Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Rivista popolare di politica, lettere e scienze, Anno XVII, N. 18, Roma 30 settembre 1911 l. - I partiti politici e l'impresa di Tripoli Dalle polemiche e dagli innumerevoli articoli su Verbicaro e sulle condizioni del Mezzogiorno il giornalismo italiano è passato con altrettanta rapidità e intensità ad occuparsi di Tripoli, della necessità e utilità di acquistarla per farne una colonia dell'Italia. Si direbbe, e si è detto, che nella conquista della Tripolitania ci sia il rimedio che nello avvenire impedirà la ripetizione dei dolorosi fatti verificatisi a Verbicaro, a Massafra, a Gioia del Colle e in tanti altri paesi del Mezzogiorno e della Sicilia. Si potrebbe anche malignamente osservare che si è concentrata l'attenzione del pubblico sulla futura conquista - che forse, materialmente sarà avvenuta quando sarà pubblicato questo articolo della Rivista - quasi a divergerla dal problema interno: [inf]tatti [è]a seguita per lo passato dai governi personali ed autocratici, tipicamente rappresentata dalla guerra voluta da Napoleone III all'indomani del senatus consulto e delle elezioni generali del 1869, che mostrarono la debolezza estrema delle basi del secondo impero. Il Napoleonide sperò consolidarle con una guerra vittoriosa contro la Prussia e invece riuscì ad affrettarne la fine sanguinosa e vergognosa a Sedan coinvolgendo nella tragedia la Francia che aveva avuto il torto di lasciarsi infatuare e suggestionare dal grido: a Berlin! a Berlin! Sono ben lontano dalle malignazioni e riconosco lealmente che nell'attuale movimento della pubblica opinione in favore della nuova impresa coloniale dell'Italia non c'é l'artificiosità, che taluni hanno voluto scorgervi. Né mi sento disposto ad aggravare la responsaailità del ministero, che combatto. Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Si andrà a Tripoli con una preparazione e con una pressione della pubblica opinione, che mancarono completamente nella nostra prima miserevole impresa coloniale. La spedizione di Massaua venne preparata ed in parte eseguita quasi nel mistero, decisa all'improvviso, la responsabilità della medesima ricade tutta quanta su Umberto I. - che la volle e sognò di potersi proclamare Imperatore di un ipotetico dominio africano, come attestano le poche monete coniate per la colonia - e sul ministero Depretis-Mancini, che si rese esecutore della volontà regia col pretesto di andare a pescare nelle acque di Massaua le chiavi del Mediterraneo. Sicché Adua dovrebbe pesare interamente sulla coscienza del così detto Re buono e per la iniziativa dell'impresa e per aver voluto mantenere, contro il parere di Crispi, il Generale Barattieri al comando supremo nella Eritrea. Assai diverso è il caso oggi. Giudicando da tutto ciò che si conosce Re e Ministero hanno subito - in una certa misura - più che provocato la spinta alla conquista della Tripolitania. Nello insieme il primo movimento verso la Tripolitania data dalla conquista di Tunisi da parte della Francia; il movimento cominciò ad intensificarsi quando fu posto il problema del Marocco; assunse proporzioni più vaste e formò la coscienza del nostro diritto quando le due potenze dell'entente primitiva fecero entrare terza l'Italia riconoscendole la legittima sfera d'influenza su quell'unica fetta di Africa non occupata da potenze europee; raggiunse - e non poteva essere diversamente - l'acme colla riacutizzazione del problema del Marocco, colla marcia dei Francesi su Fez, coll'approdo delle navi tedesche ad Agadir, col ricatto brigantesco della Germania alla Francia abbandonatasi del pari e da lunghi anni ad atti altrettanto briganteschi - colla teoria e colla pratica dei compensi, a spese dei terzi, coi quali pare debba chiudersi l'accordo tra la Francia e la Germania. Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Colla logica del brigantaggio collettivo si è detto - e non a torto -: se alla Germania, che nel Mediterraneo non ha geograficamente alcun diritto, si accordano compensi per l'aumento del dominio africano della Francia, perchè un compenso non dev'essere accordato all'Italia, che è tutta bagnata dal Mediterraneo e che è più vicina alla Tunisia, di cui si appropriò la Francia, e alla Tripolitania, in cui si vuol vedere una continuazione della Sicilia? Lentamente, ma continuatamente e con moto accelerato, così si è formato nel paese quello Stato di animo, che io ho desctitto nella Politica Coloniale come una delle più tipiche manifestazioni del contagio psichico. Di questo contagio psichico si scorse un effetto patologico morale o intellettuale dei più dolorosi nell'attitudine della stampa italiana verso la Turchia. A suo riguardo i giornali italiani e i libri che dovrebbero essere assai più seri ed equanimi, si ripete, peggiorandolo in modo indecente e sfacciato l'apologo del lupo e dell'agnello: apologo, che con una disinvoltura fenomenale un giornale autorevole come Il Corriere della Sera (28 Settembre) ha invocato, attribuendo alla Turchia la parte del lupo... Si potrebbe dare un maggiore pervertimento? Infatti accusiamo i Turchi di osteggiarci in Tripolitania, di minacciare di boicottaggio i nostri prodotti, di guardarci di malocchio, di accusarci di brigantaggio; sinanco manifestiamo sdegno e meraviglia che essi si allarmino delle intenzioni mostre... Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Ora in questo nostro risentimento non manca soltanto la sincerità e l'onestà; manca sopratutto la più elementare serietà. Possono guardarci con simpatia i Turchi se noi in Parlamento, nei giornali, nei libri abbiamo manifestato col crescendo sopra indicato la ferma decisione di strappare loro la Tripolitania da 30 anni in qua? Non c'è da sbalordirsi e da vergognarsi che un italiano, il Piazza, si lamenti dell'attitudine dei Turchi se il titolo stesso del suo libro: La nostra terra promessa costituisce la documentazione più autentica delle nostre intenzioni spoliatrici? Possono non allarmarsi i trirchi proprio quando tutti i giornali annunziano a grossi caratteri la decisione del governo italiano di procedere alla conquista armata manu alla conquista della Tripolitania? Possono i Turchi non prepararsi alla resistenza nel momento in cui i giornali italiani e stranieri alla unanimità annunziano i preparativi guerreschi, il movimento delle navi e dei reggimenti alla Spezia, a Napoli, a Brindisi, a Palermo, a Messina, a Siracusa e si consiglia, s'insiste febbrilmente perchè si faccia presto? Il giornalismo italiano tutto quanto - ad eccezione dei giornali il Secolo, la Ragione e l'Avanti tra i diari importanti delle grandi città - avrebbe preteso che i Turchi avessero mostrato riconoscenza verso coloro che li vogliono spogliare; avrebbe voluto che i Turchi si fossero rassegnati ad essere cornuti e bastonati, come dice il motto popolare espressivo. Tutto ciò non solo è disonesto: è sopratutto ridicolo. Ancora. Quando la Francia invase la Tunisia la stampa italiana sdegnata denunziò e stigmatizzò l'ipocrisia dei suoi governanti, che inventarono i Crumiri per dare all'invasione un pretesto ed una parvenza di legittimità. Ma l'Italia nemmeno i Crumiri ha saputo inventare: l'Italia aggredirà la Tripolitania brigantescamente, senza pretesti, senza accampare alcun motivo, anche bugiardo, di giustificazione. L'ultimatum mandato dall'Italia alla Turchia e la risposta umile e dimessa dalla seconda stanno a dimostrare luminosamente la mancanza di plausibili motivi di diritto internazionale per l'aggressione nostra; ciò che meglio proverò in appresso. Olio su carta di Giovanni Migliara (1785-1837)L'Italia non ha che un solo argomento in suo favore: la Francia, l'Inghilterra, la Germania hanno preso e generosamente in Africa; voglio prendere anche io senza scrupoli e senza cerimonie ciò che resta di disponibile; e affretto a prenderlo affinché altri non mi preceda nella rapina. E che altri ci