Enrico Leoni: Le forme della Colonizzazione.
Se ha ragione Servius che colonia dicta est a colendo è naturale che la classificazione delle colonie debba avere per criterio la forma di cultura in esse adoperata.
Secondo i suggerimenti dei pratici delle colonie, esse furono recentemente distinte in tre tipi ben definiti fra loro.
A) Colonie di conquista o di sfruttamento. In esse generalmente gli occupanti non intendono trarre vantaggio da alcuna speciale produzione indigena, ma piuttosto dallo sfruttamento mercè l'imperio politico e militare, del suolo coloniale e, in via sussidiaria, degli indigeni. E chiaro che questa colonizzazione, togliendo al popolo autoctono la principale fonte del suo svolgimento economico. non può certo pretendere di agevolarne l'espansione civile.
I rapporti fra la metropoli e i colonizzati devono esser fondati su una superiorità della forza politica e della cultura sociale.
Le colonie di conquista o di coltivazione non potrebbero essere attuate né in terre troppo densamente popolose, né in terre troppo incolte.
E facile vedere quanto siano difficilmente associate queste due condizioni. Se le terre non sono molto refrattarie alla cultura, vuol dire che l'espanzione spontanea delle popolazioni le avrà quasi tutte occupate; se al contrario queste regioni sono scarsamente occupate, vuol dire che si tratta appunto di terre inadatte alla cultura.
Ogni conquista coloniale infatti mira a serbare la superiorità e la distinzione dei colonizzatori, riserbando ad essi esclusivamente i più alti uffici civili, e spesso anche gli ecclesiastici, come accadde nell' America spegnuola, ove, narra Robertson, perfino nei conventi dovevano essere ammessi soltanto i bianchi.
Da questa egenomia e da questi esclusivismi deriva una poderosa forza d'arresto alla colonizzazione del territorio da parte della popolazione indigena.
A questo proposito gli apologisti della colonizzazione ufficiale ci rintronano le orecchie con la necessità storica della fase schiavista, dimenticando il diverso officio che lo schiavo aveva nell'economia domestica greco-romana, e che ha nell'economia mercantile, ove esso non è che mezzo di speculazione e di lucro. La schiavitù delle colonie - fatto essenzialmente politico, mezzo adoperato pei suoi fini dalla società capitalistica - non ha che analogia soltanto esteriore con l'istituto antico economico dell'era classica.
La colonizzazione tropicale per svolgersi ha bisogno perciò d'un continuo regime di rigore.
B) Colonie commerciali. Esse si fondano in quelle regioni dove vi è molto da comprare e da vendere, ma per qualsiasi motivo è impedito il libero commercio; oppure in quelle regioni che servono come stazione intermedia per il commercio che le attraversa; principalmente nei punti che geograficamente dominano le vie commerciali. Queste colonie hanno per lo più la loro origine da fattorie commerciali istituite da privati.
Il Leroy insiste sul fatto che colonie di questa classe non possono fondarsi se non da popoli che hanno una vasta marina militare e mercantile; e che possano vantare una superriorità marittima sulle altre nazioni.
C) Colonie di agricoltura o di popolamento. La colonia di coltivazione può considerarsi in qualche posto come una sua forma completamentare. In quest'ultimo caso si ha la colonia mista. Le colonie di popolamento presuppongono due condizioni, che abbiamo già dichiarato di difficile realizzazione: una terra di clima temperato che sia vuota e fertilizzabile. E' chiaro che là dove questi due requisiti, spopolamento e fertilità, sono accoppiati le popolazioni più vicine tendono ad espandervisi con l'istessa rapidità con la quale l'aria compressa si spande - come disse il Burcke - negli strati rarefatti dell'atmosfera.
Sono colonie di questo tipo le antiche colonie inglesi dell'America del Nord, il Canadà, l'Australia, la Nuova Zelanda.
Questa veduta è esatta solo se vien riferita alla colonizzazione di popolamento politico, cioè di dominio e di dipendenza.
La colonia economica di popolamento è invece tuttora un fatto di gigantesche proporzioni in tutte le Americhe, nell'Australia e nelle coste nord africane. Quando essa viene lasciata libera si compie un'opera di assimilazione da parte dei popoli più civili e più culti che dà origine a un popolo nuovo: ogni compressione politica invece allontana questo processo.
Ma anche ad ammetterne l'inevitabilità, - esse per essere attuate col massimo risultato utile pel genere umano dovrebbero essere operate in proporzione di mere forze economiche, e non in ragione delle preponderanze politiche degli Stati, dell'estensione della potenza navale e militare, delle preponderanze delle metropoli nel concerto delle nazioni, ecc. Senonché colonizzare non è civilizzare, non è tutelare. La rappresentazione perciò dell'opera coloniale degli europei, come una missione di progressività civile esercitata sui popoli arretrati, non è altro che una ideologia diretta a spandere luce simpatica su di un fenomeno che spesso costa dolori e supplizi senza nome ai popoli indigeni.
