Paolo Sylos Labini, Saggio sulle classi sociali, Laterza 1988
[...] Nello stesso tempo, per ragioni di potere e di stabilizzazione politica, è forte l'inclinazione dei gruppi dominanti, centrali o locali, a far entrare nella burocrazia quelli che sono o possono diventare loro clienti. Il risultato è sotto un certo aspetto, sfavorevole per gli strati inferiori e intermedi di impiegati, nel senso che le remunerazioni di questi impiegati, a causa del numero, sono e restano relativamente basse o molto basse. Tuttavia, non va dimenticato che per numerosi impiegati dei gradi inferiori il vantaggio non sta in uno stipendio elevato, ma nel fatto stesso di essere entrati, grazie a favori di tipo politico, nella burocrazia, salvandosi, per così dire, da un lavoro manuale duro e mal remunerato o da condizioni di vera e propria disoccupazione. [...]
Rivista popolare di politica, lettere e scienze, Anno XVII, N. 20 e 21, Roma 31 ottobre-15 novembre 1911
Le sue cause ed i suoi effetti
Parte I
In tempi recentissimi, poi, a causa forse dei gravi sintomi morbosi che ha presentato l'azione dell'organismo amministrativo, l'argomento è stato ampiamente e vivamente esaminato, diventando, come suol dirsi, di attualità.
Nella discussione del bilancio dell'interno dell'esercizio scorso l'on. Turati, nel far presente la necessità di radicali innovazioni da apportare alla decrepita macchina dell'amministrazione, osservava che
“il burocraticismo si gonfia, s'ipertrofizza, diventa fine a se stesso, aumenta le operazioni, triplica i controlli e li elude, inventa congegni superflui, che complicano il lavoro per ragioni estranee all'andamento del servizio; ed abbiamo gli uffici passacarte e stazioni tappa, e la macchinosità pesante rugginosa che tutto arresta e per cui anche l'opera dei deputati è assorbita in gran parte dalla necessità di lubrificare i congegni”.
La gravità dell'argomento rende opportuno l'esame di esso anche perché dal contributo di singole forze, dalle più modeste alle più autorevoli, dall'assieme delle critiche individuali e delle particolari proposte potrà e dovrà o prima o poi scaturire un indirizzo nuovo, mediante il quale potrà, secondo i voti di Lord Brugham (Filosofia politica, Firenze, A. Battelli, 1850)
darsi al popolo la maggiore libertà che esso possa godere senza pericolo ed il governo al miglior prezzo possibile che basti a regolare i suoi affari.
Un sistema ideale sarebbe quello mediante il quale l'azione dei pubblici poteri venisse esercitata da liberi cittadini, da quei funzionari cioè, pei quali, secondo la definizione del Loening (Lerhbuch des deutschen Verwa[l]tungs r[R]echts [sic!], pagina 138. Leipzig, 1884, Braitkopf und Bartel)
“il servizio dello Stato non è attività diretta a lucro, ma il cui compenso esterno sta solo nell'onore legato a quello stesso servizio”.
Ma pur troppo un simile stato di cose è quasi del tutto irrealizzabile, come ci dimostrano un breve richiamo storico ed un cenno delle legislazioni comparate. ll sistema dei funzionari onorifici si attuò ai tempi della repubblica romana, tanto che Cicerone poté scrivere che
ogni mestiere salariato in cui si vende il lavoro e non il talento è pregevole.
La struttura dello Stato di quel tempo era strettamente militare ed il popolo romano viveva principalmente di bottino di guerra e di contribuzioni imposte ai popoli soggiogati; la struttura dello stato odierno, invece, non solo ha un'impronta eminentemente giuridica e anche sociale, nel senso che la sua principale attività mira allo sviluppo ed al coordinamento delle svariate forze spirituali ed economiche della società, ma ha questa importante nota differenziale: che i cittadini traggono dal lavoro e non dalla guerra i mezzi di sussistenza. A parte ciò, c'è un ostacolo insuperabile che consiste nel fatto che i servizi pubblici sono oggi così complessi da rendere necesarie un'attitudine ed una preparazione speciali, che non possono conseguire se non coloro che vi si dedicano professionalmente.
Ma un simile stato di cose, che si spiega colla natura patrimoniale dello stato di allora non è certo desiderabile.
Tra gli stati odierni si è sempre citata l'Inghilterra come esempio di organizzazione di servizi pubblici, esercitati gratuitamente da un'aristocrazia, altamente conscia dei propri doveri; ma questo sistema che fu possibile sino a tempi recenti accenna ormai a tramontare per ragioni svariate tra cui lo spirito democratico dei tempi nostri che tende a cancellare ogni forma di privilegio di classe, rendendo accessibile anche ai più umili, purché capaci, l'esercizio delle funzioni dello Stato.
