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Lezione magistrale di storia del grande storico Pasquale Villari (1827-1917), ormai molto vecchio, ma molto saggio.
L'articolo era stato pubblicato dal Corriere della Sera del 24 ottobre 1912 ed era servito da Introduzione al libro di Aldobrandino Malvezzi.
Le illustrazioni sono tratte da Francis McCullagh, Italy's war for a desert, London 1912

Prefazione al libro di Aldobrandino Malvezzi, L'Italia e l'Islam in Libia, Firenze-Milano 1913
P. Villari. - Dopo la guerra

Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
La guerra che si è combattuta nella Libia ha per l'avvenire d'Italia una grande importanza. È bene perciò farsene un concetto chiaro. Per riuscire nell'intento è necessario prestare ascolto non solamente alle voci di entusiasmo, che da ogni parte si levarono nel paese; ma anche alle critiche che fecero e fanno gli avversari. Questi, è vero, in Italia sono pochi, al di là delle Alpi sono però molti. Il ponderare imparzialmente anche ciò che essi dicono, potrà giovare, se non altro, ad esaminare la questione sotto ogni aspetto.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
- Voi in Italia - così essi dicono - vi siete costituiti fondandovi sul principio di nazionalità, che avete dichiarato sacro, inviolabile. E andate poi a combattere un popolo, che se ne stava tranquillo a casa sua, senza aggredirvi. Esso non fa che difendere valorosamente la sua patria, la sua religione, e voi, non contenti di combatterlo con le armi, lo coprite d'ingiurie d'ogni sorta. È vero. che alcuni di voi affermano che gli arabi sono schiavi dei turchi, che li opprimono, e dai quali voi siete andati a liberarli. Ma ciò è manifestamente smentito dal fatto che essi, sotto il comando dei turchi, i quali hanno la stessa loro religione, si difendono contro di voi, versando come acqua il proprio sangue. Nessuno crederà mai, neppure fra di voi, che vi siete mossi per liberare gli arabi dalla oppressione dei turchi.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Altri, così proseguono gli avversari, dicono: - A Tripoli, in Cirenaica noi italiani abbiamo dovuto sopportare angherie d'ogni sorta. Tutte le nostre iniziative, tutte le nostre imprese industriali, commerciali furono dagli arabi, dai turchi, in mille modi, anche colla violenza, combattute, con loro e con nostro grave danno. In sostanza noi siamo andati a vendicare le patite ingiurie. - E dimenticate, così si risponde, che sono anni molti, che voi andavate predicando ai quattro venti che Tripoli doveva esser vostra, insieme colla Cirenaica, che pacifìcamente o colle armi voi avreste occupata tutta la Libia. E pretendevate che vi avessero ricevuti a braccia aperte? Che cosa avreste fatto voi in un caso simile?
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
- Voi, così si continua, andate, in mille modi ripetendo, che volete portare la civiltà nella Libia, che questa è la missione a voi affidata dalla Provvidenza.
È proprio il caso di ripetere: Medico, cura te stesso. Avete dunque così presto dimenticato i guai di casa vostra? L'analfabetismo, la criminalità, la camorra, la mafia. Dopo mezzo secolo di libertà, dopo tanti provvedimenti, tante leggi, tanti sacrifici, siete sempre a parlare di Nord e di Sud; non avete saputo unificare il vostro paese.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
E quando appena la vostra industria cominciava a prosperare, l'agricoltura cominciava a progredire, ed il vostro bilancio s'era finalmente messo in condizioni normali, vi volgete ad una pericolosa impresa, che vi costringerà a nuovi debiti, aggraverà di tasse il paese, vi ricondurrà al deficit: dovrete rifarvi da capo. Invece di pensare a portare la civiltà nella Libia, non era meglio pensare a diffonderla in casa vostra? Avete ancora centinaia di migliaia di contadini che, cacciati dalla miseria e dalla fame, emigrano ogni anno, abbandonando il proprio paese, in cerca di pane e di lavoro!
