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Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Rivista popolare di politica, lettere e scienze, Anno XVII, N. 19, Roma 15 ottobre 1911
2. - Dalla penetrazione economica alla guerra.
L'ipocrita e menzognero ultimatum mandato dal governo italiano alla Turchia era poggiato sul principio del rispetto e della adesione esplicita del governo ottomano alla cosidetta penetrazione economica o pacifica. Non si trattava che di un meschino pretesto, il solo che si potè escogitare per giustificare la premeditata e preparata aggressione manu militare.
Né occorre spendere parola alcuna per dimostrare la premeditazione e la preparazione aggressiva. Questo principio della penetrazione economica e pacifica in ltalia e altrove faceva la sua strada da un trentennio e fu una comoda invenzione della diplomazia per dare veste decente tra noi alla conversione per la politica coloniale a tanti,
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
che l'avevano avversata fieramente per lo passato. Riuscì comodo sopratutto tale principio ai radicali italiani, che vengono dal partito repubblicano; tipico il caso di Riccardo Luzzatto e della Società democratica di Milano. I quali avversarono ogni sorta di politica coloniale se caldeggiata da Crispi; la subiscono, anzi la esaltano oggi che se n'è fatto esecutore Giolitti, che nella esecuzione ha portato tutta la violenza del primo senza averne la franchezza, la larghezza di vedute e la genialità.
Questo principio-pretesto, questa espressione manifesta della più raffinata ipocrisia internazionale da recente ha trovato all'estero molti assertori; nel fatto è antico. Si sa: i fatti precedono sempre le teorie e le suggeriscono.
Credo, però, che nessuno lo formulò più nettamente di Francesco Crispi molti anni or sono. Ciò risulta all'evidenza dalle lettere assai interessanti che nel 1894-95 furono scambiate tra Rohlfs, Camperio e Crispi da recente pubblicata dall'anonimo che firma Semper nella Ragione e ch'è persona che fu intima del Camperio.
Rohlfs, il noto viaggiatore, che aveva percorso la Tripolitania, come l'aveva percorsa il Camperio – ed alle descrizioni di entrambi spesso si affida Elisco Reclus nella sua Geographie Universelle - a richiesta del secondo e per conte[o] di Crispi nel dare il proprio avviso favorevole ad una politica intesa a stabilire l'egemonia italiana nella Tripolitania avvertiva:

La popolazione non solo non vedrebbe di malocchio una occupazione italiana, ma anzi sugli indizi da me personalmente raccolti e da quelli, che mi furono dati da persone autorevolissime, si può affermare che l'occupazione sarebbe sommamente desiderata e bene accetta. Naturalmente la conquista di questo paese dovrebbe essere fatta, salvo casi di forza maggiore, di pieno accordo colla Turchia: e tale conquista puramente e semplicemente economica e amministrativa nel suo primo svolgimento, dovrebbe essere fatta comprendere agli Arabi con opportuni mezzi di propaganda e di benessere. Lettera da Francoforte sul Meno in data 5 luglio 1894).

Crispi alla sua volta il 24 luglio rispondendo al Camperio dichiarava:

Sopratutto, occorrerà opportunamente porre in chiarissima luce il nostro divisamento, immutato ed immutabile: e cioè che trattasi di conquista pacifica, da svolgersi nell'interesse supremo della Turchia stessa, fermo pur restando il principio d'intervento armato da parte nostra, allora che supremi interessi di difesa e di influenza apparissero minacciati o dalla Turchia medesima, o da concorrenze viciniori, o da mutazioni politiche nell'equilibrio del Mediterraneo.
E come conseguenza diretta, mettere in pratica i savi consigli del Rohlfs, cioè spingere colà, non degli spostati, ma dei volenterosi, abili, capaci, con capitali adatti, per impiantare mulini, per acquistare terreni, per creare industrie nuove.

Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
La menzione esplicita dell'interesse supremo della stessa Turchia dà più chiaro significato alle intenzioni di Crispi sulla desiderata penetrazione pacifica ed economica; ma gli accenni agli interessi di difesa e d'influenza minacciati o di mutazioni politiche nell'equilibrio del Mediterraneo autorizzano a pensare che egli oggi, dopo l'occupazione francese del Marocco, non avrebbe esitato a ricorrere all'intervento armato. Però è doveroso aggiungere che Crispi non si era limitato ad esprimere un desiderio, ma che aveva fatto delle pratiche abbastanza ardite per realizzarlo. Ciò risulta all'evidenza dalla lettera immediata di risposta al Camperio in data 9 luglio – poco dopo ricevuta quella del Rohlfs. In essa era detto:

