Gargano segreto - Illustrazione di Alfredo Petrucci: Sannicandro Garganico: La corte di San Giorgio.
Gargano segreto - Illustrazione di Alfredo Petrucci: Sannicandro Garganico: La corte di San Giorgio.
Cominciano a giocare col cielo, in estasiata puerilità, nelle notti d'agosto a novembre, a chi conta più stelle cadenti.
Con la magica luce di latte della luna, il registro delle cose muta improvvisamente. In un'atmosfera stregata nei boschi, sui prati e sulle aie, tutti si sentono fantasmi: far paura, aver paura è ancora un gioco di puerile delizia e d'infinita ebrietà. Si inventano teschi umani, ricavati dalle cucurbitacee, e animati internamente con lumini da notte. Si fingono, si sentono un po' tutti fuochi fatui. Le storie di spiriti sono desiderate e temute come droghe. Gnomi e folletti hanno l'arguzia bonaria del loro stesso carattere.
Lo scherzo feroce piace come la paprica. I giochi d'occasione, quelli inventati sul momento, sono i prediletti. Mentre si cammina, buttar dall'argine di colpo un compagno in una fratta di rovi, per vedere come se la cava, è un passatempo usuale. L'infortunato ne esce con la gloria di qualche ferita, senza fiatare e protestare, ma pronto a rifarsi alla prima occasione.
Produrre uno sconcertante disordine nella casetta di un amico è cosa che eccita; e, ancor più, suscitano risate le sue escandescenze e la sua ira. Un forestiero, un coso con due gambe, è minutamente osservato con aria maliziosa e a un tempo tonta; pronti, però, non appena si sarà allontanato, a rifarne gesti, a ripetere parole, a camuffarsi come il malcapitato, per rendere più puntuale la loro osservazione: è la 'ripresa', anzi la 'pianta' essi dicono. Stringersi a girotondo intorno a un compagno ignaro o ultimo venuto, e sfidarlo a sgusciare, come un'anguilla, tra le loro gambe. Generalmente si attacca così la serata dei giuochi e se ne stabilisce l'aura richiesta.
Ma con la luna, si diceva, è altra cosa. Con essa, d'estate, è il tempo dei giuochi classici: il passantino, il cavallo lungo e il tata-melone. Sono giuochi che richiedono, tutti, agilità, forza, spreco di energie, slancio, astuzia, inventiva e antico senso di misura e di controllo. Fa meraviglia notare anzitutto due cose: saper stare alle regole e al rischio del giuoco, e possedere una spaventosa carica di energie da consumare nella notte dei giuochi, dopo una lunga estiva giornata di lavoro, anzi di fatiche.
Bambini che giocano.
Bambini che giocano.
Il 'certamen' occorre accettarlo: il giovinetto che si rifiuta al giuoco è uno squalificato, come un riformato di leva. Nulla è più temuto di un negativo apprezzamento da parte di una bella spettatrice. Questa, egli lo sa, subito direbbe: chi non è buono per il re non è buono nemmeno per me.
Molto spesso le aie, che nel giorno sono state are di un lavoro sacro rituale e canoro, di notte si trasformano in ribalte e platee. L'allegro vocìo o un fischio lacerante li richiama da lontano un miglio. La sera posata scandisce le voci nell'aria, che rimangono sospese come in una acustica fata morgana, perché difficile è stabilirne la lontananza.
Vengono le donne e si rammucchiano nell'angolo più riposto: le anziane, con le mani sotto lo zinale, e le giovani, accucciate su scranne e seggiolini, intrecciano le braccia tenendosi le mani che fanno da unico filo telefonico d'intesa. Il riso spumeggia perenne, urgente e irresistibile. E, quando cade, anche il vento si incanta e ascolta; e poi riferisce agli alberi, alle colline e alla luna.
Allora i maschi, tanto per cominciare, giocano al 'passantino', che fa anche da richiamo ai compagni assenti. Il giuoco ha bisogno di un largo spiazzo o del rettilineo di una strada pianeggiante. È un misurarsi al salto a seconda della groppa offerta da un compagno. Il primo appunto china la testa, anzi tenta di nasconderla, e punta, a sostegno, le mani contro le gambe. C'è chi desidera questa groppa più alta e preminente, e chi più bassa: è un empirico altimetro a seconda della capacità, dell'impeto nello slancio e della vigorosa elasticità. Il saltatore, dopo una breve rincorsa, nello slancio poggia un attimo le mani sulla gobba del compagno, divaricando al massimo le gambe, e dopo il salto, a congrua distanza, si dispone anche lui a far da ostacolo. E così il terzo, il quarto, via via tutti divenendo ciascuno ora saltatore ora ostacolo. Lo scherzo di porre difficoltà improvvise a un saltatore inesperto è usuale.
Il gridìo festoso talora si sgrana in un sorta di filastrocca cantilenata, che ritma corsa e salto.
A 'cavallo lungo' si gioca così.
Gargano segreto - Illustrazione di Alfredo Petrucci: Tipi e costumi garganici - Ragazza alla fonte
Gargano segreto - Illustrazione di Alfredo Petrucci: Tipi e costumi garganici - Ragazza alla fonte
A sorte due capisquadra scelgono i compagni: da tre a cinque, generalmente quattro. Gli otto giocatori quindi si dividono in due squadre. I quattro perdenti al sorteggio si dispongono a formare un lungo cavallo. Il primo dei quattro, cioè il più forte, punta le braccia a sostegno contro un muro; il secondo abbranca sedere e cosce del primo, nascondendo in qualche modo la testa tra anche e braccia; e così via via il terzo e il quarto. Si forma uno strano animale: un ottupede che attende quattro cavalcatori. I quali saltano in ordine di grandezza decrescente. La regola del giuoco è che il saltatore rimanga al posto raggiunto col suo slancio nel salto. È proibito muoversi, acconciarsi e anzitutto toccare terra coi piedi. Non mancano in merito polemiche, discussioni: interessante l'urlìo dei leticanti. Avviene di frequente che l'ottupede inerpichi troppo la schiena; facile quindi il disarcionamento. Spesso il peso è sostenuto da un solo compagno sottostante, allora la piramide umana crolla.
A volte qualche bimbo offre ammirata prova di grazia e agilità: ammesso al giuoco per necessità di pareggio dei giocatori, anziché posarsi sul cavallo, vola addirittura sui cavalcatori e si afferra alle loro teste o colli, quasi strozzandoli, tenendosi a mezz'aria, come un fringuello. A lui i deliranti applausi femminili.
Ma veniamo al 'tata-melone'. Per questo giuoco occorrono fantasia sbrigliatissima e facilità d'eloquio. V'è un compratore, un sensale e vi sono due nerboruti estirpatori di immaginarie piante di zucche; oppure due improvvisati domatori di puledri; il numero di questi ultimi è vario e illimitato. Perché, la mercé umana ora si finge grossi meloni e stupende angurie di Apricena, ora puledri alla fiera. Contro i quattro suddetti, gli altri si dispongono a sedere su un campo liscio, in modo da rendere meno dura la prova delfondo dei pantaloni che inevitabilmente, però, ne è sempre levigato. Si allineano in ordine di grandezza e di forza: un primo, addossato possibilmente a un muro o a un qualsiasi sostegno, contro cui forza le spalle, fa da caporadica e venditore. Divarica le gambe e stringe al petto un secondo, il quale a sua volta, in egual modo, attanaglia un terzo; e così via via fino al più piccolo giocatore, in modo da formare un tutt'uno tenacemente abbarbicato. Cominciano le trattative di vendita tra il caporadica, il mercante e il sensale.
Bambini che giuocano.
Bambini che giuocano.
Gli altri folleggiano, fìngendosi ora meloni e angurie, ora puledri, emettendo nitriti di gioia e di foia. Si imitano scene di mercato e di fiera. Si improvvisa una vera commedia dell'arte: lo spettacolo è interessante a seconda dello spirito e dell'arguzia degli attori. L'estro sfida il più acceso surrealismo. A patti convenuti, finalmente si sradica il primo melone. E qui l'interesse delle parole cede a quello dei movimenti: una progressione ordinatissima di due forze in contrasto degna di una mètopa, di un basso-rilievo greco. La lotta, ed è una vera e dura lotta, non è sempre facile e vittoriosa. I puledri o meloni, tenacemente cementati fra loro, sono trascinati ma non disgiunti facilmente: si torcono, si aggrovigliano, oscillano e, solo consenzienti, mollano. Dopo lo 'schianto', ed è la giusta parola, si ritorna a nuove ed estrose trattative per la compera di un nuovo puledro o cocomero, e più laboriosi sono gli 'schianti' per la maggiore vigoria degli ultimi.
Dopo tanta fatica, il meritato riposo. E mentre ancor dura l'affannoso respirare nei giovani petti, le donne, lungamente pregate, cantano: è l'ora del premio a quelli che nella sera, giocando, hanno sprecato più energie che lavorando. Promettono le ragazze, nel canto, al loro amore una casa con una camera, una cucina e una finestrella aperta all'onda del mare. Narrano di una madre gelosa, della quale il giovane intende vendicarsi, sorprendendo la figlia sola al mulino per farle, una buona volta, 'la farina fina'. Oppure estasiate invitano a guardare la bella luna-donna che accolga il bianco lume come un oppio e non si curi dell'amore. Questo canto, soave nel suo svolgimento, ha parole e movenze che ricordano una celebrata canzonetta del Vittorelli.

