a vista di tanto oro, lacerossi la benda ad ogni pudore ed onestà; e noi che stiamo tramandando ai posteri in queste pagine tali fatti, per vergogna vorremmo piuttosto tacere che i mariti prostituivano le mogli, i fratelli le sorelle, gli stessi padri, ma soprattutto le stesse madri, vendevano senza ritegno, anzi con millanteria, la innocenza verginale delle ancora impuberi figlie.
Avvenne che nel giorno 19 giugno, sia per gelosia insorta tra essi briganti, sia per amore di nuovo acquisto, quattro di tali donne volontariamente vendute, furono trovate uccise. Questo primo effetto del comprato amore non mise alcun freno alle spudorate brame; ma sempre e fino alla totale distruzione dei briganti si videro alternatamente come le vendite, così le disfatte di nuove e vergognose vittime'.

'In parabolico movimento si aggira per certo l’umana vita, la quale segna il suo improrogabile termine col terminare della parabola. Aveva Angelo Maria Del Sambro, il generale di campagna, percorsa la sua: la sua ultima ora adunque era per battere. Stava con la sua druda, ed in compagnia di altri quattro briganti, che erano Giuseppantonio Vincitorio fu Pietro, Giovanni Vincitorio (Di Fiore) fu Antonio, Pietro Argentino, detto ‘Cagnanisello’, ed il figlio di Casimiro Peritano di Foggia, come medico della compagnia, nella Cesina del Signor Ciavarella al Piano delle Piscine. Il distaccamento che perlustrava quella contrada col suo capitano, saputo quel covo, lo assalì. Una palla venuta da dentro la casa avrebbe certamente ucciso il capitano, che, di fronte alla porta si avvicinava, se un soldato, che lo precede di un salto, non se l’avesse ricevuta nella clavicola e che morì nel giorno 11 luglio. L'arresto intanto, dopo qualche resistenza, e con l’aiuto del fuoco alla porta, fu fatto: e nel mattino del giorno 28, tra un’immensa folla di gente, la quale era precorsa all’incontro, perché si trattava nientemeno che dell’arresto del generale, furono qui condotti. In venendo per istrada, erano già corsi, in aiuto del loro capo, circa altri trenta briganti; ma, con l’aiuto della forza che da qui partì, conosciuto l’arresto, furono facilmente respinti. Nel giorno istesso, ad ore 21, con la solita pompa funebre e col suono dei soliti tamburi, furono fucilati alla Croce i quattro briganti. Il Del Sambro poi si riserbò per quella volta, perché essendo desso un generale riformatore di comitiva, si volle interpellare l’autorità della provincia, la quale rispose che subito, e sotto la massima responsabilità del maggiore, fosse fucilato. Nel seguente giorno perciò, ad ore 20, fatta la sua ultima pubblica mostra, da impenitente incontrò nel medesimo luogo la stessa morte dei suoi commilitoni. Per non essersi il Del Sambro fucilato lo stesso giorno del suo arresto, non vi mancarono delle voci che dicevano il maggiore molto impegnato con una promessa di più migliaia di salvargli la vita, per cui si era differita la sua fucilazione. Niente di ciò se ne contesta da noi. È certo solamente che nell’arresto il capitano fece non solo una buona preda, ma anche un ricco bottino di danaro e di oggetti di oro'.

