Tripoli italiana - Insolenze sciocche di Innocenzio Cappa per uso e consumo dei monarchici.
Sono tra coloro che venni giudicato troppo tiepido repubblicano - e mi duole dover ricordare che tale mi giudicò anche il carissimo Ghisleri - perchè scrissi qui e dissi altra volta alla Camera, che non desidero la repubblica, come conseguenza di una guerra disastrosa come risultato di una Sedan italiana; ritengo perciò di essere creduto quando affermo che alle armi italiane impegnate nella impresa di Tripoli auguro sinceramente la vittoria e non la sconfitta; e giacché la bandiera italiana sventola su Tripoli auguro che lo Stato italiano vi compia altissima missione di civiltà e di umanità, che non lo faccia apparire troppo degenere discendente di Roma antica, la quale in tutta l'Africa settentrionale lasciò segni incancellabili, indistruttibili, sino a che l'arena del Sahara non le avrà interamente seppellite, della propria grandezza.
Lo auguro di tutto cuore, ma non è grande la mia fede nella realizzazione dell'augurio; né, manifestando il mio timore credo venir meno ai sentimenti e ai doveri verso la italianità se accesi nazionalisti, memori della insipienza dimostrata dallo Stato italiano in casa propria, temono che esso non sappia far meglio in casa altrui.
I sentimenti che manifesto verso il fatto compiuto non m'impediscono di continuare la mia critica dell'impresa tripolina inspirandomi all'amore per la verità; io continuo: sia per la netta separazione delle responsabilità, sia per distruggere le illusioni, che i giornali italiani con leggerezza che rasenta la mala fede, hanno creato sul valore della Tripolitania. La separazione delle responsabilità ha la sua importanza politica virtuale, potenziale e che qualche giorno diverrà attuale. E' necessario insistere perchè gl'Italiani non leggono e facilmente dimenticano; hanno dimenticato stupidamente, ad esempio, che
tutte le nostre disgrazie dal Congresso di Berlino in poi ci vennero perché a Custoza e a Lissa fummo battuti, mentre avevamo tutte le forze e il supremo dovere di vincere.
E continuerò nella critica dell'impresa colla coscienza di compiere un dovere con tanta maggiore serenità in quanto l'attitudine assunta mi procurerà nuove amarezze e nuova impopolarità. Lascio ad altri il compito più facile di seguire la corrente, spesso contro la coscienza, per avere applausi ed onori.
Mentirei, però se non aggiungessi, che qualche conforto mi viene dall'esperienza del passato; dalla giustizia che mi resero gli avversari; dallo esempio, che mi venne da altri paesi. Quando in Inghilterra più imperversava la follia militaresca per la guerra di Caino, né William Stead, né i radicali inglesi - di cui quelli italiani pel carattere e per la cultura non sono nemmeno la caricatura -, né il capo dell' opposizione di S. M. che rispondeva al nome di Campbell Bannermann - divenuto poco dopo, e morto primo ministro del Re - si arretrarono un istante dal biasimare l'impresa scellerata del Transwaal innanzi alle insolenze e alle ingiurie della plebe e del giornalismo imperialista, che li denunziavano come alleati dei Boeri...
Il passato mio personale, poi, mi consiglia di guardare con serenità al presente. Non c'è sozza calunnia che non sia stata scagliata contro di me, né c'è prava intenzione che non mi sia stata attribuita - dal parricidio, perché aveva denunziato le pecche della mia Sicilia ed avevo sostenuto il federalismo alla diffamazione perché aveva denunziato gli onesti maneggioni della Banca Romana. Mi chiamarono dalla Tribuna della stampa ministro plenipotenziario della Cina perché alla Camera parlai contro la partecipazione dell'Italia alla selvaggia spedizione degli Unni contro il popolo cinese. E quante non ne sentii al mio indirizzo quando nel Fascio della Democrazia e nel Secolo combattei la politica eritrea che da Dogali vergognosamente doveva condurci ad Adua... Fui per lo meno considerato come un alleato di Menelik. Il tempo e gli avvenimenti, spesso con grande mio rammarico, mi dettero sempre ragione.
Adesso, naturalmente, sono compreso tra i Turchi.
Mi riferisco ad Innocenzio Cappa, che ha chiamato i repubblicani beccamorti onorari per conto della mezzaluna e li ha accusati di fare opera folle e incivile in difesa della stessa Mezzaluna, perchè da lui non hanno preso l'imbeccata né si sono messi alla suite dei nazionalisti nel giudicare l'impresa di Tripoli.
Egli in verità direttamente si è riferito ai repubblicani di Milano; ma è chiaro che per lui sono beccamorti della mezzaluna quanti, come me, la pensano identicamente agli amici politici della capitale morale.
Né altri, né io abbiamo il diritto d'impedire che Innocenzo Cappa si dica repubblicano; ma i repubblicani hanno il dovere di non considerare come tale, solo per conservare al partito l'adesione nominale di un elegante retore, chi nulla ha mai fatto e sofferto per l'ideale repubblicano, chi dopo la sconfitta di Lugo vituperò i repubblicani di Lugo per fare cosa grata ai socialisti; chi vitupera oggi i repubblicani di Milano per ingraziarsi i monarchici e i reazionari di tutta Italia. L'ideale repubblicano in Italia non è fatto per procurare applausi, onori... e collegi elettorali. Passi ad altro campo il sig. Cappa e, se non arriverà tardi, avrà le bricciole dei simposi monarchici.
Napoleone Colajanni