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Ma è qui appunto che gl'italiani dicono: - Noi abbiamo assoluto bisogno di una colonia per mandarvi i nostri emigrati, e non abbandonarli in paese straniero, in balia di ogni disagio, di ogni angheria. Apriremo così uno sbocco alla nostra crescente popolazione, alle nostre industrie. - Ma allora, così rispondono gli avversari, non dovete parlare di voler liberare gli arabi dai turchi, di voler portare la civiltà in mezzo agli arabi. Si tratta di un puro interesse economico e materiale. Ed in questo caso dovevate saper meglio fare i vostri conti. Siete andati in un paese a voi in gran parte ignoto, che, ad eccezione della costa, nessuno quasi aveva esplorato, che nell'interno è in gran parte occupato dal deserto, un paese che molti dicono arido, infecondo, inadatto a divenire una vera e propria colonia di popolamento o di sfruttamento.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Voi non sapete se sarà capace di accogliere la vostra emigrazione e darle utile lavoro.
Essa, in ogni caso, non potrà trovarvi le condizioni economiche che trova in America, e mandare o portare a casa i risparmi che vi fa pervenire ora.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
La conclusione è sempre la stessa. Per la vostra ambizione di gloria militare avete dato un salto nel buio, vi siete lanciati nell'ignoto, sacrificando il sangue della vostra gioventù.
Che in tutti questi discorsi, ponendo da parte le esagerazioni, vi sia del vero, nessuno spirito imparziale vorrà negarlo. Coloro che li fanno, hanno però dimenticato una cosa essenziale. Hanno dimenticato cioè che il mondo non lo abbiamo fatto noi, che esso non è governato dalla logica, che ha le sue proprie leggi, alle quali dobbiamo sottometterci. Nessuno può negare che la guerra è un gran male, una grande calamità, e che bisognerebbe, potendo, in ogni modo evitarla. Ma essa è una legge fatale della società umana. Quasi tutte le più grandi trasformazioni, i più grandi progressi sociali si sono potuti fare solo per mezzo della guerra. La conquista della libertà ha fatto versare fiumi di sangue. La lotta sembra essere il principio stesso della vita. E questo, come fu già osservato da J. S. Mill e da altri, si avvera persino nella storia del Cristianesimo, che è la religione di fratellanza e di pace. Il Medio Evo fu il secolo della fede e delle eresie, la Riforma di Martino Lutero giovò a rinvigorire il Cattolicismo. Quando cessano le eresie e finisce ogni lotta, la fede s'intiepidisce.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
La religione non combattuta e non difesa diventa consuetudine, convenzione, perde la sua propria vitalità.
Noi crediamo di essere nel secolo della civiltà, della scienza, della ragione. E senza che ci sia nessuna causa visibile di guerra, vediamo le due più civili nazioni d'Europa, la Germania e l'Inghilterra, armarsi pel prossimo conflitto, che esse credono inevitabile. Aggravano sempre più i loro bilanci, opprimono di tasse sempre crescenti le popolazioni. E chi si oppone è chiamato traditore della patria. Costringono tutta l'Europa a fare lo stesso. In nome della pace e della ragione si deve certo deplorare tutto ciò, e si può osservare che sar'ebbe assai meglio se i miliardi che si profondono nelle armi, si spendessero invece a promuovere l'industria, a dare lavoro ai disoccupati, a sollevare i miseri. Ma quando si è detto lutto ciò, bisogna pur finire coll'armarsi per non essere schiacciati nel conflitto che da un momento all'altro potrà scoppiare. Gli antimilitaristi hanno ragione in molte delle cose che dicono. Dimenticano solo che senza un esercito non si può avere una patria.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Quando la guerra si presenta come un fatto inevitabile, quando, come nel caso presente in Italia, vediamo tutto un popolo, senza distinzione di partii o di classe, animato dallo stesso sentimento bellicoso, allora, invece di predicare inutilmente la pace, è meglio indagare quale è la ragione che ha creato questo sentimento, che trascina irresistibilmente un popolo intero. Si potrà così imparzialmente giudicare quale è la natura di questa guerra, vedere se essa ha veramente uno scopo nazionale, nobile e degno. Questa non è per noi una questione di poca importanza.
