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Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Rivista popolare di politica, lettere e scienze, Anno XVII, N. 18, Roma 30 settembre 1911
Giuseppe Sergi: In Turchia.
Senza dubbio è un atto di brigantaggio che l'Italia commette in questo momento occupando la Tripolitania; e, coincidenza strana, doveva tenersi a Roma, in settembre il Congresso Internazionale della Pace che, giustamente, venne rinviato. Ma questo brigantaggio non è una novità nella politica internazionale: la Germania, l'Inghilterra, la Francia lo hanno praticato.
Sono intanto favorevole a questo brigantaggio, per una ragione che mi sembra superiore: credo che l'Impero ottomano dovrebbe essere cancellato dalla carta geografica.
I giovani Turchi non sono migliori; forse sono peggiori dei vecchi Turchi. Tutti i giorni siamo testimoni dei saccheggi, dei massacri, degli orrori che questi nuovi costituzionali commettono nell'Impero.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Sappiamo inoltre che la giovane Turchia, ch'é, come l'antica, composta di diverse razze: Albanesi, Macedoni, Bulgari, Greci Arabi, Ebrei, vuole distrurre la loro storia e la loro nazionalità sopprimendone la lingua, la scrittura, i costumi, le tradizioni, per ridurli a scrivere e a parlare come i Turchi. E' possibile? Sì; ma colla violenza, col ferro e col fuoco.
Quanti sono i veri Turchi nell'Impero ottomano? Essi costituiscono una debole minoranza in faccia alle altre nazionalità. E' vero che ci sono dei Musulmani dapertutto, ma i Musulmani non sono tutti Turchi. Gli arabi, ad esempio, sono nemici temibili dei Turchi; ed essi lottano terribilmente nella loro penisola per assicurarsi l'indipendenza; del pari Armeni, Macedoni, Albanesi, aspirano a liberarsi dai Turchi. Noi abbiamo ancora l'eterna quistione di Creta colla protezione illusoria e ironica delle grandi potenze. La Grecia è sempre minacciata da questi barbari, residui di un tempo che non è più.
L'esistenza della Turchia è dunque un pericolo continuo in Europa, a cagione della sua malefica azione nella penisola balcanica.
L'esistenza della Turchia è dunque un pericolo continuo in Europa, a cagione della sua azione malefica nella penisola balcanica e non si vede come questa potrebbe uscire da una situazione sempre più strana. L'entusiasmo per la giovane Turchia, dopo la rivoluzione nella speranza di una nuova era è scomparso: nulla vi è cambiato, l'oppressione dei popoli si è aggravata e i Giovani Turchi hanno mostrato un assenza completa di senso politico; i popoli hanno la loro fatalità come gli uomini. L'Impero ottomano è sempre sotto tutela; i Tedeschi, i Francesi, gl'Italiani, gl'Inglesi istruiscono il suo esercito e la sua marina, mentre che esso è il cliente della Germania e dell'Inghilterra secondo il momento politico...
Perciò penso che ogni pezzo di carne, che si può strappare all'Impero sarà tanto di guadagnato per i popoli che disgraziatamente sopportano il dominio turco. Questo motivo mi rende favorevole al brigantaggio dell'Italia contro la Turchia, la quale non ha più ragione di esistere. Per la pace di Europa. e pel bene dei popoli dei Balcani è necessario e urgente di affrettare la liberazione e I'indipendenza con una organizzazione definitiva. (Courrier Européen 10 ottobre). S. V. Dalla censura alla diffamazione.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Per molti motivi sospendiamo in questo nuoero la discussione sulla nostra politica coloniale, come si svolge in Tripolitania. La riprenderemo nel prossimo numero e con il rispetto dovuto alla verità, infischiandocene di tutti gl'ipocriti patrioti a buon mercato, che il patriottismo vogliono rendere sacro col culto della menzogna.
In questo numero nella rivista delle riviste riproduciamo un fierissimo articolo di Turati contro l'orgia patriottica ed un altro di Guido Cora - un vero geografo, che è stato in Tripolitania - che nella Nuova Antologia ha gettato acqua fredda, ghiacciata, su tutta la letteratura bugiarda che ha presentato ai poveri minchioni la nostra terra promessa come un vero Eden.