possa precedere non si può e non si deve negare; forse la Francia avrebbe inventati altri crumiri tripolini, come sospetta il Piazza, se non avesse avuto interesse più alto di non disgustare l'Italia e di attirarla e mantenerla amica della Triplice entente non potendola staccare dalla Triplice alleanza. Con ciò non viene modificata la qualifica di questa nuova impresa coloniale; e mi piace assai in questa occasione che sia di accordo con me nel ritenere brigantesca l'impresa un discepolo, un amico, un fedelissimo ai metodi, ai criteri, e alla memoria di Francesco Crispi: Girolamo De Luca Aprile. Considerando addirittura come brigantesca la nostra nuova impresa coloniale ho già indicato come può giudicarsi sotto l'aspetto morale. In quanto al lato utilitario credo che essa non ci preparerà minori disinganni e non ci procurerà minori danni di quella di Massaua; li procurerà sopratutto al Mezzogiorno e alla Sicilia, che avrebbero bisogno delle cure vigili, le quali fatalmente sarebbero deviate dalle altre che richiederà la Tripolitania se si vorrà tentare di farne una colonia degna di figurare accanto alla Tunisia e all'Egitto, tra le quali regioni è come incuneata. Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Questo bisogno di volgere le cure al Mezzogiorno e alla Sicilia, ricordando Verbicaro, ha messo innanzi il più autorevole giornale liberale inglese, The Manchester guardian; e l'ammonimento rimane giusto anche se viene da un popolo, che, dopo il romano, si deve considerare come il più grande ladrone della terra: ladrone che pensava, ad esempio, ad incivilire l'Egitto senza curarsi delle piaghe e delle miserie dell'Irlanda. A proposito della deviazione delle cure dello Stato dal Mezzogiorno e dalla Sicilia verso la Tripolitania opportunamante è stato ricordato da un colto e intelligente socialista siciliano, Gaspare Nicotri, un precedente storico. A coloro che magnificano la Tripolitania - e quando dico Tripolitania intendo compresa in essa la Cirenaica - e trovano in essa le tracce grandiose e durature della civiltà romana, nelle quali vorrebbero vedere la convenienza della conquista italiana, egli risponde che le grandi cure poste da Roma antica nella civilizzazione dell'Africa settentriomale rappresentano un contrasto amaro coll'opera di spoliazione esercitata in Sicilia e in tutto il Mezzogiorno. La decadenza della Sicilia e della Magna Grecia data precisamente dalla conquista Romana. Quale sia stata precisamente l'azione di Roma nell'isola del sole è documentato irrefragabilmente nelle Verrine. Un secolo dopo la conquista Strabone osservò che la Sicilia era divenuta un deserto da Pachino a Lilibeo; e Cicerone che aveva ricordata la prosperità e la civiltà dell'isola nel periodo preromano aggiunge che l'agricoltura sotto il dominio di quei sapienti colonizzatori era talmente decaduta che nelle parti più fertili della Sicilia cercavi invano la Sicilia! Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Al Nicotri si rispose, che se ciò avvenne, il fatto starebbe a provare che la Tripolitania era più fertile della Sicilia; e che se tale regione africana fu preferita dai Romani, noi loro degeneri discendenti, dobbiamo imitarli assicurandola all'Itala ed offrirla alla energia ed all'attività a preferenza dei Siciliani. Come gl'Italiani moderni potranno ripetere in Tripolitania le gesta dei Romani se sono loro discendenti degenerati lo comprenderanno i guerrafondai partigiani della politica coloniale; io no. Intanto quel ricordo storico è eloquentissimo per indicare la conseguenza più pericolosa che si potrà avere dalla conquista della Tripolitania: la deviazione delle cure dello Stato dalla Sicilia e dal Mezzogiorno. La deviazione non sarà intenzionale certamente, ma automatica poiché di centinaia di milioni e forse di miliardi quanti ne occorreranno per cercare di mettere in valore la Tripolitania non ne ha disponibili tanti da poterli contemporaneamente spendere in Sicilia, nel Mezzogiorno, nella Campagna romana e in altri punti dell'Italia centrale che non soffrono meno, forse, del Mezzogiorno. Se i 600 milioni che assorbì l'Eritrea per procurarci soltanto le grandi amarezze di Dogali e di Adua fossero stati impiegati nelle parti del Regno che sono maggiormente bisognose dell'aiuto dello Stato con certezza le feste cinquantenarie sarebbero state celebrate con maggiore spontaneità e letizia. Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)La deviazione delle cure e dei milioni dello Stato italiano, oggi dopo la grande inchiesta sui contadini del Mezzogiorno e della Sicilia, che ha documentato miserie inenarrabili nei lavoratori della terra - che non sono minori nei lavoratori urbani e nel meschinissimo artigianato - e ha constatato la inferiorità incivile, inumana delle abitazioni, dell'alimentazione, della cultura, delle condizioni igieniche, del bassissimo tenore di vita - standard of living - mi sembra più che un delitto, un grave errore politico. Ci siamo indignati, ci siamo addolorati, ci siamo vergognati di Verbicaro, di Massafra etc.; abbiamo affermato il desiderio, anche la volontà, di evitare che nello avvenire si ripetano i luttuosi e dolorosi avvenimenti che da quei luoghi han preso il nome; ma a conti fatti tutti i nostri buoni propositi si ridurranno ad una miserevole esercitazione rettorica poichè i mezzi per realizzare gii opportuni provvedimenti saranno volti alla conquista ed alla valorizzazione della Tripolitania. La storia poche volte ci somministra esempi di sanzioni dirette ed immediate delle male azioni dei governi, ma le sanzioni spesso arrivano e tremende. E' doveroso, è utile, quindi, che di fronte all'errore gravissimo della nostra seconda impresa coloniale siano assegnate le responsabililà degli uomini e dei partiti politici. Dalle interessantissime lettere scambiatesi nel 1894 tra Crispi, Camperio e Rohlfs, che Semper ha comunicato alla Ragione rilevasi che Francesco Crispi aveva fissato lo sguardo alla Tripolitania e che in tale impresa ancora indeterminata voleva essere sorretto dalla pubblica opinione, mentre dava opera, da vero uomo di Stato, a prepararla ed a crearla. Vale la pena di riprodurre le sue testuali parole, che dovrebbero suonare rimprovero ai contemporanei. In data del 24 luglio 1894 egli scriveva a Manfredo Camperio:
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Grazie della nuova lettera del Rohlfs, e grazie di gran cuore della tua preziosa collaborazione. Ecco, ciò che io vorrei da te, dai competenti e non dagli orecchianti e gazzettieri di partito, sarebbe una campagna discreta, ma abile, precisa, tecnica e, sopratutto veritiera sul valore della Tripolitania. Intendo si dia l'ostracismo alle frasi fatte, alla retorica bugiarda e ladra. Intendo illuminare a poco a poco il paese, con gradazioni nettamente prestabilite, così da metterlo in condizione di giudicare, di interloquire e di esprimere con scienza e coscienza il proprio pensiero, senza oscillazioni funeste. Il governo farà, senza dubbio, ed è, anzi, deciso a compiere opera di difesa e di previdenza: ma, se l'opinione pubblica lo soccorre, se lo incita e lo sostiene, questa comunione di spirito e di fede, tra Governo e Nazione, sarà arra di successo e guarentigia di grandezza e di elevazione civile. Converrà, per altro, non mettere mai troppo in evidenza la nostra intesa, la quale tanto più sarà efficace, quanto meno dubitata e conosciuta. In certe contingenze, l'esser rimorchiato dall'opinione pubblica, giova ai fini del Governo perchè ha più agio d'indagare, preparare e risolvere, senza porgere troppi addentellati alla pubblica indiscrezione. Conferenze, letture, opuscoli alla portata di tutti, sono metodi che l'Inghilterra, la Francia, la Germania hanno adotato da tempo, per far sorgere opinioni e indirizzarle a finalità statali, senza che per questo lo Stato apparisca menomamente compromesso da tali espedienti di politica militante.