Per una nazione giovane come l' Italia, che ancora si va formando, la guerra presente, oltre le sue conseguenze più dirette, dovrà necessariamente contribuire alla formazione del carattere nazionale.
Non è la guerra per la guerra che noi dobbiamo desiderare. Lo spirito militare del soldato italiano deve differire da quello dell'arabo, del berbero e del turco.
Esaminiamo dunque la questione nella sua origine prima
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Nel 1859 l'Italia si formò con l'aiuto dell'esercito francese. Questo fatto ebbe le sue gravi conseguenze, perché lasciava credere che, almeno allora, con le sole nostre forze, non saremmo stati capaci di liberarci. Le guerre nazionali, che seguirono poi, non ostante il valore del soldato italiano, non ostante i prodigi operati da Garibaldi e l'aureola che circondò la sua figura, non riuscirono fortunate. Pareva che a noi mancasse soprattutto la forza necessaria a formare, ad organizzare l'esercito e la marina militare. Custoza, Lissa, Adua non riuscivano a cancellarsi dalla nostra memoria, pesavano come una cappa di piombo sul nostro spirito.
Il paese non aveva abbastanza fiducia in se medesimo, e sentiva che gli altri non avevano abbastanza fiducia in esso. Si parlava sempre di questa nuova, grande nazione che era sorta; ma nessuno mostrava di temerla. La diplomazia faceva e disfaceva la carta geografica dell' Europa, senza punto occuparsi dell' Italia, che rimaneva sempre sacrificata.
La Francia, che era padrona dell'Algeria, che combatteva nel Marocco, andava a Tunisi, che era quasi una colonia italiana, a tre passi dalla Sicilia, senza occuparsi del danno che ci recava, dell'opposizione che potevamo fare.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
L'Inghilterra, padrona di Gibilterra e di Malta, andava in Egitto: l'Austria era padrona della Dalmazia. Così correvamo il rischio di essere soffocati nel nostro proprio mare. E s'andò formando la convinzione profonda, che l'Italia non sarebbe mai stata riconosciuta di fatto, più che a parole, grande nazione, se prima non dava prova della sua forza reale in una guerra fortunata. Pareva che questa fosse divenuta per noi una questione di essere o non essere.
E questa fu la ragione del grande entusiasmo, un entusiasmo che fece meraviglia a noi stessi, che se non fu superiore, fu certo più universale di quello dimostrato nelle guerre d'indipendenza nazionale. Esse infatti vennero promosse dalle classi più colte; ma il contado vi partecipò poco o punto. Lo stesso Garibaldi deplorò più volte che i contadini non andassero ad ingrossar le sue schiere, e lo attribuiva all'avversa influenza del clero.
Certo la guerra presente fu la prima per la quale l'entusiamo si manifestò veramente nella nazione intera. Vi parteciparono tutti quanti gli ordini sociali: l'aristocrazia e la borghesia, il popolo delle campagne e delle città, il Sud non meno, forse anche più del Nord. Il clero stesso, tante volte dimostratosi avverso ad ogni sentimento nazionale, benediceva dall'altare i nostri soldati, augurando loro la vittoria. E quando giunsero le notizie dei primi fortunati successi, e l'esercito e la marina militare dettero prova non solamente di valore, ma anche di mirabile organizzazione, l'entusiasmo arrivò sino al delirio. Può darsi che a tutto ciò contribuissero le memorie del passato, delle guerre altre volte combattute in quei medesimi luoghi. Può all'entusiasmo del clero avere contribuito l'idea della guerra contro gl'infedeli. Il fatto certo è che nel paese si formò il sentimento profondo che questa guerra era destinata a costituire definitivamente la nazione, che la nuova, la grande Italia stava per divenire una realtà riconosciuta da tutti, i nostri soldati partivano come nuovi crociati, acclamati dal popolo, che li portava sulle spalle. Pareva che tutti fossero animati da un pensiero solo. Ogni voce avversa era soffocata; ogni opposizione al Governo era affatto scomparsa.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Si poteva in tali condizioni parlar di bilancio, di uscita e di entrata? La misera, la povera Italia ha potuto condurre innanzi la guerra per un anno intero senza nuovi debiti, senza nuove tasse. E dopo i primi mesi, la Borsa è rimasta comparativamente ferma. Il nostro credito finanziario si è aumentato piuttosto che diminuire. E quanto alle condizioni interne del paese, non solo la concordia non è stata in esso mai turbata, ma la sua unificazione, la fusione del Nord e del Sud ha fatto con la guerra più cammino in alcuni mesi, che non ne fece in molti e molti anni di pace, con leggi, provvedimenti, sacrifizi d'ogni sorta. L'unità cementata col sangue versato in comune per la patria, è davvero divenuta indissolubile. Si può, se si vuole, deplorare che la guerra abbia potuto fare ciò che non seppe far la pace. Ma è qui ancora il caso di ripetere, che il mondo non lo abbiamo fatto noi, che non è la logica quella che lo governa.