Scrive a questo riguardo Herbert George Fordham (L'amministrazione locale, come scuola civile, rapporto al congresso internazionale di scienze amministrative, Bruxelles, Groemaere 1910):
Nella pratica si trova ordinariamente che tutti sono talmente dediti al sol obbietto di guadagnare la vita, e forse qualche cosa di più che dovunque l'amministrazione cade sempre più nelle mani dei funzionari e che perciò stesso la burocrazia s'ingrandisce e pesa con piede opprimente sulla macchina amministrativa ed il popolo.
A parte questo, è da notare che alle cariche gratuite si è fatto ricorso in Inghilterra, il paese classico del self government per le amministrazioni locali, mentre il governo centrale è stato ordinato sempre burocraticamente. Da ciò consegue che questo ultimo sistema ha dovuto avere una prevalenza assoluta in questi ultimi tempi, relativamente ai quali Laveleye nella sua opera Il governo nella democrazia osservò
che nella ultima metà del secolo XIX l'Inghilterra aveva fatto della centralizzazione con furore.
Lincoln poté pertanto dire: Se mai questo popolo libero, se questo governo divengono completamente demoralizzati, ciò è a causa delle agitazioni e delle lotte per gl'impieghi. Ma contro lo spoils system fu intrapresa una lunga lotta, in seguito alla quale fu votata la legge 19 gennaio 1883 per la regolarizzazione ed il miglioramento del Civil Service degli Stati Uniti, in forza della quale quasi tutte le cariche pubbliche vengono ora conferite per concorso.
L'innovazione diede ottimi risultati e fu adottata da numerosi stati della confederazione. Una vera apologia della burocrazia all'Europea fece il Dana Durand che oggi occupa un posto eminente nella Direzione dell'ufficio permanente del Census. Risulta, adunque, all'evidenza che anche gli stati, che per le loro particolari condizioni sembravano più ribelli al sistema burocratico, come l'Inghilterra e gli Stati Uniti d'America, si son dovuti ad esso adattare, seguendo quanto già era avvenuto in Francia, in Germania, in Italia etc.
Ma se è necessario ricorrere all'opera dei pubblici impiegati di carriera è, però, opportuno esaminare se un limite possa essero apposto al loro numero, se in altre parole sia possibile difendere lo stato ed il contribuente da quella specie di filossera sociale che è la burocrazia, la cui prolificità, come quella dei parassiti in genere, è addirittura enorme.
In parte ciò è l'effetto della continua assunzione da parte dello Stato di funzioni sociali.
Una serie di bisogni privati, scrive giustamente il Salandra (La giustizia amministrativa nei governi liberi, pag. 6. Unione Tipografica torinese, Torino 1904), si è trasformata in pubblici in quanto la soddisfazione loro non può essere data se non dall'aumentarsi e del coordinarsi dei mezzi nelle associazioni forzose.
Un fatto caratteristico, anzi strano, colpisce a prima vista.
Noi ci troviamo innanzi a due manifestazioni di malessere e di scontento, quella dello Stato da un canto, quella degl'impiegati dall'altro. Il primo deplora l'enorme aggravio apportato alle finanze dagli stipendi, dalle pensioni assegni ed altro, il cui ammontare in Italia era all'8 luglio 1910 di lire 809.566.040 per un personale composto di 508.809, comprendente oltre i pensionati, gl'impiegati civili e militari il personale straordinario ed avventizio, gli operai di ruolo, ecc.
A questa lagnanza di carattere economico molte altre se ne aggiungono formate da mille voci diverse e che si riassumono nella frase del Bagehot (The english constitution, pag. 194).
“La burocrazia non solo ha la tendenza a dare un governo inferiore qualitativamente ma ad esagerarlo quantitativamente”.
Talvolta un'osservazione pedestre può assurgere all'entità di un concetto scientifico. Guidati da questo criterio noi rileveremo un fatto che ha al nostro fine un'immensa portata.
Pochi anni fa alcuni impiegati della dogana in Italia vollero fare una manifestazione ostile al governo. Paurosi di compromettere la loro posizione si avvalsero di mezzi rigorosamente legali, dell'eccesso, anzi, della legalità: essi applicarono scrupolosamente tutte le disposizioni regolamentari che disciplinavano la loro azione.