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)La campagna che Crispi consigliava c'è stata; se discreta e veritiera; se aliena dalle frasi fatte e dalla rettorica bugiarda e ladra si vedrà. Io non credo che tale campagna, i cui inizi rimontano a molti anni fa, sia stata preordinata e suggerita dall'on. Giolitti. Benché la qualifica datagli da Barzilai gli sia riuscita sgradita, è innegabile che egli sia un ateo - meglio si direbbe: un agnostico - nella politica estera e nella patriottica. Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Per abito mentale, per temperamento, per i suoi precedenti burocratici che il Saraceno di una volta mise bellamente in evidenza per trarne argomento a deriderlo ed a vilipenderlo, Giolitti è troppo pedestre e troppo assorbito dalla realtà del momento per pensare all'avvenire anche prossimo e prepararne gli avvenimenti. Il suo ateismo, il suo agnosticismo, era esplicitamente riconosciuto in quella lettera aperta della Stampa del 30 luglio, in cui lo si invitava in modo formale a volgere la sua attenzione e la sua attività alla politica estera e precisamente a quella africana. Con poca reverenza e con soverchia franchezza familiare vi si diceva che egli “era consacrato solo alla vita interna del paese, incapace di accorgersi della esistenza del mondo rimanente”. Indubbiamente egli è stato trascinato, sospinto a questa nuova sua reincarnazione; e come nella politica interna colla presentazione del progetto di legge sul suffragio universale ha voluto sorpassare Gladstone; così nella politica estera, forse mal volentieri, vorrà emulare l'imperialismo di Disraeli e dei conservatori inglesi. Del risveglio della politica estera misurato dai provvedimenti verso la Repubblica Argentina gli si fa già un merito personale nella stessa Stampa dall'onorevole Cirmeni, che è nelle segrete cose del governo e che non ha esitato a recare grave offesa agli onorevoli Di San Giuliano e Di Scalea che hanno la responsabilità ufficiale della politica estera; ed anche a merito suo lo stesso Cirmeni attribuisce la nomina del Garroni ad ambasciatore a Costantinopoli (Stampa, 30 agosto). Se e quanto onore potrà arrecargli questa scelta non occorre ripetere oggi; ma certo è che nell'impresa Tripolina l'onorevole Giolitti è sorretto dalla opinione pubblica, preparata e creata colla campagna voluta da Crispi e i cui effetti andranno all'attivo dell'attuale Presidente del Consiglio tanto diverso e tanto nemico dello Statista siciliano. Con ragione La Perseveranza ha potuto scrivere:
Da ieri non esistono più in fatto di politica estera, oppositori; è un accordo unanime, un sol nota che si leva da centinaia di parti; un richiamo ad una politica estera dignitosa, ferma, energica, sapientemente audace. Il governo attuale, al disopra e allo infuori di ogni ragione di vita ministeriale, può bene congratularsi con se stesso di avere trovata una nuova anima nazionale, pronta a secondarlo, a seguirlo, ad appoggiarlo in quella qualsiasi azione internazionale, che fosse ormai richiesta dai nostri interessi all'Estero, consolidati o consolidandi, economici o politici, od anche solo morali.
Olio su tavola di Giovanni Migliara (1785-1837)Il giornale conservatore di Milano ha ragione se scrivendo di accordo unanime si riferisce ai monarchici - compresi quelli che sono divenuti tali da recente. Infatti si sono convertiti alla politica coloniale tutti i radicali, che l'avversarono aspramente quando diretta da Francesco Crispi; si sono convertiti anche Pantano e Riccardo Luzzatto, tra i più fieri nella democrazia di una volta nel combatterla. Quello che valga la penetrazione pacifica consigliata dal secondo e ch'era la impresa auspicata da Crispi, vedremo un'altra volta: è una illusione, se non una restrizione mentale. Tra i monarchici indarno si troverebbero avversari della nuova impresa coloniale. Qualche riserva, qualche ammonimento contro le facili illusioni ha dato timidamente Gaetano Mosca - eminente costituzionalista per quanto timido politico Ma non saprei trovare altri monarchici dissidenti. Consentono anche i più fieri avversari di Giolitti, quali, ad esempio Sonnino, Fradeletto e Ferdinando Martini - il quale, sia detto tra parentesi e senza venir meno alla grande simpatia che per lui sento, ha parlato di Verbicaro e delle condizioni del mezzogiorno in guisa tale da far comprendere che egli le conosce molto meno di quelle dell'Eritrea. Sicché non errano i giornali italiani e stranieri i quali affermano che ben 450 