- Ma dunque, per fondare definitivamente la sua unità politica, l'Italia aveva proprio bisogno assoluto di andare in Africa a versare il sangue degli arabi e dei berberi?
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Non è l'Italia, è l'Europa intera che è andata in Africa, Il secolo XIX fu il secolo della nazionalità, il XX è il secolo delle colonie. Inglesi, francesi, tedeschi, quasi tutte le nazioni d'Europa hanno da più tempo, colle armi, occupato il continente nero, fondando a gara colonie al sud, al nord, all'est, all'ovest. Le ragioni di ciò sono principalmente economiche. Le nazioni, una volta costituite, cercano un più vasto campo alla loro attività, uno sbocco alle loro crescenti industrie; sperano di trovare nelle nuove terre ignote ricchezze minerarie, di aumentare i prodotti dell'agricoltura. Il commercio coll'Oriente è stato sempre quello che ha arricchito quei popoli dell'Europa che l'hanno esercitato.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
L'Africa settentrionale è quasi la strada che congiunge l'Oriente coll'Occidente. La questione non è però solo economica e commerciale.
In passato la civiltà del mondo procedette da Oriente ad Occidente; ora sembra voler prendere il cammino inverso. Le nazioni d'Europa, colle loro industrie, coi loro commerci e colla loro coltura si avanzano verso l'Oriente, per portarvi la propria civiltà. L'Oriente stesso, quasi consapevole di ciò, sembra volersi ridestare da un lungo sonno.
Il Buddismo indiano si anima di nuova vita. Il Giappone, prima di tutti, ha già suscitato universale meraviglia. Deve l'Italia partecipare anch'essa a questo gran movimento, destinato a trasformare la storia del mondo, o deve contentarsi di rimanere inerte spettatrice, non essere altro che una nazione di più?
Sulla regione settentrionale delle terre africane s'incontrano oggi e vengono fra loro a contrasto due forme diverse di società e di civiltà, la occidentale e la orientale, il Cristianesimo e l'Islamismo.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Una volta i musulmani s'avanzarono in Africa, occuparono la Spagna, invasero la Sicilia e l'Italia meridionale, passarono i Pirenei. Finalmente l'Europa reagì e li respinse. Da quel momento l'Africa ed il mondo orientale rimasero separati dall'Occidente, procedendo ciascuno per conto suo. Ora essi s'incontrano di nuovo, la società occidentale si sovrappone alla orientale, con intendimenti di trasformarla, d'incivilirla.
Quale ne sarà il risultato?
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Il tentativo di assimilare a noi le razze inferiori è stato fatto più volte, incontrando difficoltà assai superiori a quello che si credeva. Negli Stati Uniti d'America ed in Australia gl'indigeni, piuttosto che incivilirsi, si estinguono. Pare che, quando la distanza che corre fra due razze è troppo grande per poterla superare in breve tempo, la inferiore, invece di migliorare, sia condannata a sparire. Nei medesimi Stati Uniti, è ben vero, i negri, giunti a nove milioni circa, sono stati per legge dicbiarati socialmente, politicamente uguali ai biancbi; ma in realtà rimangono così diversi, divisi e lontani da essi, che formano come un corpo estraneo nel seno della grande Repubblica, e costituiscono pel suo avvenire un minaccioso, ignoto pericolo, da cui nessuno sa dire come potrà liberarsi.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Nell'Africa settentrionale e nell'Asia il caso che ora si presenta è diverso, perché le razze che ivi risiedono, come gli arabi e gl'indiani, sono razze che in altri tempi si mostrarono capaci di progredita civiltà. Ma quali sono stati i risultati sinora ottenuti?
