Da "Arte e vita", Anno I, 1908 - Alessandro LazzeriniRivista Popolare, di politica, lettere e scienze sociali, Anno XVII, N. 10, Roma 31 maggio 1911, p. 267 Da "Arte e vita", Anno I, 1908 - Alessandro LazzeriniUn po' di giustizia nel giudicare il mezzogiorno (A proposito del processo della Camorra) Raramente ci capita di leggere un giudizio giusto sul mezzogiorno, mentre più di frequente sentiamo i settentrionali, senza alcuna malafede, ma per la crassa, profonda e, pare, inguaribile ignoranza sulle condizioni dal Mezzogiorno e sulle cause che le generarono, trinciare le più spropositate sentenze su queste povere regioni, che sono state bersagliate dalla natura e dagli uomini. Quando riscontriamo qualche settentrionale che parla o scrive onestamente, ragionevolmente, del mezzogiorno proviamo una grande soddisfazione e registriamo il caso e manifestiamo la nostra gratitudine d'Italiani, più che di meridionali. E' per tali motivi, oltre che per le ragioni politiche e intellettuali, che noi amiamo Arcangelo Ghisleri; egli tra i settentrionali è uno dei pochi che ha giudicato sempre, sistematicamente, e con conoscenza profonda il mezzogiorno. Oggi una tale soddisfazione ce l'ha procurata intera Pio Schinetti in un bello articolo sul processo della camorra, il quale è notevole non solo perciò che dica sul mezzogiorno, ma per la onestà e sincerità colla quale parla del settentrione. Perciò riproduciamo assai volentieri alcuni brani salienti di tale suo articolo:
Da "Arte e vita", Anno I, 1908 - Alessandro Lazzerini“E' sottinteso, scrive il valoroso pubblicista bolognese, che nell'Italia nuova, uscita dalla rivoluzione, dove si tratta di moralità le spese debbono essere sostenute dai meridionali. Se la magistratura non riesce con prove certe a stabilire la colpa o l'innocenza d'alcuni imputati, li sottrae ai giudici naturali col metodo legittimo della suspicione, li sospinge più in sù che può verso il nord della penisola, li presenta con la dovuta aureola di camorristi o di mafiosi; e il resto viene da sé. Più di un pacifico borghese nostrano, leggendo distrattamente le gesta di Erricone o del mandriere sarà sempre indotto ad esclamare con profondo convincimento: "Come sono immorali laggiù; e come siamo fortunati noi quassù nei paesi della virtù settentrionale! Un singolare e tenace pregiudizio in realtà è quello che occupa molte menti da quando esiste il regno d'Italia e che si risolve in una costante ingiustizia a danno dei popoli del mezzogiorno. Da "Arte e vita", Anno I, 1908 - Alessandro LazzeriniSi cominciò subito dopo le vittorie garibaldine licenziando senza complimenti l'eroe e i suoi seguaci. Le squadre siciliane si erano diportate benissimo nei combattimenti di Milazzo e sul Volturno, ma non ebbero mai una millesima parte delle lodi che ottennero i soldati comandati presso Castelfidardo a disperdere quell'accozzaglia dell'esercito pontificio. Le piastre borboniche trovate nelle casse di Palermo e di Napoli fornirono un ottimo rinfianco alle finanze della rivoluzione; ma pur non si esitò un istante a susurrare che l'annessione dell'ex Reame doveva a conti fatti risultar un pessimo affare, uno sproposito. Gli uomini politici usciti dagli ergastoli per entrare nel parlamento nazionale, con ancora le lividure ai polsi del martirio sofferto, costituivano un partito tradizionalmente schiettamente deliberatamente monarchico, ma furono riguardati con sospetto più che con rispetto appena accennarono a non voler piegare del tutto sotto l'egemonia piemontese. Da "Arte e vita", Anno I, 1908 - Alessandro LazzeriniSi mostrò una inconcepibile negligenza dei suoi valori storici originali: potevano quei popoli vantare di avere avuto in Ruggero 2. e in Federico 2. gl'iniziatori della vera forma dello Stato moderno tuttavia gli auspici dell'Italia nuova si vollero richiedere con strana insistenza alle memorie prevalentemente comunali e federali della storia guelfa. Da ciò la contradditoria e disciolta potenza dei piccoli municipii, che nei paesi di più salda tradizione feudale, come l'inferma Sicilia e le provincie napoletane, risultò fomite pericolosa alle tracotanze oligarchiche e ai disordini popolari. E di quei mali i governi, che trattavano il mezzogiorno come un paese di manifesta inferiorità, accagionavano poi unicamente l'incoltura e la corruzione delle plebi, mentre erano essi inetti a comprendere i motivi di giustizia politica latenti anche nel tumulto dell'imprecato brigantaggio. Da "Arte e vita", Anno I, 1908 - Alessandro LazzeriniE non basta. Quando i legislatori ebbero a negoziare o rompere accordi internazionali secondo l'interesse dei ceti industriali prevalenti nella valle del Po non si fecero scrupolo mai di conculcare gl'interessi agricoli dell'estrema penisola: tuttavia si seguitò a ripetere da molti che il Sud, con le sue miserie, rappresentava una palla di piombo al piè dell'Italia unita. Poi, come accadeva che laggiù gli spiriti, atteggiati da natura al criticismo e alla facondia, dipingessero con maggiore vivacità nei contrasti partigiani le proprie infelicità sociali, riusciva facile accogliere quelle efficaci descrizioni: si credettero vizi particolari di una regione quelli che con mutato nome sono di tutte le regioni e di tutte le società. Quindi una strana tendenza a considerare gli spettacoli della delinquenza nel mezzogiorno come una comoda riprova delle virtù nel settentrione. Ricordate il primo processo contro Palizzolo? (Nota 1)(Nota 2) Si giunse allora da persone sennate a confessare candidamente: “forse non si è raggiunta la prova della colpa ma comunque come mafioso è ben condannato”. E quando le classi dirigenti, dopo l'inconcludente ma oscuro e minaccioso scandalo suscitato dai fornitori della regia marina, vollero offrirsi il lusso di uno scandalo per bene, quasi a celebrare la coscienze della propria moralità, scelsero tra i vari ministri della istruzione pubblica un meridionale, Nunzio Nasi. Era necessario! ...”
Pio Schinetti potrebbe aggiungere dell'altro: potrebbe dire che tutte - diciamo tutte! - le grandi truffe di decine e centinaia di milioni a danno dello stato italiano nelle ferrovie, nelle forniture ecc. sono state consumate da settentrionali. Pio Schinetti potrebbe aggiungere: che i reati di cinquant'anni di camorra non costano alla società italiana quanto i reati di aggiotaggio della Fiat, del Banco sconto e sete - il maggiore responsabile del corso forzoso del 1866! Da Pio Schinetti poi vorremmo sapere che cosa egli pensa delle teorie di Bissolati enunziate per giustificare l'azione politico-amministrativa di Giolitti nel mezzogiorno, e saremmo curiosi di conoscere se egli può prevedere ciò che Morgari avrebbe gridato alla Camera se quelle teorie invece che dal compagno Bissolati fossero state enunciate da un qualsiasi deputato del Mezzogiorno... NOI
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