deputati sono favorevoli alla spedizione di Tripoli; ed hanno torto marcio repubblicani e socialisti che vorrebbero mettere in ridicolo l'affermazione. L'unanimità dei monarchici assume un particolare sapore, per così dire, dal consenso dei clericali - specialmente del Corriere d'Italia (Roma) e del Corriere di Sicilia (Palermo). L'on. Meda nell'Unione (Milano) raccomanda, è vero, una certa prudenza che contrasta coll'impeto bellicoso dell'ononorevole Pecoraro. Ma ciò che rende caratteristico il consenso dei clericali è il linguaggio dell'irreconciliabile Osservatore romano, che più fedelmente rispecchia il pensiero del Vaticano. Esso in fondo è favorevole all'impresa e si limita a dare consigli di prudenza all'Italia per evitare una guerra co la Turchia, e proporzionarla alla potenzialità economica e finanziaria del nostro paese. Tanta tenerezza dovrebba fare insospettire il patriottismo italiano, che si è trovato sempre in antagonismo coi clericali. E i sospetti dovrebbero crescere pel consenso dei clericali austriaci, il cui significato esaminerò in seguito. Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)A parte gli altri sospetti che ha formulato il Salvemini e di cui dirò tra poco non si può credere che i clericali siano mossi dall'antico fanatismo cristiano, che generò le crociate. Oh! no; il movente è perfettamente moderno; si tratta di favorire gl'interessi del Banco di Roma: l'istituto di credito dei clericali che si è spinto arditamente sulla via della penetrazione economica in Tripolitania. Nelle ale più avanzate, tra i repubblicani e i socialisti si avvertono le maggiori ostitalità verso la nuova impresa coloniale; ma non c'è né l'ardore, né la unanimità del 1885 e del 1906. Tra i repubblicani dissente apertamente Barzilai per i motivi politici, che saranno esaminati; credo che qualche deputato del gruppo in cuor suo ne divida le opinioni; ed è sintomatico il fatto, che mentre Otello Masini in nome del partito repubblicano ufficialmente pubblica dei comunicati o bollettini, avversi alla spedizione, la Ragione pubblica le lettere che si scambiarono Crispi, Camperio e Rohlfs e gli articoli di Semper impregnati dallo spirito imperialista dello statista siciliano provocando lo sdegno e la fiera protesta di Arcangelo Ghisleri. Tali pubblicazioni certamente non contribuiscono a modificare la pubblica opinione favorevole all'impresa. Tra i socialisti si sono verificati vari dissensi. Ci sono i ragionevoli - ammirati dai monarchici - che ne fanno una quistione di opportunità e di convenienza come Bissolati, Podrecca e Bonomi; ci sono i fanatici partigiani dell'impresa come De Felice, che scorge nella Tripolitania quasi un feudo che debba essere sfruttato esclusivamente dalla Sicilia; ci sono, infine, gli avversari decisi, irreconciliabili, come Turati. Nell'ala estrema del socialismo, tra i sindacalisti, c'è pieno accordo, nell'interesse del proletariato nel caldeggiare l'impresa, almeno a giudicarne dalle manifestazioni di Arturo Labriola e di Paolo Orano. Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)I socialisti italiani favorevoli all'impresa si sono sentiti incoraggiati dagli incitamenti dell'organo dei socialisti di Amburgo, L'Echo; il quale, sempre nell'interesse del proletariato, incita i socialisti italiani a dare il loro concorso sollecito ed energico all'occupazione di Tripoli. Maggiormente si sentirebbero incoraggiati se fosse vero che Bebel, il santone del socialismo internazionale - e degnissimo per tanti motivi della venerazione, che per lui professano anche coloro che non accettano integralmente il pensiero di Marx - si sarebbe convertito alla politica coloniale come apparirebbe da una tendenziosa interpretazione dei suoi discorsi e della sua attitudine al Congresso di Jena, che ne ha data il Cabasino Renda in un articolo del Giornale d'Italia (23 Settembre). E dico tendeziosa la interpretazione perché il mutamento, il ringiovanimento - come lo considera il giornale monarchico - di Bebel starebbe in aperto contrasto col fierissimo discorso contro la guerra pronunziato nello stesso Congresso di Jena. Ora il grande socialista tedesco non è tale uomo da non accorgersi che chi dice politica coloniale dice guerra. Comunque ufficialmente anche i socialisti italiani sono contrari all'impresa a giudicarne dalle deliberazioni dei circoli e delle sezioni, dal linguaggio dell'Avanti, dai tumulti provocati a Reggio Emilia nella conferenza pro Tripolitania, dal convegno di Bologna, dal tumultuoso comizio di