I francesi cominciaronno col governare la Algeria, dividendola in dipartimenti, come un prolungamento della Francia, inviandovi i loro impiegati, le loro leggi e regolamenti. Ben presto dovettero però accorgersi di avere sbagliato strada.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
E dopo una lunga serie di provvedimenti sempre diversi, dovettero finire col mutare sostanzialmente indirizzo. Si persuasero che bisognava concedere agl'indigeni una larga aulonomia, rispettare la loro religione, le loro leggi, i loro costumi, e governare il paese insieme con essi. Questo fu il sistema che con ottimi risultati seguirono a Tunisi.
Era in sostanza il sistema largamente seguito già prima dagli inglesi nelle proprie colonie. La costituzione det loro impero indiano è uno dei più grandi prodigi che la storia conosca. Più di 300 milioni d'indigeni, di razze, religioni e costumi diversi, in un territorio di 4.800.000 km. q. sono, con ordine e prosperità, governati con 76.000 soldati e circa 2.000 impiegati inglesi. Tutto il resto è composto di soldati, impiegati, principi indiani più o meno dipendenti. Con lo stesso sistema, quasi sotto i nostri occhi, negli ultimi anni venne trasformato l'Egitto. Un paese che pareva sull'orlo del fallimento, in balia di avventurieri europei, che lo dissanguavano, è divenuto anch'esso ordinato e prospero, con regolare amministrazione della giustizia, con meraviglioso progresso dell'agricoltura, con vantaggio economico di coloro stessi che lo governano. Tutto questo c'insegna quale è la via che dovremo seguire nella Libia, dopo la conquista, quando avremo imparato a conoscere il paese, ed a combattere le nostre tendenze burocratiche accentratrici.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Ma v'è un altro lato della questione, il quale ce la fa vedere sotto un aspetto assai diverso. Il sistema coloniale moderno, quando è seguito per la buona via, con vero metodo, ha dato senza dubbio assai spesso buoni risultati economici. Ma ai vantaggi materiali non risposero egualmente i vantaggi intellettuali e morali delle popolazioni.
Le due società dei dominatori e dei dominati par che procedano parallelamente, l'una accanto all'altra, senza mai assimilarsi, né mettersi in armonia fra loro, senza che la prima riesca gran fatto a far moralmente, intellettualmente progredire la seconda. Fra le due popolazioni par che, sotto questo aspetto, rimanga sempre un abisso insuperabile.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Fa meraviglia il vedere gli egiziani, specie i più intelligenti, essere così ostinatamente avversi agl'inglesi, da cui il loro paese è pure stato tanto beneficato. Non si riesce a capire come mai gli indiani, che ebbero in passato una letteratura, una filosofia, una civiltà loro propria, la quale ebbe stretta parentela con la nostra, non siano ancora pienamente riusciti, dopo un secolo di buon governo, a produrre nulla di ugualmente originale, e neppure ad assimilarsi e far propria la cultura inglese.