Un fatto simile accadde a Trieste alcuni mesi fa per opera degl'impiegati ferroviari e degli altri funzionari del governo austriaco: essi applicarono rigorosamente le norme regolamentari e con questo mezzo intralciarono tutto il movimento del paese. Quali conseguenze scaturiscono da questo fenomeno?
La prima, intuitiva, è che lo Stato... è ostruzionisticamente organizzato. La seconda non meno evidente è questa: che gl'impiegati i quali vogliono compiere il loro dovere debbono almeno parzialmente violare la legge ed i regolamenti. La terza, e la più grave, consiste nel fatto che i funzionari i quali vogliono stare rigorosamente attaccati alle minuziose disposizioni che ne regolano anzi ne imprigionano l'azione, costituiscono un pericolo pubblico da paragonarsi allo sciopero ed alle rivolte. Giova, poi, notare che per molti impiegati il verbo del regolamento costituisce un dogma che non si discute, un precetto a cui si deve restare fedeli anche quando si debba calpestare la logica, e di fronte a cui è lecito esclamare: credo quia absurdum.
Allora l'impiegato si fornì del certificato di vita credendo, così, di avere rimosso ogni difficoltà. Ma egli era in equivoco.
L'inesorabile cassiere gli fece notare che siccome il certificato di vita era rilasciato pel mese di luglio, così non era possibile che il pagamento dell'ultimo assegno; pei precedenti occorrevano altrettanti certificati di vita. Una siffatta pretesa fece cascare dalle nuvole il disgraziato creditore, il quale osservò che chi è vivo in luglio, non poteva essere morto in giugno, e chi si trovava in giugno su questa valle di lagrime, non aveva potuto in maggio passare all'altro mondo.
Che altro dire?
Gli esempi si potrebbero moltiplicare ma la conclusione sarebbe sempre questa: che una delle cause più forti dello aumento della nevrastenia ai nostri tempi è precisamente … il regolamento dello Stato, nelle cui disposizioni il cittadino incespica ad ogni piè sospinto. Perchè tutto ciò?
Noi pensiamo ehe un primo motivo debba rintracciarsi nell'origine stessa degli stati costituzionali.
Nei governi dispotici la volontà del Sovrano comandava ed i sudditi non potevano che ubbidire. Il rapporto che tra l'uno e gli altri intercedeva era un rapporto di fatto, non un rapporto di diritto, poichè il diritto è essenzialmente limite e proporzione. Ora, in tale condizione di cose, l'uso che il capo dello Stato e coloro che ne attuavano gli ordini facevano delle contribuzioni, imposte ai cittadini, era sottratto a qualsiasi ingerenza o controllo.
Ma il popolo, che si lascia più facilmente privare del sangue che della moneta, volle frenare l'assolutismo del Sovrano nello stabilire sia le entrate che le spese dello Stato. Anzi
molte rivoluzioni non hanno avuto altra origine che la controversia sulla funzione dei Parlamenti in materia di entrate e di spese pubbliche (Nitti, Principi di scienza della finanza, 3 edizione pag. 638, Napoli, Pierro 1907).
Ora questi due fatti hanno dato origine alla tendenza, esagerata ormai fino al ridicolo, di non lasciare svolgere liberamente l'azione dei funzionari, ma di illuminarla coi pareri di corpi consultivi e di sottometterla ad altre minuziose indagini, onde assicurarne la legalità, la rettitudine e la convenienza. Il sistema sarebbe meritevole dell'approvazione generale se fosse adoperato con moderazione. E' successo, però, che nell'attuazione pratica del principio ottimo si è arrivati alle più assurde conseguenze, le quali si riassumono in questa proposizione, che la sorveglianza nelle sue molteplici forme non ha conservato la funzione di mezzo al fine di una buona amministrazione, ma è diventata fine a se stessa.
Il male poi si è aggravato per altre ragioni. La vita pubblica che conduce al potere è una specie di aviazione. Come quest'ultimo sport essa ha le sue irresistibili attrattive, consistenti nelle vertigini delle sublimi altezze e nelle emozioni dei subitanei trionfi. Ma come l'aviazione, la vita pubblica ha le sue fatali e fulminee tragedie. Ora gli uomini che si cimentano nella navigazione aerea della politica, vi portano spesso l'impronta del loro valore ma vi portano spessissimo il contributo della loro paura.
Conseguenza di quest'ultimo spiegabilissimo sentimento umano è il fatto, che molte iniziative intraprese nelle sfere amministrative e politiche, sono avvinte nei soliti ceppi di pareri, controlli ed altro, i quali mirano spesso superficialmente alla correttezza dell'amministrazione e sostanzialmente al quieto vivere di coloro che stanno a capo di essa.