Milano, dai numerosi tentativi di sciopero generale fatti per consiglio della Confederazione generale del lavoro. Ma in tutte queste manifestazioni non mancano i contrasti e le opposizioni. Pel convegno di Bologna intesa a protestare contro l'impresa ci è stato l'aperto dissenso di De Felice, e di altri e le riserve di Podrecca, che sono magnificati dai giornali monarchici; i quali hanno ripescato anche i giudizi di Morgari e di Ricchieri di alcuni anni or sono, senza contare che quest'ultimo ha esplicitamente dichiarato testè di essere contrario all'impresa. Nelle sezioni del pari non sono mancate le opposizioni. A Palermo, ad esempio, dove c'è chi giustamente ha ricordato la diversione a danno della Sicilia e del Mezzogiorno, il fanatismo coloniale ha accecato un altro socialitta, in guisa da attribuire alle prudenti riserve dell'on. Gaetano Mosca una intesa coi latifondisti siciliani, dimenticando che tutta la stampa non socialista dell'isola che meglio rispecchia gl'interessi della proprietà propugna l'impresa; che la propugnano i clericali e i conservatori più autentici - dal Giornale d'Italia al Corriere della Sera (Sono forse costoro degli avversari del latifondo o del capitalismo?); dimenticando sopratutto che contro la conquista della Tripolitania protesta Il Secolo, che vi scorge un tranello per seppellire il progetto pel suffragio universale e si è levato fierissimo Filippo Turati, l'apostolo maggiore e più autorevole del riformismo italiano. (E anche Turati ha servito agli interessi del latifondismo?). Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Coll'attitudine di Turati chiudo questa rassegna del pensiero dei partiti politici italiani verso la nuova impresa; e mi ci fermo perchè addirittura essa è degnissima di attenzione specialmente dal punto di vista mio e in rapporto colle polemiche che la Rivista ha sostenuto coi socialisti; perchè è l'uomo più rappresentativo delle incongruenze e delle contraddizioni del socialismo italiano. La cronaca dell'ultimo comizio di Milano dice a qual segno è arrivata l'opposizione di Filippo Turati, che non si è preoccupato di guadagnare o perdere popolarità, ciò che, invero, altre volte ha fatto. Ma le frasi e i pensieri enunciati in un comizio possono essere l'involontaria espressione della concitazione del momento; meglio, perciò, affidarsi al pensiero consacrato in uno scritto, che è stato meditato e non improvvisato, rifiutandomi, per la serietà e la rispettabilità dell'uomo, a credere che egli nella riunione di Bologna abbia potuto dichiarare che alla violenza di linguaggio in tale articolo ricorse per influire sul governo a farlo desistere dall'impresa Tripolina (Secolo, 26 settembre). Ebbene nell'ultimo numero della Critica sociale (16 settembre) c'è l'articolo a firma sua che non potrebbe essere più violento: potrebbe portare la firma di Hervè e figurare nella Guerra sociale. Il Turati comincia a versare il ridicolo su coloro che si occupano dell'impresa di Tripoli. Illudendosi stranissimamente e scambiando le proprie convinzioni con quelle del popolo italiano dichiara che sarebbe tanto serio discuterne quanto il voler dimostrare la presenza reale del corpo di Cristo nell'ostia consacrata; e fidando soverchiamente nella efficacia del regolamento di Marx in soffitta, arriva a non credere capace l'on. Giolitti - ritornato. Forse, ad essere Tiburzi? - di una follia riprovata dai socialisti. Con sintesi smagliante accenna alla sconvenienza dell'impresa per l'Italia che ha l'Africa in casa che imperversa dalla cintola in giù; col danaro, che si presta al 10, al 20, al 30 per cento; colle sante memorie aduane... Egli giudica
l'impresa-ginepraio una trappoletta di confezione tedesca (made in Germany!) per farne uscire l' Italia col filo della schiena scavezzato, rinunziando, sull'ara del risaputo Moloch, per un tempo indeterminabile, ogni più urgente iniziativa d'incivilimento interiore.
Crede
che i Giovani Turchi minacciando guerra sul Mediterraneo o sul Bosforo mirano in realtà all'occupazione – non propriamente di Tripoli o di Bisanzio - ma di quattro o cinque sottosegretariati e, aiutati dall'imbecillità politica, così vasta in Italia, anche nelle sfere più colte - sbarazzarsi in un sol colpo, di Giolitti e dell'influenza del gruppo socialista, del monopolio nittiano e delle elezioni a suffragio universale; salvarsi il collegio, paralizzare l'ascesa proletaria, svogliare per un pezzo i governi da ficcare il naso nei loro piccoli affari assicurativi e affini....