Perché mai l'Africa settentrionale, che nella sua lunga storia ebbe tante forme diverse di civiltà: l'egiziana, la cartaginese, la romana, la cristiana, e nella quale gli arabi portarono una cultura che si diffuse così largamente benefica nella Sicilia, nella Spagna, altrove; perchè mai, sotto il governo di un popolo civile come il francese, non dà segno alcuno di saper produrre nulla di simile? La civiltà greca potè largamente diffondersi in Oriente ed in Occidente; perché mai deve oggi essere così difficile alla occidentale diffondersi in Oriente? Certo coi nostri sistemi coloniali noi siamo ben lontani dal toccar la mèta. E se anche fosse possibile diffonderli sempre più da per tutto, ne resteremmo intellettualmente e moralmente del pari assai lontani.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Il problema merita tutta la nostra attenzione, perché sotto questo aspetto esso si presenta ora all'Europa, e si presenterà anche a noi nella Libia, quando, dopo la pace già conclusa, avremo interamente sottomesse le popolazioni indigene, che certo continueranno a fare lunga resistenza. Il mondo musulmano, dopo la perdita dell' Algeria e della Tunisia, dell'Egitto, della Bosnia ed Erzegovina, combattuto nella Libia e nel Marocco, si è profondamente commosso. E questo spiega ancora la grande preoccupazione degli Stati che hanno molti sudditi musulmani.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Lo spirito dell'Oriente e quello dell'Occidente sembrano ancora ignoti, inesplicabili l'uno all'altro. Un grande ostacolo è la differenza delle religioni, sopratutto dal tempo in cui esse non hanno più la reciproca tolleranza che avevano fra loro nell'antichità le religioni politeiste. L'Oriente è la culla primitiva di quelle che dominano ora nel mondo. Esse (specialmente l'Islamismo) danno una propria forma alla famiglia, alla proprietà, a, tutto lo spirito dell'uomo e della società. La diversità di religione da per tutto, nell'epoca moderna, ha profondamente diviso gli uomini. Basta ricordarsi quello che per secoli è seguito in Irlanda fra cattolici e protestanti, che pure professano, così gli uni come gli altri, una religione che si fonda del pari su Gesù Cristo e la Bibbia. È vero che negli ultimi tempi la tolleranza ha fatto grande cammino, e che gl'indigeni delle colonie possono ora esser certi che saranno pienamente liberi di professare il culto che vogliono. Ma quando quelli che professano una religione chedono dannati quelli che ne professano un'altra, rimane sempre fra di essi una distanza, che rende impossibile ogni intima relazione fra di loro. E la ripugnanza, la colpa, se così può dirsi, viene non da una parte sola, ma da ambedue.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Le religioni hanno tutte, più o meno, un fondo comune, che potrebbe dirsi la religione del genere umano, la quale dovrebbe affratellare gli uomini come in una sola famiglia. Essa consiste nel riconoscere l'esistenza del divino nel mondo, nel santificare la virtù, nel porre in relazione il divino e l'umano, nella fede in Dio. Al di sopra di questo fondo comune si costruisce una sopra-struttura, che emana dalla coscienza propria di ciascuna razza, di ciascun popolo, e ne prende la forma, ne costituisce la sua propria religione. Ciascun popolo crede fermamente che questa sopra-struttura sia la sostanza stessa della religione. E come essa, appunto perché propria di un popolo, non può esser propria di un altro, così invece di affratellarli, semina fra di essi odio profondo. Questa fu causa d'infiniti guai al genere umano. Accese i roghi della inquisizione, promosse le guerre di religione, portò stragi infinite: Tantum potuit Religio suadere malorum! Così a noi stessi non riesce possibile di scoprire il valore morale e religioso che si nasconde nei dommi, nei miti, nei riti delle religioni diverse dalla nostra; e non possiamo in alcun modo sentirci moralmente vicini a coloro che le professano. Il cristiano non riesce a farsi un'idea chiara del valore dell'Islamismo, e non capisce come mai possa essere con così gran fervore professato da tanti milioni di uomini, pronti a dare la vita per esso, e che per esso si sentono migliori. Crede invece che a migliorarli non vi sia altro modo che convertirli al Caistianesimo, cui la loro natura invece si ribella violentemente.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Non sa capire come mai il musulmano convertito sia assai spesso peggiore di quello che resta fermo nella sua fede. E non sa persuadersi che sarebbe facile migliorarlo, avvicinarlo a noi, facendone un miglior musulmano, piuttosto che un cattivo cristiano.
Così ci troviamo sempre più separati, e ci riesce sempre più difficile comprendere lo spirito orientale, promuovere efficacemente la sua educazione, il suo miglioramento.