Un solo pregio egli attribuisce alla sua condizione: la sicurezza e la tranquillità. E quindi umano che egli custodisca gelosamente queste sue prerogative, cercando di sottrarsi all'implacabile ira dell'orrendo mostro burocratico: la responsabilità.
I mezzi in parte glieli appresta la legge, in parte li crea da sé. Non si limita, adunque, il funzionario a circondare i propri provvedimenti di quelle formalità che valgano a renderlo legittimo; egli ricorre, invece, a tutti quei pareri, che col suo sguardo circospetto riesce a scoprire in tutti i meati dell'apparecchio amministrativo.
Ma è evidente che in siffatte con lizioni agli innumerevoli pareri costituiscono un folto cespuglio, dietro il quale s'asside ascosa ed impenetrabile la responsabilità del funzionario. Se poi qualcuno de' diversi organi consultati è di opinione divergente, allora si applica sempre la massima: Negandis maior protestas.
Anzi un rimedio a cui si ricorre volentieri è di seppellire la pratica in quelle immense necropoli, che sono gli archivi amministrativi e trasmetterne l'eredità agl'impiegati dell'avvenire.
Un fatto caratteristico poi consiste in questo. Il funzionario che chiede il parere di un altro ha già in mente il provvedimento da adottare. Sicché egli in maniera più o meno larvata e suggestiva fa intravvedere la risposta che gli torna gradita.
L'organo interpellato, sia per sottrarsi al fastidio di studiare l'affare, sia perchè inclinato alla dedizione, seconda l'indirizzo prescelto dal funzionario che lo interroga. Tutti gli altri corpi od impiegati consultati successivamente, riproducono il parere espresso dal primo interpellato. Succede in altre parole ciò che Dante osservava nelle pecorelle, che escono dal chiuso:
ciò che fa la prima le altre fanno.
Spessissimo i pareri sono un inutile intralcio, i quali nulla aggiungono o tolgono al provvedimento, che il funzionario avrebbe sempre adottato. Se questo, adunque, era ab origine buono, i pareri costituiscono una dannosa perdita di tempo; se era cattivo i pareri esercitano la funzione della foglia di fico nelle statue di marmo, che serve a coprire le parti invereconde. Si obbietterà subito che qualche volta gli organi consultivi impediscono atti amministrativi illegali ed inopportuni: ma noi replichiamo che se ciò è vero, è verissimo d'altro canto, che molti provvedimenti arbitrari o non convenienti non sarebbero adottati nell'amministrazione se questa non si mettesse all'ombra di autorevoli e conformi pareri.
Forse di ciò non era ignaro lo Stein, il quale quando fu nominato ministro nella Prussia proibì ai propri dipendenti con pubbliche istruzioni di mai sollecitare il consiglio di un superiore negli affari di loro competenza.
Parte II
Il provvedimento, torturato da tanti vigili sguardi, non è ancora pronto per l'esecuzione, poiché presso la Corte dei Conti l'esame sarà rifatto da un altro segretario, da un altro capo sezione ecc. e se sorgerà conflitto tra l'ufficio amministrativo e la Corte, sarà addirittura una sezione di quest'ultima a decidere definitivamente.
Ma ciò non è tutto! Succede ancora che tra gli organi che provvedono e gli organi che rivedono si sviluppa una specie di antagonismo. I primi tollerano mal volentieri le osservazioni degli altri; questi, poi, messi in una posizione preminente, estendono la loro revisione ai più minuziosi dettagli. In altre parole gli uffici di controllo provano un'acre voluttà quando possono sorprendere in fallo gli amministrativi, e perciò la loro opera mira non tanto al fine di accertare la regolarità del provvedimento, quanto all'altro di scovare in esso un appunto qualsiasi, che valga a dare la stura ad uno dei tanti innumerevoli rilievi, che fanno assumere agli autori l'aria di scopritori d'America.
Spessissimo le osservazioni non hanno alcun fondamento, e vengono ritirate con la stessa facilità colla quale son fatte.
Infatti il rilievo fa restituire all'Uficio amministrativo la pratica, la quale discende per vari tramiti (Direttore generale, capo Divisione, capo Sezione) sino all'autore del provvedimento.
Questi spesso risponde, e la risposta, attraverso i soliti gradini, perviene all'ufficio controllo, dove, attraverso altri tramiti, giunge sino a colui che ha fatto l'osservazione. Probabilmente spunta fuori una replica ed una nuova risposta e così si continua finchè uno dei due organi, spesso più annoiato che convinto, cede.
