garganovede, il web dal Gargano, powered in S. Marco in Lamis

Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Rivista popolare di politica, lettere e scienze, Anno XVII, N. 18, Roma 30 settembre 1911, p. 478
L'infatuazione per la impresa tripolina distrugge la memoria dei nazionalisti italiani.
Corradini e la riacquistata energia della Francia.
L'infatuazione per la impresa coloniale italiana dei monarchici, specialmente tra i nazionalisti - da
Bevione a Corradini, da Castellini a Piazza - è tale da averli fatti cadere in quella retorica ladra bugiarda, che sconsigliava Francesco Crispi. Tipico il linguaggio di Enrico Corradini (Nota 1) (Nota 2), sincero, ardente ed incauto imperialista, che da anni e con costanza sempre ammirevole e preferibile alla leggerezza di tanti che mutano indirizzo come le banderuole esposte al vento, persegue il proprio ideale. Egli testè si è abbandonato, nella gioia di vedere trionfare le proprie idee, alla retorica alta, auspicando all'Europa un altro millennio al corso della sua stupenda civiltà colla conquista dell'Africa, levando un inno enfatico all'opera che ha compiuto e compirà la Francia nel suo impero africano e che la risolleverà tra le grandi nazioni con una grande missione. Ha avuto il torto imperdonabile, però, di aggiungere questo periodo:

C'era infatti una nazione la quale era stata battuta in una grande guerra; una nazione corrotta sino al midollo delle ossa dai vizi d'una troppo ricca civiltà; una nazione che per giunta era stata divorata da ogni sorta di lotte intestine; una nazione generosissima che pareva avesse perdute tutte le sue eroiche virtù.
Ebbene, questa nazione, la Francia, oggi soltanto in Africa ha trovato il modo di riformarsi, di recuperare la sua magnifica unità morale che aveva perduta, e la sua stessa fierezza aggressiva, di guardare in facci al nemico che l'avea battuta. (Marzocco, 17 settembre).

Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Ora qui per l'amore della tesi la verità storica è stata alterata in modo inverosimile. Non dice
esplicitamente il Corradini che l'Impero africano abbia guarito la Francia dalla corruzione che la
corrodeva sino al midollo delle ossa; ma lo lascia intendere. Ebbene, l'Africa non ha fatto altro che allargare la sfera di azione dei corrotti (grassetto mio). Egli ha dimenticato che l'impresa di Tunisi fu iniziata dai vergognosi tripotages denunziati a suo tempo da Rochefort (Continua la nota). Cose remote? La memoria avrebbe dovuto essergli rinfrescata dagli scandali recentissimi e vergognosi avvenuti colle concessioni di terre in Algeria e Tunisia e dei quali sono protagonisti deputati e senatori di ogni colore.
Peggio ancora se si riflette alla fierezza aggressiva che l'Africa avrebbe restituito alla Francia.
Storielle vane, rettorica bugiarda, direbbe Francesco Crispi. Ecco la verità. L'Africa procurò alla Francia la vergognosa ritirata di Fashoda di fronte al quos ego dell'Inghilterra, che impose il sacrificio di Marchand e della dignità nazionale; l'Africa provocò la calata di Guglielmo II a Tangeri, e il suo quos ego, che impose il ritiro di Delcassé dal ministero degli esteri - fatto umiliante inaudito, di cui menarono grande scalpore i nemici della repubblica, quei nazionalisti francesi, dai quali hanno preso il nome e le idee i nazionalisti italiani; l'Africa, infine, he provocato l'invio della Panther ad Agadir ed ha fatto subire alla Francia il vergognoso ricatto della Germania, stigmatizzato fieramente da Leroy-Beaulieu, come può vedersi da un altro nostro stelloncino.
Se la Francia da qualche tempo si sente alquanto più sicura e teme meno della sua nemica e forse ripensa alla revanche; se Delcassè - seconda edizione riveduta e corretta - ha potuto tornare ad essere ministro ciò si deve al tornaconto della Russia e della Gran Brettagna, che la sorreggono pei loro fini e non all'energia riacquistata nel dominio dell'Africa.
Questa la verità; e non altra.
Infatuazioni. Insinuazioni, ansie ingiustificate ed entusiasmi ridicoli per la impresa tripolina.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Tra i socialisti più accecati per la impresa tripolina c'è l'on. Giuseppe De Felice. Egli con una leggerezza fenomale e che fa il paio con quella spiegata nel movimento dei Fasci si ripromette mari e monti dalla conquista per l'Italia, per la Sicilia, pel proletariato e sopratutto per Catania, i cui interessi antepone a quelli della Nazione. Non solo; ma egli ha avuto la bella faccia di telegrafare al convegno socialista di Bologna, che caldeggiando la impresa tripolina intende mantenersi fedele alla massima di Andrea Costa: né un uomo né un soldo per la politica coloniale. L'accecamento coloniale è tanto che egli non si accorge che prima che la conquista s'iniziasse l'Italia aveva spesi parecchie decine di milioni e che sangue era stato versato ed uomini uccisi.
Forse i milioni non contano perchè non li paga la sola Catania? Forse gli uomini uccisi e feriti sono da disprezzare perchè non sono Turchi, ma proletari italiani?
Forse non si deve protestare per questi massacri perché ordinati da Giolitti, il decoratore di Centanni, quello del lieto Simposio dell'Ognina?....
L'on. De Felice, però, della colpevole leggerezza è stato severamente punito dai suoi compagni socialisti: La Battaglia di Milano ha insinuato che i suoi entusiasmi coloniali non sono disinteressati; che egli è azionista, se non del Banco di Roma, di qualche Società fondiaria...
Questo poi no. Si dica tutto quello che si vuole contro De Felice; ma si dica pure a voce alta che la voce raccolta dal giornale socialista lombardo è una insinuazione tanto balorda quanto calunniosa.
L'infatuazione e la leggerezza del Deputato per Catania, purtroppo!, non sono un fatto isolato: ne è pervasa quasi tutta l'Italia; arrivano all'ossessione in Sicilia. L'ansia colla quale si attendono le notizie è assolutamente morbosa; i giornali vanno a ruba, e sono i soli, che guadagnano coll'impresa tripolina; suonano le fanfare e le campane - perchè il Banco di Roma lo impone - alla partenza dei richiamati, si applaudisce freneticamente, si leggono con viva emozione i bollettini di Luigi di Savoja che rende conto delle sue gesta navali compiute a Prevesa, come se fossero i bollettini di Napoleone I dal campo di Austerlitz; si parla e si scrive della guerra contro la Turchia come di una guerra seria, ad esempio contro l'Austria o contro la Francia... Tutto ciò è semplicemente grottesco, ignobile; e la responsabilità di tutto ciò ricade sulla stampa, che ha preparato l'ambiente, che ha provocata la più colossale ubriacatura (grassetto mio).
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
La verità è semplice. Se i Turchi di Europa e di Asia potessero accorrere in Tripolitania avremmo una guerra vera e seria. I Turchi si battono valorosamente, i Turchi lottarono sempre con diverso successo ma sempre valorosamente, lo ripetiamo, contro l'Austria, contro la Polonia, contro Venezia nei secoli scorsi; contro la Russia più volte nel secolo XIX - ed è sempre degna di ammirazione e ricordevole l'eroica difesa di Plevna nella guerra contro la Russia e la Romenia nel 1877-78; e se l'esercito italiano si potesse battere contro l'esercito turco la vittoria nostra, che non potrebbe mancarci e che noi augureremmo, ci farebbe onore e potremmo gloriarcene. Ma l'esercito turco non può accorrere a Tripoli, perché tra Tripoli e l'Impero Ottomano sta di mezzo il mare, dove comandano i Dreadnoughts. Ora la superiorità navale dell'Italia sulla Turchia è tale e tanta che la guerra avrà le proporzioni e il ridicolo di una guerra in tempo di pace. Più che una guerra sarà una sopraffazione: della vittoria dovremo sentire rossore, perché non potrà cancellare mai l'onta di Custoza, di Lissa, di Abba Carima.

Hai mai visto gli ex voto di san Matteo? Conosci Giovanni Gelsomino?