Noi abbiamo nella storia della nostra Italia un esempio del modo in cui due civiltà, sostanzialmente diverse, poterono unirsi, fondersi insieme con grande profìtto della cultura universale del mondo. Questo avvenne nel Rinascimenlo, quando la civiltà pagana risorta si fuse colla cristiana.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
E fu un'opera alla quale contribuirono efficacemente anche alcuni celebri Papi umanisti. I principali promotori di questo grande, benefico progresso, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, pure rimanendo fedeli cattolici, cercarono, coll'aiuto del misticismo neoplatonico, di mostrare che nella mitologia greca, nelle divinità pagane erano, sotto forma simbolica, contenuti quasi tutti i misteri della religione cristiana. Così cercarono di redimere quel Paganesimo, che il Medio Evo aveva inesorabilmente combattuto e respinto. Così Marsilio Ficino, canonico del Duomo, poté tenere accesa una lampada dinanzi al busto di Platone.
E Gemisto Pletone, mandato da Costantinopoli al Concilio di Firenze, per promuovere l'unione della Chiesa bizantina colla romana, poté sperare in una vera e propria resurrezione del Paganesimo fra noi. Tutto questo fu creduto più tardi una assurda allucinazione, e tale può sembrare oggi anche a noi, sebbene nelle strane forme di quei discorsi ci fosse del vero più che non si crederebbe.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Certo è in ogni modo che, per questa via, fu grandemente favorito il progresso ititellettuale dell'Europa, e si gettarono, le fondamenta d'una civiltà più universale, più umana.
Queste sono le considerazioni che a noi suggerisce il problema coloniale, quale esso ci apparisce nell'ora presente. L'Italia arriva assai tardi, quando tutta l'Africa è stata già occupata dalle altre nazioni. A noi non restano che le ultime briciole, la sola Libia. E ci rimproverano di essere andati colle armi a conquistare, una terra che dicono infeconda, senza ricchezze naturali, incapace di accogliere la nostra emigrazione.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Senza fermarci a discutere se e fin dove tali asserzioni siano vere e provate, osserveremo piuttosto che, se il campo d'azione che a noi rimane libero è assai ristretto, l'impresa cui siamo chiamati a cooperare, il problema che si deve risolvere sono giganteschi, hanno una grande importanza per l'avvenire dell'umanità. Sarà l'Italia capace di contribuirvi in modo efficace? Se guardiamo alla storia del suo passato ed anche a fatti recenti, dobbiamo rispondere affermativamente. Essa, con l'Impero romano, che per qualche tempo accolse liberamente nel suo seno tutte le religioni, fondò l'unità del mondo antico, diffondendovi la propria civiltà. Nel Medio Evo fondò la Chiesa cattolica; nel Rinascimento, colla fusione della cultura pagana colla cristiana, iniziò la società moderna.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
L'affratellamento fra noi assai maggiore che altrove fra ebrei e cristiani; l'esperienza recentemente compiuta nell'Eritrea, il modo con cui gli ascari si sono affezionati ai nostri ufficiali, che li amano del pari, versando insieme con uguale entusiasmo il proprio sangue per l'Italia, ci persuadono che non le mancano le attitudini richieste.
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Illustrazione da Francis McCullagh, Italys war for a desert, 1912
Essa sente che la storia del suo passato le dà il diritto e le impone il dovere di contribuire al progresso della civiltà nel mondo. Sente che non è andata in Africa per una impresa puramente militare, o puramente commerciale, industriale, agricola; che non è venuta al mondo solo per accrescere il numero delle nazioni. Come l'individuo deve sacrificare la sua esistenza alla grandezza e prosperità della patria, e come in ciò la sua vita acquista il proprio valore, la propria dignità, così la nazione deve contribuire al progresso d'una più vasta civiltà umana, nella quale le forme diverse di coltura, di religione e società nazionali saranno come i vari lati della nuova civiltà, cui il mondo si va ora apparecchiando. In ciò sta la ragione ultima della risorta Italia, e ne determina il valore nella Storia del Mondo. Ciò spiega l'importanza storica della guerra lìbica.

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