Così finisce il giuoco oltremodo divertente, il foot ball burocratico, che è considerato come la più onorifica palestra dell'ingegno e della cultura dei funzionari, tanto più che in tali occasioni pullulano i più sottili cavilli o le più eleganti questioni di diritto, tra le quali si insinuano sovente spropositi cosi spaventevoli che farebbero rizzare i capelli a qualsiasi giurista, anche dilettante.
Lo scherzo, però, che sembra innocuo, ha le sue tristi conseguenze quando si pensa che sul bilancio dello Stato pesano dieci impiegati, mentre ne basterebbe uno, e quando si considera che i cittadini ne pagano le spese, non solo con le imposte, ma sovente anche con le conseguenze annose dei ritardi. Coi cenni fatti precedentemente abbiamo messo in rilievo tre forme di ostruzionismo amministrativo: 1. quello che deriva dalle leggi e dai regolamenti; 2. quello che proviene dalla tendenza all'irresponsabilità dei funzionari; 3. quello che è conseguenza dei controlli e dello spirito ipercritico.
Occorrerà ora ricordare altre forme di ostruzionismo, tra cui quello gerarchico.
“Nel suo significato del tutto generale la gerarchia è il sistema in virtù del quale un agente può sospendere, annullare o riformare un atto compiuto da un altro agente; e da questa competenza nasce per l'agente che può sospendere, annullare e riformare la qualità di agente superiore in rapporto all'agente di cui l'atto può essere modificato e che è di conseguenza agente superiore. (Duguit, Les gouvernants et les agents pag. 475, Paris ed. Fontemoing, 1907).
Una forma tipica dell'ostruzionismo gerarchico è quello che ci viene offerto dalla organizzazione dei ministeri, che tanta parte rispecchia della vita amministrativa. I ministeri sono divisi in direzioni generali, queste sono suddivise in divisioni, queste ancora in sezioni. Delle sezioni, poi, fanno parte diversi impiegati che eseguono i provvedimenti, e che appartengono a varie categorie, secondo la maggiore o minore importanza delle funzioni a cui vengono adibiti. Il provvedimento che è preparato da un segretario, costituisce il germe dell'atto amministrativo, poichè deve attraversare diverse fasi prima di completarsi. Infatti appena il segretario ha compiuto il suo lavoro, questo viene consegnato al capo sezione che lo esamina ed eventualmente modifica. Trasformato in melius aut in peius, il provvedimento arriva al capo divisione che rinnova le operazioni del caposezione, indi, copiato, perviene al direttore generale.
Se qualcuno dei funzionari superiori non trova di suo gusto il lavoro preparato, lo respinge, perchè venga rifatto, e così si rinnovano ab inizio le operazioni sopra citate.
Ora, se con un istrumento che la scienza non ha ancora inventato si potesse misurare la capacità di ogni uomo e se la gerarchia venisse costituita in corrispondenza ai risultati di questo istrumento non ci sarebbe nulla di strano che funzioni superiori rivedessero l'operato degli inferiori. I gradi sarebbero sempre troppi e quindi l'amministrazione per se stessa ostruzionistica ma il principio sarebbe logico. Purtroppo però lo strumento non esiste ed accade invece sovente che la gerarchia burocratica è in ragione inversa colla gerarchia naturale. In tali casi avviene che anche quando un provvedimento sia ben fatto, basta che un superiore deficiente vi metta mano per guastarlo. Succede allora che tale superiore inferiore funziona da un canto come motivo d'interruzione e di ritardo, dall'altro come causa di perturbamento del regolare indirizzo delle pratiche.
Ora nelle amministrazioni a sistema burocratico e gerarchico il danno prodotto da un cattivo impiegato è di gran lunga superiore a quello che si avvererebbe se tale sistema non esistesse, poiché l'influenza delle deficienti facoltà di un impiegato superiore si può diffondere sul lavoro di coloro che gli sono subordinati, peggiorandolo. Sotto tutti gli aspetti adunque la gerarchia così come è organizzata è fonte di ostruzionismo.
Come importante causa del pessimo andamento dei servizi pubblici non è da trascurare il lato psicologico della burocrazia. Molti impiegati invero esercitano di fatto quello che fu definito “diritto all'ozio”. Ciò dipende dal concetto che si ha dell'impiego. Mentre i giuristi s'affaticano per dimostrare che la nomina agl'impieghi pubblici è un atto unilaterale, pel quale lo Stato avrebbe quasi tutti i diritti e l'impiegato tutti i doveri, nella pratica, che in questo come in molti altri casi è così diversa dalla realtà, parecchi funzionari applicano un principio diametralmente opposto: riserbano a sè tutti i diritti e riversano sullo Stato tutti i doveri.