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837)Altro che l'interesse del latifondismo nelle timide riserve di Gaetano Mosca! Filippo Turati continua ricordando il veto del socialismo tedesco alla guerra pel Marocco - cui attribuisce il discorso pacifista di Guglielmo II in Amburgo - e ammonendo che se l'inverosimile e lo assurdo - la conquista di Tripoli - si verificasse la reazione punitrice non tarderebbe. Si ricostituirebbe una situazione consimile a quella, che deluse così presto le speranze e smontò i piani reazionari, fioriti con Crispi Rudinì e Pelloux...! L'unità si ricementerebbe coi repubblicani; forse Leonida Bissolati ritroverebbe il grido della storica auletta, non precisamente ortodosso e non dimenticato. L'ostruzionismo e lo sciopero generale si riabiliterebbero; e potrebbe darsi che, in alto luogo - cessato lo spirare dei benigni favoni - si acquistasse prudenzialmente più di una valigia. E con una sfida esplicita fierissima:
Se il bromuro del buon senso non bastasse a prevenire nei responsabili gli accessi, di cui l'aura si annunzia con tanto insueto fracasso; se la mulaggine dei turchi e dei tripolini d'Italia, ricusandosi alle provvide doccie della fredda ragione, si accanisse a spingere le cose verso il precipizio; pensiamo - ed è l'ora, forse, di non dissimularlo - che il partito socialista e il proletariato organizzato d'Italia abbiamo oggi quanto basta di coscienza e di forza per tener testa; che possano, senza jattanza o spavalderia affrontare le bravacciate degli smargiassi, e dir loro semplicemente: - Avanti pure, signori! Noi siamo pronti.
Olio su carta di Giovanni Migliara (1785-1837)Se non ci andasse di mezzo l'interesse del paese, che anteposi sempre a quello del partito, seguendo l'esempio dei maestri e delle collettività repubblicane - checchè blaterino i monarchici, che accusano repubblicani e socialisti di antipatriottismo solo perché essi sono contrari all'impresa di Tripoli; se non ci fosse una grande sproporzione, un abisso vero, tra i mezzi di cui dispongono repubblicani e socialisti per realizzare la minaccia della rivoluzione di Turati, che ripiglia il linguaggio di Alberto Mario, auspicante la partenza del Re per l'esilio - la famosa valigia per il viaggio verso la Svizzera - io batterei le mani e griderei: utinam! di fronte alla rievocata unione tra socialisti e repubblicani, e alla ripetizione del grido di Bissolati nel 1900 di Abbasso il Re! E applaudirei tanto più volentieri in quanto io credo alla sincerità di Turati nella sua fierissima attitudine e non credo che egli meriti oggi gli applausi sanguinosamente ironici al grido di Viva Giolitti! che lo accolsero al Comizio di Milano; né l'oltraggiosa ipotesi di Giovanni Lerda che lo ha accusato di recitare una commedia per rifare la verginità al partito socialista. Rimango calmo e sereno e non mi lascio trasportare agli entusiasmi per una rivoluzione imminente - come è imminente il fatto o fattaccio che a giudizio di Turati dovrebbe determinarlo - perché sono convinto, convintissimo, che la grande maggioranza del popolo italiano, compresi molti repubblicani e moltissimi socialisti, è favorevole alla impresa tripolina. Ora che il cannone ha tuonato contro i Turchi; Ora che i Turchi d'Italia - non quelli giovani, ma quelli agli ordini di Giolitti, alleati coi socialisti hanno imposto silenzio ai protestanti colle pallottole errabonde e coi numerosi massacri dei proletari italiani - efferato quello di Langhirano - a quanti disapprovavano la impresa tripolina, pur augurando alle armi italiane la immancabile e facile vittoria, non resta che un compito: separare le responsabilità, discutere ampiamente l'impresa e preparare il mutamento della pubblica opinione. Ciò che mi propongo di fare nella misura delle mie forze. Napoleone Colajanni*
1 Presso la Rivista popolare Roma-Napoli. Prezzo lire 3; per gli abbonati lire 1,50 con invio raccomandato.
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