Sentiamo vivissimo il rammarico di non poter riprodurre per la sua lunghezza un articolo della Libertà economica in cui si parla con arguzia e con iromia spietata di Giolitti, di sottosegretari pranzaiuoli, di riformismo socialista, di Tripolitania ecc. E' intitolato: Gala di politica conviviate. Il giolito della loro Eccellenza. (Acquarelli di costume) E' firmato: Barbariccia e scommetteremmo che sotto quello pseudonimo si nasconde il prof. Tullio Martello. Chiunque sia l'autore, l'articolo procura un quarto d'ora delizioso a chi lo legge. Non tentiamo la riduzione perchè riducendolo se ne guasterebbe la forma e si toglierebbe il brio che lo infiora e che toglie la pelle ai ministri attuali ed a quelli futuri, che saranno reclutati nel campo del socialismo riformista.
Abbiamo dichiarato di non volere intrattenerci in questo numero degli avvenimenti della Tripolitania; ma non possiamo passar sopra ad un caratteristico incidente, che serve a mettere in evidenza la natura brutalmente autoritaria dell'on. Giolitti, che in questa guerra si palesa col modo come esercita il diritto di censura.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Tutti i giornali italiani, compresi quelli ufficiosi, e i giornali stranieri hanno criticato vivamente la sbalorditiva censura che comincia a Tripoli ed è perfezionata a Roma nel gabinetto del ministero degli interni; poiché avviene questo di strano: che le stesse notizie che non crede pericolose il Generale Caneva a Tripoli, sono ritenute tali dall'on. Giolitti a Roma; e la censura non è semplicemente brutale: è anche ridicola raggiungendo spesso gli effetti opposti a quelli che si propone.
L'on. Giolitti non contento di stroncare telegrammi e fonogrammi in modo inverosimile e in punti nei quali la stroncatura può fare sospettare cose gravissime, ha voluto punire in modo eccezionale due corrispondenti da Tripoli, De Luca Aprile del Giornale di Sicilia e Bordiga del Lavoro ordinandone la immediata espulsione da Tripoli.
La colpa apparente del De Luca fu quella di avere scritto al suo giornale, che i morti del giorno 23 furono circa 600. Era esagerata la cifra? Nessuno può dirlo oggi perchè il governo della menzogna non consente che si sappia la verità. Certo morti e feriti furono più che 600; si ripete da tutti che quattro compa,gnie di bersaglieri e due di fucilieri furono quasi interamente distrutte, e noi da tre ufficiali dei vapori mercantili che assistevano a breve distanza al combattimento abbiamo potuto comprendere che essi, e con loro tutti gli altri spettatori, ritengono non esagerato affatto il numero dei caduti dato dal corrispondente Giornale di Sicilia.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Dal libro "Tripoli italiana" del 1911.
Non contento della espulsione, però, l'on. Giolitti, memore della spavalderia sua abituale nell'insultare impunemente quelli che crede deboli, ad una richiesta di tutti i corrispondenti che si trovano in Tripoli perché sospendesse la espulsione rispose con un telegramma atrocemente insolente e calunnioso pel De Luca Aprile e pel Bordiga.
L'associazione della stampa non avrebbe potuto e dovuto lasciare inosservato questo atto vigliacco di sopraffazione e Napoleone Colajanni, che rappresenta il giornalismo di Palermo, nella riunione dei rappresentanti della Federazione nazionale della Stampa italiana sollevò la quistione consigliando l'inserzione di un particolare inciso, contro quel calunnioso telegramma, nella protesta che la Federazione indirizzò al Ministro dell'interno pei modi indecenti, inverosimili - ed anche parziali: l'uso del telefono, ad esempio, è soppresso pei giornali di Napoli e di Palermo ed è lasciato per quelli del Settentrione - coi quali viene esercitata la censura.
L'on. Barzilai, redattore della protesta accolse la proposta e la tradusse in una frase mite, correttissima, ma che pure esprimeva biasimo al ministro dell'interno pel linguaggio oltraggioso verso i giornalisti espulsi.
Vittore Vittori, del Giornale d'Italia, però, non fu dello stesso avviso e la grande maggioranza dei rappresentanti del giornalismo italiano con argomenti ridicoli, degni del momento tristissimo di perturbamento morale e intellettuale, che attraversiamo, volle sopresso l'inciso abile e dignitoso formulato da Barzilai, consigliando una inchiesta per assodare se De Luca Aprile e Bordiga meritarono o no l'affronto ignobile del Presidente del Consiglio.
Noi non troviamo parole sufficienti per stigmatizzare questa viltà della rappresentanza della stampa italiana, augurandoci soltanto pel bene del paese e pel decoro del giornalismo, che non sia lontano il momento della resipiscenza, che la farà vergognare del servilismo mostrato verso chi esercita una dittatura quale mai fu esercitata in Italia da che è divenuta nazione indipendente.

Hai mai visto gli ex voto di san Matteo? Conosci Giovanni Gelsomino?