Dico che ciò accade qualche volta poiché fortunatamente non tutti gl'impiegati sono di parere che la loro professione si riassuma nella percezione dello stipendio e possa prescindere dall'altro lato del rapporto: il servizio. Molti bravissimi funzionari compiono il lavoro che ad essi spetta e quello pure che spetterebbe a coloro, che amano il dolce far niente.
Un'altra stranezza delle amministrazioni è quella di considerare come sacra ed inviolabile, se non in diritto in fatto, la stabilità degl'impiegati. Che l'amministrazione, per quanto è possibile, debba astenersi dal licenziare coloro che le prestano la propria opera, è un principio la cui giustizia è di così intuitiva evidenza che non occorre insistervi; ma che essa debba sempre coprire con le sue grandi ali protettrici anche coloro che, o per inettitudine o per ignavia, riescono inutili ed anche dannosi, è un concetto la cui equità non può non apparire di dubbia lega.
Ora dacché, per evitare i favoritismi personali nel conferimento degl'impieghi si segue il sistema dei concorsi , non si è fatto che sostituire un male ad un altro. Infatti non vi è dubbio che il nominare impiegati i quali abbiano dato con esame pubblico una prova di coltura e di capacità sia un concetto esatto e vantaggioso; ma il concorso non può essere ritenuto che come una specie di praesumtio iuris tantum della capacità dell'impiegato.
Tutti sanno che l'esito dei concorsi è inquinato da vari elementi: il plagio, il favoritismo, il caso fortuito; ma a parte ciò l'osservazione di tutti i giorni dimostra che non basta conoscere pochi elementi di diritto civile, di scienza della finanza o di aritmetica, per dare sicuro affidamento di poter rendere un'opera proficua all'amministrazione.
Se un caso di questo genere si avverasse la morbosa sensibilità dell'opinione pubblica griderebbe subito alla persecuzione. Eppure quanti vantaggi non ricaverebbe lo Stato se con inchieste periodiche sulle pubbliche amministrazioni si chiedesse ad ogni impiegato il redde rationem dell'opera sua e si licenziassero inesorabilmente i poltroni ed i deficienti. Ma un'idea di questo genere è nello stato attuale delle cose irrealizzabile quantunque in nessun campo come in questo sia doveroso non abbandonarsi al falso sentimentalismo!
Se lo stato crea ospizi d'invalidi, se viene in ausilio della miseria, se in breve può e deve perseguire finalità umanitarie, esso, a meno che non voglia insidiare la propria floridezza e vitalità, non deve trasformarsi in liquido di coltura di parassiti, poiché questi. se non l'uccidono, ne intristiscono l'organismo e ne paralizzano le azioni. Eppure il parassitismo burocratico diventa di giorno in giorno più pericoloso, senza che si sappiano escogilare rimedi per vincerlo od arrestarlo!
Che cosa rappresenta questa aberrante sovrapposizione di parole vuote colle quali si è voluto trapiantare il militarismo nell'amministrazione?
Queste barbare voci che acquistano un significato solo in quanto ad esse corrisponde varietà di stipendi, esprimono nel loro assieme la cosiddetta carriera degl'impiegati. Ebbene noi pensiamo che la carriera così organizzata rappresenti un anacronismo ed un insulto alla logica.
Per quanto divergenti possano essere le opinioni che si hanno del rapporto fra l' impiegato e lo Stato, non si potrà disconoscera che in esso due elementi sono fondamentali: la prestazione d'opera, da un canto, il prezzo di essa costituito dallo stipendio dell'altro. Ora il più elementare senso giuridico ed il più ovvio principio economico impongono che debba stabilirsi una proporzione tra il lavoro e lo stipendio, nel senso che questo costituisca il giusto compenso dell'altro. Ma la carriera degli impiegati coi suoi meccanismi medievali e coi suoi strani artifici sovverte sia le leggi economiche che giuridiche, e succede quindi che a funzioni eguali, a lavoro uguale corrispondano prezzi del tutto diversi. Spesso anzi i maggiori compensi vengono percepiti da chi produce meno.