Guarda che bella luna!
'n celo ci son le stelle:
bella, tu dormi
e non pensare all'amore.

La desolazione di un noto canto di Saffo permane nella giovinetta garganica. E finalmente, col più classico dei canti locali, pensano all'odorosa valle di Stignano, perché sia al loro amato che sale dall'assolata Puglia un materno letto: la valle è piena di rose e il nino vi passa e si riposa e, al profumo della menta, si addormenta.

La valle di Stignano
chiena di rose
passa lu ninne mio
e si riposa.
La valle di Stignano

chiena di menta
passa lu ninne mio
e s'addormenta.

Questo canto ha un tremolo prolungato e solenne, che ricorda quello gregoriano, il fresco delle navate e, a un tempo, il tremito delle rane nei fossati. Dà un senso di sconfinato riposo, di tonicità; e sempre, a udirlo, il fascino si rinnova come per un canto di culla.
Ma tutti questi canti di donne garganiche, nella notte, sono luminose nubi sonore che si dissolvono su di noi come una desiderata pioggia estiva.
Dopo i giuochi, rimane il contadino a guardia della poca roba, ancora odorosa del suo sudore.
Intona il suo lieve e breve sonno al tacito viaggio delle stelle.
Coltre luminosa la luna.
I canti femminili hanno disteso immensa pace.
La luna ha nevicato il suo silenzio.