Il documento ufficiale, da noi rinvenuto, sulla fine della banda Del Sambro, è il seguente:

'A poche ore del giorno 28 giugno 1862, arrivati i soldati alla tenuta di don Giuseppe Luigi Ciavarella, in una casetta segregata dal resto delle abitazioni rurali, rinvennero di spalle alla porta d’ingresso il medico cerusico don Nicola Perifano, nativo di Foggia, domiciliato in Apricena, che al calpestio della truppa, voltato di fronte il capitano, lo vide fregiato nel petto della effige di Francesco II con nastro. Assicuratosi del Perifano, rinviene accanto a lui il fucile di cui andava armato. Sbigottito lo stesso della forza, confessò che nelle altre case di prospetto ed in poca distanza vi era Angelo Maria Del Sambro con altri otto della comitiva. Con un movimento della truppa, nel mentre si cingeva la casa rurale, tre briganti, che erano al di fuori, fecero fuoco e ferirono gravemente nel petto il soldato Ludigiano Francesco e si diedero a precipitosa fuga, ma si riuscì assicurare Pietro Argentino di Michele, refrattario della leva del 1861, che si era aggregato alla banda Del Sambro. Costui con altri due compagni e tre donne si chiusero nell’abitazione, facendo un’ostinata resistenza e solo si arresero e depositarono le armi allorché la truppa diede fuoco con combustibile ed erano sul punto di soffocarsi dal fumo. Gli arrestati furono Angelo Maria Del Sambro, Giovanni e Giuseppantonio Vincitorio, Pietro Argentino, don Nicola Peritano e le tre donne Vittoria Cursio, druda di Del Sambro, Annantonia Ciavarella e Maria Michela Stoduto, mogli dei due Vincitorio. Nell’istesso giorno i quattro compagni di Del Sambro pagarono il fio delle loro scelleraggini' (Nota 5).

Continua il Giuliani:

San Marco in Lamis. Imbocco della grava di Zazzano.
San Marco in Lamis. Imbocco della grava di Zazzano.
'Nello stesso giorno il resto della comitiva uccise altre sette femmine della compagnia, delle quali quattro di qui, perché ben giudicava essere causa della loro rovina la compagnia di tali donne. Nel giorno 3 luglio il distaccamento del 49° viene sostituito da tre compagnie del 26°.
Si sperava che, fatta la caccia del capo, la comitiva avesse dovuto un po’ umiliarsi. Inutili speranze! Si animano invece le gare fra loro, e riviviscono le vecchie inimicizie. Fabiano Lallo uccide nel giorno 14 l’altro brigante Alessandro de Nisi, al quale anni dietro aveva pure ucciso un fratello; e nel giorno 19 morì della stessa morte per mano di altri compagni insieme alla sua druda; che al primo colpo di fucile si sgravò di un feto a cinque mesi. E, come se fosse venuta la distruzione di tali donne, nel giorno 4 agosto ne uccidono un’altra, che era sorella di Del Sambro, nel giorno 7 un'altra; e nel giorno 8 precipitano viva nella grava di Zazzano quella donna arrestata col brigante Giuseppe Nardella il 2 marzo. Sono continue le perlustrazioni per le campagne, ma rarissimi gli scontri con i briganti. Invece si trovano dei cavalli a questi appartenenti, sia per casualità sia per avuti indizi; ma quasi sempre cavalli sfiniti, magri, zoppi, lasciati in abbandono. Rare volte ancora dei buoni se ne presero, ed erano quelli che smontavano per lasciarli a riposo, dopo che avevano presi degli altri che avevano in serbo. Così avvenne nel giorno 13, quando la pattuglia recò quattro bellissimi cavalli, tra i quali vi era quello di Nicandro Polignone, il quale usò un bel modo per riaverlo. Fece presentare da lui, minacciato per la vita, il vero padrone di S. Severo, dal quale lo avea preso, con i debiti connotati del cavallo e certificati necessari: lo riebbe col patto, ma invece di portarlo in propria stalla, lo consegnò a lui che attendeva vicino Stignano. Gli altri furono venduti all'asta pubblica e comprati dagli ufficiali della truppa.
Nel giorno 23 venivano da S. Severo le monete in bronzo del nuovo sistema ed accompagnate dai soldati. A Foresta furono assaliti dai briganti in gran numero: vi fu un lungo attacco e, se non correva a tutta fretta l’aiuto da qua, le monete sarebbero state predate'.

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