Si obbietterà che le diverse classi corrispondono alla diversa anzianità; ma questo criterio appunto noi consideriamo antiecononico ed antigiuridico, poichè ritenendo che lo stipendio altro non sia che il prezzo dell'opera dell'impiegato, non sappiamo comprendere come l'anzianità indipendentemente dal maggiore e migliore prodotto dell'impiegato possa costituire un titolo per la percezione di un compenso. Che se poi si osservasse che nell'anzianità si acquista maggiore pratica e quindi maggiore capacità, noi rispondiamo che uno o due anni sono più che sufficienti perchè un impiegato acquisti la pratica che gli occorre pel disbrigo delle proprie mansioni. Le attribuzioni degli impiegati in massima parte consistono nella ripetizione di atti uniformi, nei quali un breve esercizio rende più che competenti quando si abbia una buona preventiva preparazione. Se, d'altronde, dal campo delle idee scendiamo in quello della realtà, troviamo che la differenza di capacità tra funzionario e funzionario è data dalle attitudini individuali, non mai dalla diversa anzianità.
Ci sono in fatti impiegati ottimi dopo due anni di carriera ed impiegati pessimi dopo 20 anni; tuttavia ciò non impedisce che i secondi in onta alla giustizia ed ai principi economici percepiscano uno stipendio doppio o triplo dei primi.
Noi pensiamo che una gerarchia debba esistere tra gl'impiegati; ma richiamiamo il motto romano est modus in rebus.
Il comando non può, per essere efficace, che appartenere a pochi! e sol che esso venga disseminato in una serie indeterminabile di gradi, di parole senza significato e di etichette senza contenuto non si raggiunge la disciplina e l'ordine ma l'anarchia e il confusionismo. Mentre la struttura delle società primitive consiste nel valutare differentemente la personalità umana, la tendenza irresistibile dei popoli moderni è verso l'uguaglianza, uguaglianza s'intende che non è livellazione brutale ma illuminata proporzione.
Questo sistema, tenuto conto anche del fatto che le diverse valutazioni individuali non hanno quasi mai nessun sostrato reale, assume l'impronta di odioso privilegio e di non meno odiosa ingiustizia. Perchè infatti individui che servono ugualmente lo Stato, debbono essere così diversamente valutati per quanto nella prima sola categoria della carriera amministrativa vi sono ben 12 diverse posizioni? Aggiungasi che questa condizione di cose ha le più disastrose influenze morali. Il mettere molti impiegati alla dipendenza di pochi e dei più capaci, che abbiano la direzione e la responsabilità dei servizi è logico ed opportuno; ma il mettere quasi tutti in condizione di più o meno estesa subordinazione significa deprimerne lo spirito, educarli al servilismo, sottoporli in breve ad una deformante e torturante specie di castrazione morale ed intellettuale. Noi crediamo che sia questa una delle ragioni per cui le più elette energie rifuggono dai pubblici impieghi per correre nella palestra delle professioni libere. Ma il danno maggiore si rileva pel fatto che all'impiegato non è fatta mai una posizione sicura dal momento che l'animo suo deve essere permanentemente sino alla più tarda età agitato dalle ansie di salire, dalle ebbrezze delle vittorie o dallo sconforto delle sconfitte.
Negl'impieghi sono due le molle che fanno ascendere: l'anzianità e l'intrigo, mentre queste due forze, l'una col suo immane peso, l'altra colla sua infrenabile audacia, spesso comprimono ed annientano il valore. L'anzianità fa sì che chi a cinquant'anni perviene ad un posto elevato si ritiene abbia fatto una brillante carriera.
Siccome prima si avveravano dei favoritismi per mezzo dei quali i protetti venivano elevati alle più alte cariche, si volle nell'interesse degl'impiegati porre un freno all'arbitrio.
Il fine fu ottimo, il rimedio peggiore del male. Invece di trovare un meccanismo tale che assicurasse la vittoria ai migliori, si lasciò aperto l'adito al favoritismo, verniciato di giustizia e si cercò di tutelare l'interesse della media degli impiegati dando maggior peso all'anzianità. Così, per la legge sullo stato giuridico degl'impiegati, non si può essere promossi primi segretari se prima non siano almeno trascorsi sei anni; e così pure quasi tutte le promozioni di classe vengono praticamente fatte per l'esclusivo criterio dell'anzianità.
Quanto alle promozioni di merito, sono dovute all'intrigo e qualche volta anche al solo merito. Il parere dei consigli di amministrazione richiesto per le promozioni dovrebbe essere una garanzia contro le influenze parlamentari, ma invece non può considerarsi tale.