I paesi che si danno alla politica coloniale – generalmente più forti militarmente e navalmente - non possono modificare le condizioni che rendono consentaneo e preferibile l'uno dei tre tipi coloniali: un paese che ha esuberanza di capitali sarà più adatto ad una colonizzazione di sfruttamento di un altro che ha invece asuberanza di braccia, una nazione commerciante sarà più adatta a fondare una colonia commerciale di un popolo prevalentemente agricolo. Ora può accadere che il popolo a capitali esuberanti per la aua posizione politica e militare deve espandersi su territori spopolati, mentre il paese a popolazione eccessiva per la sua tradizione, per le correnti del paese, per la propria politica di espansione militare colonnizzi regioni già popolate. Di qui una serie molta energica di fattori inibitivi e di perturbazioni economiche, che intracciano il colonizzamento veramente economico, fondato sulla libera emigrazione dei capitali e del lavoro, e che rendono più difficoltoso l'atteso livellamento della civiltà.
Si è parlato, oltre dei tipi già descritti; anche d'una colonia di civilizzazione. Essa però viene indicata più come un modello da seguire che come fatto realizzato dai paesi colonizzatori. Che cosa deve pensarsi di essa?
Generalmente si reputa che il circolo civilissimo occidentale, che ha dovuto rinunciare ad estendere la sua inflnenza nel circolo orientale deve allargarsi nel circolo selvaggio e sostituirglisi. È questa la veduta del dervinismo sociale: i forti elimineranno i deboli. L'esperienza ha già condannato una tale illusione, provando l'incapacità dei bianchi a poter colonizzare il teatro geografico di questo circolo dei selvaggi. Cade così l'asserzione che la civiltà di questo ultimo circolo terrestre non sia possibile in maniera spontanea; gli uomini tropicali sono i soli idonei a soggiocare la natura e l'ambiente che li circonda, mentre il lavoro degli europei diventa estenuante, gravoso distruttore.
A che cosa dunque si dovrebbe ridurre la colonia di civilizzazione in questa parte tropicale del globo?
Si vuol forse significare che a questi indigeni bisogna dare gli stimoli dell'esempio, eccitare in essi la forza d'imitazione dei metodi derfezionati di cultura che la loro ignoranza non ha consentito di apoperare fin qui? Ma questa opera non rientra allora in nessuno dei tipi coloniali da noi stabiliti: né in quello di popolamento, né in quello di sfruttamento, né in quello di commercio. Si tratterebbe di opera di assistenza, di cooperazione, di stimolo a ben fare; si tratterrebbe cioè di dare, non di ottenere, aspettando che i frutti della civiltà così suscitata possono essere raccolti attraverso le vie del commercio internazionale, intensificando e solidarizzando gli uomini su tutte le parti del globo. Ogni colonizzazione politica si serve dell'indigenato come uno strumento del proprio successo, mentre la civilizzazione suppone un indigenato che si serva invece della colonia come strumento pei propri fini.
Il Leroy sostiene - sia pure in forma dubitativa - che se i popoli europei dopo essersi fatti direttori scrupolosi ed attenti delle tribù che occupano le zone del Congo e dei suoi affluenti, del Zambese, del Nilo superiore, dell'Oguè, e del Niger -
Quest'opinione ci pare assai fallace.
Sarebbe come affermare che se a un giovane venga tolta l'opera pedagogica dell'istruzione e dell'educazione, egli ritorni nella ignoranza e nell'ineducazione del fanciullo. La pedagogia non fa che stimolare e indirizzare le forze interiori e innate: nessuno potrebbe creare la coscienza se nell'uomo non vi fossero le condizioni spirituali che la fanno nascere.
Non occorre poi molto acume per intendere che la famosa massima che “la civilizzazione dev'essere importata da fuori” non può aver valore di legge, perchè appunto se si accorda ad essa un carattere di generalità si deve concludere che la civiltà non sarebbe mai posuta cominciare. Occorre infatti ammettere per ipotesi che almeno dei popoli primitivi si siano formati da sè stessi la civiltà che poi hanno diffuso dall'esterno agli altri. Se tutti i popoli avessero assorbito dal di fuori la civiltà si dovrebbe arrivare nella storia delle successioni, infine, ad un popolo che avendola data a tutti non l'avrebbe potuta ricevere che da un popolo situato fuori del nostro globo. (La Rivista del lavoro, 25 Ottobre).
Le forme
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