Olio su tavola di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tavola di Giovanni Migliara (1785-1837).
Il mio divisamento ti è noto: non guerra di conquista, ma penetrazione pacifica, fatta però con metodo e con mezzi adatti; a meno che non sorgano mutamenti tali nel Mediterraneo da obbligarci a difesa aperta e decisiva delle nostre sorti.
La questione di massima è già stata studiata. La sola difficoltà sta nel Sultano il quale accampa per ora pretese esorbitanti. Indubbiamente vi è qualche cosa fra mezzo che mi è oscura; ed è l'insistenza di qualche membro del Governo turco per venire ad una soluzione rapida. Con tutta probabilità trattasi dei soliti mestatori e intermediari, i quali vorrebbero in ultima analisi dividere col Sultano il bottino.
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Il Blanc mi assicura che sarebbe cosa facilmente attuabile un accordo col Sultano ove si trovasse un intermediario adatto ed astuto. Non ne ho sotto mano alcuno, né intendo per ora portare la questione in Consiglio per ragioni di opportunità parlamentare e politica, e anche per non dar esca a nuovi dibattiti estranei. D'altra parte non è opportuno per ora precipitare gli eventi per non turbare il paese con nuove incognite. Mi basta già quella dell'Eritrea che mi travaglia, mi turba e mi tortura giacché prevedo che malgrado ogni maggior vigilanza ci arrecherà sorprese non lievi.
Però, se soprassiedo, non intendo per questo solo fatto di perdere il contatto con Tripoli. Agire con prudenza e tatto, raccogliere tutti i dati più precisi ed opportuni per potersene servire alla propizia occasione, è stato sempre opera di somma previdenza in ogni tempo e luogo.
Io, curando l'istruzione, premendo sul Blanc perché il personale consolare risponda degnamente al pensiero del Governo, vigilando sulle mosse della Francia e dell'Inghilterra nell'hinterland, mi apparecchio a non lasciare aperta alcuna breccia nel Mediterraneo.
Ormai, perduta Tunisi e col Marocco in balia di un fanciullo, il vigilare armati e decisi alla difesa unguibus et rostris, diventa supremo dovere dell'Italia, se non vuol sentirsi serrata fra poco in un cerchio di ferro.

Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Queste lettere sicuramente fanno onore alla memoria di Crispi e danno sicura prova della sua politica lungimirante tanto differente da quella pedestre di Giolitti. Peccato per lui e pel paese che egli non si ria reso conto esatto delle possibili non lievi sorprese dell'Eritrea; che si sia avviato alla guerra coll'Abissinia senza alcuna commisurazione dei mezzi allo scopo; che abbia ubbidito all'inetto Re buono (?) nel mantenere al comando in Africa il generale Barattieri Pare che dopo il disastro di Adua alla Consulta non si sia più pensato alla Tripolitania; ed è sicuro in ogni modo che la paternità esclusiva del principio della penetrazione economica e pacifica sia del Crispi. Oggi abbiamo avuto degli epigoni, che l'hanno ripreso e ripetuto, spesso storpiandolo. Tra gli epigoni, come notai nel precedente articolo, è stato esplicito il De Luca Aprile, le cui parole riproduco, anche a dileguare qualche dubbio sulle mie precedenti osservazioni intorno alla uniformità di vedute su questo punto. Egli da Roma scriveva al Giornale di Sicilia (17-18 settembre):

L'idea brigantesca di prendere d'assalto la Tripolitania e d'impadronirsene col ferro e col fuoco non poteva venire in mente che ad uomini infatuati ed ignari della ragion moderna degli stati o ad uomini desiderosi di pescare nel torbido per abbattere un ministero o per rendere servizio al Vaticano.
Pensare, che l'Italia potesse dire: Voglio la Tripolitania, e me la prendo, mettendo in pericolo la pace del mondo, esponendosi ad una guerra provocatrice, è una vera e propria mostruosità.
La guerra bisogna non temerla, ed esservi preparati; ma non mai provocarla, non provocarla sopratutto con l'apparenza del torto.