Basta infatti considerare che ne fanno parte il Sotto Segretario di Stato, i Direttori generali ed il Capo del personale. Ora il sotto segretario di stato è un personaggio politico, il capo del personale è subordinato al sottosegretario, i diretttori generali sono alla dipendenza del ministro che può persino collocarli a riposo, sia pure con una facile deliberazione del consiglio dei ministri, senza chiedere loro il permesso. In questo stato di cose evidentemente la politica, la quale, come si sa, non ha cuore e commette quindi delle ingiustizie, entra nella carriera degl'impiegati non soltanto dalla porta ma anche dalla finestra e si rivela più pericolosa, perchè irresponsabile, potendo mettersi al coperto di un parere illustre, che essa può chiedere ed anche imporre, e come meglio le aggrada.
Chi non fa parte di queste associazioni dell'arrivismo è predestinato al sacrificio.
Come causa di perturbamento dei servizi pubblici non deve trascurarsi il parlamentarismo. L'onnipotenza e la forza di penetrazione dei deputati hanno messo il funzionario alla dipendenza della politica. La legge, è vero, darebbe in molti casi a facoltà di resistere alle pressioni parlamentari, ma lo esercizio di questa facoltà è oltremodo pericolosa, poiché se costituisce una forza pel servizio, rappresenta una grande debolezza per l'impiegato. Una coscienza rigida darebbe a costui delle soddisfazioni morali che gli assicurerebbero il trionfo nella vita futura, ma molto probabilmente nella vita presente gli procurerebbe tormenti e delusioni.
Ora, se agl'impiegati si chiedesse l'olocausto delle loro aspirazioni sull'altare dell'onestà e della correttezza si pretenderebbe da loro la manifestazione d'una virtù che confina con l'eroismo; ma gli eroi non sono molto comuni ai tempi nostri, onde si spiega come gl'impiegati tendano a circondarsi d'una fitta rete di relazioni che assicurino loro una brillante carriera.
E ciò essi conseguono onorando d'ogni premura gli uomini politici, specialmente i ministeriabili, verso i quali si comportano come le donne giovani verso gli amanti vecchi, circondandoli di carezze forzate, delle quali prima o poi chiederanno il prezzo.
Questo stato di cose durerà a lungo, finché le buoni residenze, le promozioni e gli altri vantaggi della burocrazia resteranno a libito della politica. Né è da sperare che un rimedio possa essere prossimo. E' noto, infatti, che il sostrato elettorale di moltissimi deputati è costituito dall'illecita ingerenza che esercitano sulle pubbliche amministrazioni nell'intento di carpire favori pei loro amici. Essi, quindi, hanno un interesse vitale a tenere in uno stato di dipendenza i pubblici funzionari poiché solo in tal guisa possono piegarli alla loro volontà.
Ed, invero, sarebbe assurdo, come osservava lo Gneist (Lo Stato secondo il diritto, pag. 224. Trad. Artom, Zanichelli, 1884) pretendere che
impiegati rigorosamente subordinati siano a disposizione del partito dominante e nel tempo istesso serbino il carattere d'imparziale magistratura.
Essi, infatti, debbono temere e sperare non solo da quelli che sono al potere in una data epoca, ma anche da quegli altri che saranno i successori in un prossimo avvenire. Se aggraziarsi i primi significa conseguire vantaggi o rimuovere danni attuali, il cattivarsi l'animo degli altri significa seminare pel futuro.
Il male si aggrava a causa delle manifestazioni isteriche della vita parlamentare dei tempi nostri nei quali la Camera cambia ministeri più frequentemente di quanto le donne romane in tempi di decadenza cambiassero marito. Se i ministri passano come ombre attraverso le varie amministrazioni molto spesso senza lasciare di sé altro ricordo, che la loro fotografia, la burocrazia rappresenta il solo elemento stabile che abbia lo stato.
Ora appunto perchè la posizione della burocrazia acquista un'importanza sempre crescente nell'ordinamento pubblico, la condizione servile che ad essi vien fatta costituisce uno dei più grandi pericoli dello stato odierno. Il rendere la posizione dei funzionari sicura ed indipendente, significa fornire loro i mezzi per opporre un argine alle dilaganti influenze del parlamentarismo, significa, in altre parole, avvicinarsi all'attuazione di quella “giustizia nell'amministrazione” che fu in Italia il sogno di Silvio Spaventa e che è il miraggio più luminoso dei popoli civili. Ed a questo fine il cui conseguimento, per spiegabilissimi interessi di classe, sarà ostacolato dagli uomini politici mediocri, debbono tendere tutte le energie forti non tanto animate dall'idea di far cosa grata agl'impiegati, i quali non debbono considerarsi che come mezzi, ma sovratutto per vivificare e purificare l'organismo dello Stato.
Avv. Angelo Abisso (Nota 1) (Nota 2)