Le modeste pretese degli italiani secondo Ferdinando Martini. A proposito dell'impresa tripolina.
Togliamo dal Marzocco senza aggiungere nulla di nostro questo stelloncino edificante, che risponde a verità sacrosanta, di cui tutto si accorgeranno quando gl'Italiani saranno chiamati a pagare i conti della conquista.
I tre 'senza' dell'on. Martini.
Nel corso di una intervista, naturalmente su Tripoli, il più politico dei nostri letterati e certo il più letterato dei nostri politici, discorrendo con un collaboratore della Stampa ha citato un periodo di un suo libro; il periodo, fra le molte pagine che ha scritto in vita sua, a cui tiene di più. Ferdinando Martini è un uomo di buon gusto e anche fra le pagine della sua prosa sceglie bene. Il periodo di fatti è gustoso e come definizione demopsicologica vale un Perù, mentre si adatta perfettamente alla Tripolitania, e a ogni altra parte del mondo coloniale a cui per avventura l'Italia abbia rivolto o sia per rivolgere le sue brame.
Chi dice che gl'Italiani non sanno mai cio che vogliono? In certi punti anzi siamo irremovibili, vogliamo la grandezza senza spesa, le economie senza sacrifici e la guerra senza morti. Il disegno è stupendo, forse difficile ad effettuare.
Ciò che ci costerà la Tripolitania.
A quei socialisti ignoranti che caldeggiano l'impresa tripolina, ma che giurano di non volere spendere un soldo, né sacrificare un uomo dedichiamo un grave e sereno articolo della Finanza Italiana (30 settembre). Vi si dimostra che il momento economico e finanziario è grave per l'Italia; che saremo costretti a ricorrere al credito in condizioni assai svantaggiose, che è doveroso far comprendere al paese che Tripoli ci costerà assai cara.
Tanto per cominciare si spenderanno per la prima spedizione dai 50 ai 100 milioni. Il resto verrà; oh! Se verrà. E allora vedremo sbollire gli entusiasmi degli italiani, anche senza che sopraggiungano complicazioni europee. Se sopraggiungessero il disastro sarebbe spaventevole.
La liquidazione della Società per la pace e per l'arbitrato in Italia.
Ernesto Teodoro Moneta ha voluto cantare il deprofundis all'associazione internazionale per la pace e per l'arbitrato da lui presieduta in Italia mandando queste due inverosimiii telegrammi:
1. all'on. Di San Giuliano: Plaudendo vostra energica azione e mirabile preparazione diplomatica rivelata stampa odierna, auguro prossimo fine conflitto trionfo buon diritto (?!) italico.
2. all'on. Giolitti alla vigilia del banchetto di Torino: Lieto buon avviamento soluzione conflitto italo turco auguro sicuro vostro discorso Torino sanzioni avveduta condotta governo italiano dissipando censure dubbiezze amici avversari.
Noi non sappiamo se il Direttore della Vita internazionale avrebbe mandato quei due telegrammi contrari alla verità ed alla dignità, prima di ricevere il Premio Nobel; ma si può essere sicuri che i giudici che glielo assegnarono oggi glielo negherebbero.
Tra tante defezioni tra i difensori della causa della pace e della giustizia, noi che ricordiamo l'ardore posto dal Moneta nel difendere l'Austria dalle accuse dei nazionalisti e degli irredentisti, confessiamo di avere subito la più dolorosa impressione alla lettura dei suoi due telegrammi, degni di portare la firma del De Gubernatis, lo staffiere di Casa Savoja.