Olio su tavola di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tavola di Giovanni Migliara (1785-1837).
Le sue riserve sulla politica intermedia da seguire - una politica che non fosse né disinteressamento né brigantaggio - indicano che egli forse voleva preparare il pretesto per evitare all'Italia la responsabilità dell'apparenza del torto nella provocazione alla guerra.
Non vi riuscì il governo, dell'on. Giolitti; forse per la pressione enorme del pubblico in favore dell'azione immediata; e checché egli possa pensare o scrivere per ragioni opportunistiche è indubitabile, che noi abbiamo commesso una vera e propria mostruosità provocando una guerra, - necessariamente ingloriosa per la grande inferiorità del nostro avversario, - ch'è la realizzazione di un'idea brigantesca.
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Ma è possibile la penetrazione economica e pacifica? Fu tentata in Tripolitania? E con quali risultati?
Non c'è bisogno di ricorrere ai principi più equi e liberali del diritto internazionale per dimostrare l'assurdità e la contraddizione intrinseca della penetrazione economica e pacifica in un paese che appartiene o fa parte integrale di un altro Stato quando questa penetrazione si pretende come un diritto; ed un diritto quasi sempre esclusivo. Il quale diritto esclusivo ha dato luogo oggi alla teoria della così detta sfera d'influenza.
Se possa essere pacifica una penetrazione economica, quando è coattiva e la s'impone sotto la minaccia della guerra ognuno intende. S'intenderà meglio leggendo ciò che il De Luca Aprile parafrasando il pensiero di moltissimi scriveva nella citata corrispondenza:

Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Le opere pubbliche nella Tripolitania, lo sviluppo marittimo e commerciale del paese, le industrie, le scuole, tutto dev'essere italiano. Né l'Italia chiederà mai troppo domandando quanto le è stato consentito già dalle potenze, ciò che non possono negarle la Germania alleata e l'In«ghilterra e la Francia amiche - se utile ed onesta è l'alleanza, se sono sincere e ben coltivate le “amicizie”.
Ciò, d'accordo con la Turchia, s'intende, o contro la Turchia.
Se la Turchia consente, sicurezza assoluta ed illimitata per essa della rinuncia da parte dell'Italia di ogni velleità di conquista territoriale.
Se non consente, ma continua ad ostacolarci, a vessarci, ad insultarci, allora, la ragione starà dalla parte nostra e le corazzate dovranno fare il loro dovere, riducendo al silenzio una nazione che volevamo amica e con la quale volevamo concorrere nell'incivilimento ed il benessere d'una vasta plaga importantissima dell'Africa settentrionale e che avrebbe respinto la nostra amicizia ed il nostro concorso.
Non guerra di conquista, allora ma guerra di esclusiva difesa della dignità italiana e degl'interessi economici e politici della patria.

Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Che qualche cosa resti d'indipendenza, di sovranità ad uno Stato, che subisce una siffatta penetrazione pacifica chiunque ci tenga alla propria rispettabilità non potrebbe affermare. Se Napoleone I qualificò i Re sinceramente costituzionali come dei cochons en graisse, certamente qualificherebbe peggio questi sovrani da burla, come il Bey di Tunisi, come il Viceré di Egitto oggi, come l'Imperatore del Marocco domani, i cui paesi sono stati pacificamente... penetrati da un altra potenza.
Presso le nazioni civili la penetrazione è continua, reciproca uguale; non ha niente di esclusivo e di coattivo. Napoleone I col suo tentativo di blocco continentale contro l'Inghilterra, in senso contrario alla penetrazione odierna volle impedire a tutte le nazioni di Europa ogni contatto economico colla perfida Albione; apparve violatore di ogni diritto.
La Germania impose alla Francia il godimento perpetuo della clausola della nazione più favorita ; e questa imposizione sembrò una sopraffazione quasi tanto odiosa e tanto dannosa quanto lo strappo dell'Alsazia e Lorena e il pagamento della indennità di cinque miliardi.
Ma Napoleone I era in guerra coll'Inghilterra e non pretese fare atto pacifico; la Germania impose il fatto come conclusione di una guerra gigantesca. I due precedenti, quindi, non sono paragonabili alla penetrazione pacifica... e coattiva che s'impose a tanti paesi africani; che s'impose in una certa misura alla Cina; o che in parte sistematicamente venne imposta alla Turchia col regime delle capitolazioni che rappresentò sempre uno strappo ai principi del diritto internazionale, che si poté fare quasi impunemente di fronte ai paesi ed agli Stati, che vennero considerati inferiori o per la razza o per le condizioni militari, politiche e sociali.
La politica della penetrazione pacifica e della sfera d'influenza in realtà non è che un pretesto, coscientemente o inconsciamente, escogitato per la conquista militare e territoriale, fatta quasi sempre a beneficio dei banchieri e dei capitalisti al giorno d'oggi. Come il capitalismo possa condurre, nel suo esclusivo interesse alla guerra, caratteristicamente lo insegna la iniqua spedizione di Napoleone III nel Messico, terminata colla fucilazione dell'Imperatore Massimiliano a Quaratero - precedente che per un momento parve si volesse ripetere dagli Stati Uniti in occasione della guerra civile tra i partigiani di Madero e di Porfirio Diaz. Fu essenzialmente capitalistico il movente della guerra di Caino cioè il raid di Iameson e la successiva guerra dell'Inghilterra contro le due repubbliche Sud-Africane dell'Inghilterra. Più sfacciatamente ancora questa decisiva influenza del capitalismo si è vista nella quistione del Marocco; dove la Francia si crede in dritto d'intervenire militarmente a difesa dei suoi capitalisti che già v'impiegarono ben 750 milioni. Lascio la responsabilità della cifra a Vico Mantegazza, che l'ha esposta in un articolo del Corriere della Sera. L'anonimo Semper nella Ragione poi ha completato la storia della invasione pacifica capitalistica con questi accenni: la Francia vi è penetrata coll' azione dell'Ufficio dell'Emprunt maroccaine, che amministra le dogane degli otto porti aperti al traffico; col Comitè des travaux pubblics au Maroc, che tappresenta un onere del Marocco per ponti, strade, porti etc., di oltre 500 milioni; colla Compagnie imperiale des telegrapes sans fil; colla Banque d'Etat du Maroc; con parecchie altre istituzioni; con acquisto di terre etc. che nello insieme rappresentano dei miliardi (Ragione 30 agosto).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
In questo investimento d'ingenti capitali si trova il fondamento della influenza che vuole esclusivamente esercitare la Francia nel Marocco. La Germania alla sua volta ha creduto intervenire a garenzia degl'interessi capitalistici dei fratelli Mannesman, i cui investimenti sono iniziali e minuscoli. Tra i due contendenti, Francia e Germania, qual'è la differenza nei motivi d'intervento? Questa sola: gl'interessi capitalistici dei Francesi sono un fatto; quelli dei tedeschi sono in gran parte un desiderio, sono in potenza. La Germania chiede pei propri capitalisti quelli stessi diritti, di cui godono i francesi. Tutto è francese nel Marocco; come tutto si vuole che sia italiano nella Tripolitania.
Se domani riusciremo coi capitali italiani - che attualmente non ci sono che in misura omeopatica - a trasformare la Tripolitania l'appetito della Germania e degli altri capitalismi si sveglierà e tutti vi vorranno il piede di uguaglianza.
Intanto ha un'apparenza - apparenza veh! - di legittimità, per la difesa dei capitali che vi sono investiti, la Francia che interviene nel Marocco. Manca questa apparenza alla Germania nello stesso Marocco ed all'Italia in Tripolitania perché l'investimento dei capitali tedeschi e italiani ancora non c'è; o c'è in microspica proporzione.
La Turchia permise la pacifica - meglio si direbbe la subdola, l'insidiosa - penetrazione economica dell'Italia in Tripolitania?
Il Camperio nella lettera a Crispi del 7 luglio 1894 accenna a vari tentativi di crearvi fattorie e colonie agricole, che non riuscirono completamente solo per la sorda ostilità delle autorità turche sin dal 1880 - cioè prima dell'atto di brigantaggio esercitato dalla Francia a Tunisi. Il Rohlfs, però, alla penetrazione nella citata lettera trova gia un ottimo appoggio nelle scuole italiane, che già vi funzionavano. Dunque l'ostilità nel 1894 non doveva essere molta. Saviamente lo stesso Rohlfs aggiungeva

“che presso le popolazioni primitive - e presso le civili aggiungo io - il do ut des assume la forma più tangibile di baratto ideale, il mezzo più acconcio per attrarle nell'orbita italiana”.

Disegno a matita di Giovanni Migliara (1785-1837).
Disegno a matita di Giovanni Migliara (1785-1837).
L'Halbhezz, che faceva parte della spedizione archeologica che ha corso testè dei pericoli confessa, che in una precedente corsa nell'interno della Cirenaica il Vali Turco gli fu largo di assistenza e di protezione (Giornale d'Italia 29 settembre). C'è da meravigliarsi se mutò l'attitudine dei Turchi dopo che le intenzioni dell'Italia sulla Tripolitania divennero il segreto di Pulcinella?
Che la penetrazione pacifica, sino ad un certo punto sia stata tollerata, se non direttamente favorita, risulta da diverse pagine della Nostra terra promessa del Piazza che si recò in Tripolitania non si sa bene se per conoscere le condizioni reali della nostra terra promessa o per cercarvi pretesti e motivi per renderla effettivamente nostra colla conquista militare.
A pag. 97 si legge:

Un'esposizione nuda di fatti, un elenco scheletrito delle imprese italiane compiute in Tripolitania e Cirenaica, basterà di per sè, senza commenti, a dare un'idea chiara dell'entità o del valore dei nostri interessi, affermati e piantati in questi paesi.

e poi seguita sino a pag. 100 ad enumerare le intraprese del Banco di Roma, che crede essersi reso ben visto dagl'indigeni perchè ha attenuato l'usura, attirandosi l'odio degli Ebrei e degli usurai che lo denigrano e lo combattono come un pericoloso concorrente. Usuraio ed Ebreo anche il Salvemini?

Disegno a penna acquarellato di Giovanni Migliara (1785-1837).
Disegno a penna acquarellato di Giovanni Migliara (1785-1837).
A pag. 101 si parla dell'enorme costruzione massiccia del mulino Italiano; e poi a pag. 107 e seg. si ricordano le scuole italiane, le migliori, frequentate da musulmani, di cui constata la ventenne azione d'italianità e di civiltà, cui oggi è venuto il rispetto, l'affetto, la simpatia, il prestigio della vera Tripoli (pag. 109); e infine da pag. 156 a pag. 191 con orgoglio si ricordano il servizio regolare di piroscafi coll'Europa, il servizio di cabotaggio tra i vari centri della costa, le missioni religiose, gli ospedali e i dispensari e ambulatori medici, il gabinetto di ginecologia di Bengasi, la concessione di scavare un pozzo, l'oleificio, la pressa dello sparto, il mulino a cilindro etc. di Tripoli (l'eccetera è di Piazza), l'impresa agricola nella località detta Foehad, la famiglia di agricoltori siciliani alla Guarscia, il solo terreno coltivato alla Ftaja dall'italiano Aronne.....
E la vera azione, la vera penetrazione pacifica ed economica esercitata dagl'italiani, infine, viene compendiata eloquentemente in questo brano:

Se c'è in tutta la Tripolitania un capitale, che comincia ad investirsi nella grande industria è capitale italiano. Se c'è capitale investito in operazioni bancarie d'ogni sorta, anche questo è italiano. Se ci sono in tutta la costa della Tripolitania e della Cirenaica, dal confine tunisino a quello egiziano, agenzie commerciali, le quali hanno già in mano, si può dire, i due terzi di tutto il commercio del paese sono esse pure italiane. Su tutto questo, ripeto, non c'è dubbio.....  (pag. 159).

Il Piazza aggiunge ancora che se alcune imprese vennero meno, ciò fu non per ostilità turca ma per cause naturali, indipendenti dalla Turchia - ad esempio il grano indigeno venuto meno ai mulini (pag. 161); la mancanza di popolazione... E a proposito di questa mancanza egli stigmatizza l'ignavia italiana.

Disegno a matita di Giovanni Migliara (1785-1837).
Disegno a matita di Giovanni Migliara (1785-1837).
Sapete, egli domanda, quanti italiani - né agricoltori naturalmente – noi abbiamo saputo mandare in tanti anni d'influenza in Tripolitania e Cirenaica, in un paese, cioè, vasto più che tre volte l'Italia e non meno fertile ?..... Il censimento esatto delle colonie nostre di questi paesi, forse per carità patria, non è stato mai pubblicato. Ma bisogna pur dirlo una volta. Ebbene, tolte alcune centinaia di sudditi raccapezzati qua e là alla meglio per far figura, noi non abbiamo in Tripolitania e Cirenaica più che un paio di centinaia d'Italiani venuti d'Italia! Qui in Cerenaica non abbiamo che una ventina di capi di famiglia a Bengasi, e sei o sette a Derna. e basta. E c'è a tre giornate la Sicilia dove la lotta per un metro quadrato di terreno è a sangue, è a corpo a corpo (pag. 170 e 171).

Disegno a penna di Giovanni Migliara (1785-1837).
Disegno a penna di Giovanni Migliara (1785-1837).
Dopo di che si puo esclamare: habemus confidentum reum! Si; è un nazionalista che confessa esserci stata la penetrazione economica e pacifica dell'Italia in Tripolitania; d'onde la conseguenza che l'ultimatum del governo italiano fu un disonesto pretesto, un mendacio ufficiale, per tentare la giustificazione della brigantesca guerra intimata alla Turchia!
La storia della spedizione del Messico, la storia della guerra di Cuba, la quistione del Marocco, la guerra per la Tripolitania - senza parlare di tutta la storia coloniale precedente della Gran Brettagna e della Francia - dicono che le penetrazioni economiche e pacifiche finiscono colla guerra e colle conquiste militari.
Acquarello per la illistrazione delle "Poesie" di Carlo Porta, di Giovanni Migliara (1785-1837).
Acquarello per la illistrazione delle "Poesie" di Carlo Porta, di Giovanni Migliara (1785-1837).
La teoria della penetrazione pacifica è quasi sempre una audace ipocrisia, che nasconde l'intenzione della conquista militare. Perciò dò lode all'amico Barzilai che nel suo decalogo - veramente i motivi esposti sono otto ed eviterà che fossero sette perché non si potessero paragonare ai peccati mortali - giustificativo dell'impresa Tripolina rese omaggio alla sincerità e trattò da ipocrisia la comoda dottrina della penetrazione pacifica.
I rapporti che si creano tra penetranti e penetrati sono multipli e tutti delicatissimi. Questi rapporti divengono difficilissimi quando tra gli uni e gli altri esistono profonde differenze religiose e di civiltà.
Allora ogni atto, ogni incidente crea malumori, attriti, ostilità dei penetrati contro i penetranti. In questi ultimi si scorge un malanimo che spesso non c'è; entrambi vengono frequentemente alle ostilità aperte, anche colla sincera convinzione negli uni e negli altri, che la ragione sta dalla propria parte. Queste ostilità fatalmente conducono alla guerra quando nei penetrati c'è il sospetto - peggio se c'è la certezza - che i penetranti li vogliono ridurre in soggezione; quando nulla si fa da' penetranti per nascondere, per mascherare tali intenzioni.
Ora confessiamolo sinceramente, onestamente, contro la turba degli ubbriachi di colonialismo: mai c'è stato un popolo penetrante, che con tanta sfacciataggine ha fatto intendere di volere spogliare della sovranità i penetra[n]ti quanto quella mostrata dagl'Italiani verso la Tripolitania.
Giuseppe Piazza con una leggerezza infantile parlando dell'enorme costruzione massiccia del mulino italiano costruito non sò dove in Tripolitania scrive:

l'arabo fantastico e sognatore passa ammirando, ed esclama immancabilmente: Ascheria italiana... Questi è la futura caserma italiana.

Acquarello per le illustrazioni delle "Poesie" di Carlo Porta, di Giovanni Migliara (1785-1837).
Acquarello per le illustrazioni delle "Poesie" di Carlo Porta, di Giovanni Migliara (1785-1837).
L'eco di tale bislacca proposizione è giunta all'orecchio del Turco, e il Turco se n'è preoccupato, e da quell'ora ha guardato con diffidenza il pacifico mulino. Ultimamente, annesso al mulino è stato elevato il silos; massiccia costruzione anch'essa, più alta di tutto l'edifizio, tale da dare l'impressione di una fortezza. Quando il lavoro era presso alla fine il Vali mandò a chiamare il Mercante Ghebir in persone e gli disse:
- Che cosa avete innalzato, adesso, accanto al mulino?
- Il Silos, Eccellenza.
- Il Silos? Che è mai il Silos?
- E il magazzino del grano.
- Un magazzino! E c'era bisogno di farlo così alto, così grosso, così rubusto! Tanto spreco per un semplice magazzino! misura ci vuole, misura, misura, misura” (pag. 101).
Ebbene; è innegabile: gl'Italiani hanno mancato di misura; non hanno avuto misura specialmente i nazionalisti.
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Olio su tela di Giovanni Migliara (1785-1837).
Considerare come bislacca l'apprensione dei Turchi sulle intenzioni degli Italiani è tale balorda leggerezza che possono consentirsela i fanciulli, gli ubbriachi, gli uomini in mala fede. I Turchi possono rispondere trionfalmente ricordando tutte le trattative diplomatiche precedenti, le lettere scambiatesi tra Rohlf, Camperio e Crispi, lo stesso ultimatum nostro; presentando la letteratura tripolina dei Castellini, dei Corradini, dei Piazza, dei Bevione; possono rispondere leggendo il titolo del libro di Piazza: La nostra terra promessa! e dire; siate briganti, siate prepotenti; ma per la stessa serietà del vostro paese non assumete il contegno di miserabili farceurs!
Napoleone Colajanni

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