www.treccani.it /magazine/lingua_italiana/speciali/D_Arzo/6_Conti.html del 31 gennaio 2022
Silvio D’Arzo: la rivelazione della scrittura
di Guido Conti
L’importanza del leggere e conoscere a fondo gli scrittori della propria terra
Questo preambolo è fondamentale per comprendere la mia passione per Silvio D’Arzo, la sua lezione di vita e letteratura, che ha segnato gran parte del mio lavoro. Con lui scoprivo la bellezza della scrittura e l’importanza del leggere e conoscere a fondo gli scrittori della mia terra. E ogni volta che si parlava di D’Arzo era una sorpresa. Il suo racconto più famoso, Casa d’altri, aveva attirato l’attenzione di Eugenio Montale che lo aveva dichiarato «perfetto»; Giorgio Manganelli aveva definito questo «lungo racconto», piuttosto anomalo nella tradizione letteraria del nostro Novecento, una «tragedia teologica». Silvio D’Arzo per anni è stato uno scrittore misterioso, si parlava dell’esistenza di carte segrete, favolosi materiali inediti in mano a diversi eredi, versioni diverse dei suoi scritti, lettere, pubblicazioni sparse in giornali e riviste e non ancora raccolte, con i suoi libri introvabili in edizioni rare a prezzi altissimi nel mercato antiquario. Un autore che aveva lavorato su generi diversi, dai libri per ragazzi, ai racconti, ai saggi di letteratura poi raccolti in Contea inglese: Silvio D’Arzo sembrava imprendibile, con un profilo intellettuale che si ricostruiva pezzo per pezzo, con fatica. Era difficile avere una visione complessiva del suo lavoro. Anche questo vuol dire “leggere bene” un autore. Ed è stato il motivo per cui ho cominciato a fare il ricercatore e poi l’editore, per velocizzare la pubblicazione dei materiali raccolti, muovendomi con maggiore libertà. Rimettere in ordine le carte e i materiali di uno scrittore è un modo per leggerlo meglio, cercando la verità della sua scrittura.
Le Opere di D’Arzo
Le illustrazioni di Meli
Nel 2003 avevo pubblicato la “Biblioteca Parmigiana del Novecento”, una collana di 39 volumi tra romanzi, racconti e saggi di autori parmigiani, in allegato con “Gazzetta di Parma”, che aveva avuto un notevole successo di vendite. Sull’onda di quel successo avevo progettato “La biblioteca dei piccoli”, una serie di libri per ragazzi, sempre in allegato con “Gazzetta di Parma”. Avevo inserito di Silvio D’Arzo Il pinguino senza frac e Tobby in prigione. Per l’occasione avevo chiamato Roberto Meli, illustratore e fumettista eccezionale, allora ancora agli inizi ma oggi autore conosciuto soprattutto in Francia, per illustrare le sue storie. I due libri erano stati quelli tra i più venduti della collana.
Nella rivista Palazzo Sanvitale
Mentre lavoravamo ai due volumi, pubblicavo sul n°6 della rivista “Palazzo Sanvitale”, vero strumento di progettualità della casa editrice, il raccontino inedito di Silvio D’Arzo L’annegata. La foto di copertina vede un Silvio D’Arzo giovanissimo. La parte monografica raccoglieva interventi di Eraldo Affinati, Bruno Arpaia, Valerio Aiolli, Roberto Barbolini, Alberto Bertoni, Giuseppe Bonura, Luca Doninelli, Angelo Ferracuti, Paola Mastrocola, Daniela Marcheschi, Antonio Moresco, Fulvio Panzeri, Laura Pariani, Domenico Scarpa, Antonio Spadaro, Pietro Spirito, Filippo Tuena.
La seconda copertina di “Palazzo Sanvitale” dedicata a Silvio D’arzo la pubblicai qualche anno dopo, in occasione di una ricorrenza speciale: i dieci anni della rivista. Così scrivevo nell’editoriale del numero 21-22 del 2007.
Ancora una volta è Silvio D’Arzo a occupare la sezione monografica, così come era avvenuto nel numero 6, a dimostrazione che gli argomenti non si esauriscono mai e che la rivista ama approfondirne probabili e interessanti sviluppi. “Palazzo Sanvitale” è pensata non come una serie di pubblicazioni isolate, ma come un unico progetto editoriale. Di D’Arzo proponiamo un nuovo inedito giovanile e una versione finora sconosciuta di un suo racconto, a conclusione di un lavoro mai interrotto che ha condotto alla pubblicazione della opera omnia filologicamente restaurata e, poi, dell’intero corpus delle lettere, rendendo giustizia a uno scrittore non certo minore della storia della nostra tradizione letteraria.
Nel volume avevo pubblicato due racconti “dispersi” darziani, firmati con due diversi pseudonimi: La valanga di Raffaele Comparoni e Fine di Mirco di Silvio D’Arzo. Il tutto a cura di Alberto Sebastiani.
D’Arzo in mostra
La filologia del leggere bene
Le lezioni di Frasnedi mi avevano insegnato anche questo, che “leggere bene” uno scrittore vuol dire, quando possibile, riordinare la sua opera e poi divulgarla. C’è una profonda unità nel mio lavoro di scrittore all’apparenza dispersiva, una coerenza che non si limita alla sola stesura di racconti e romanzi. Bisogna prendersi cura dell’opera dei propri maestri, degli autori amati, cercando di salvaguardare la loro lezione e la loro verità, diffondendo l’opera, rimettendo in ordine le carte. La ricerca, la filologia, e dunque la critica, sono forme diverse, lo ribadisco, del “leggere bene”, con un fondamento etico che riguarda il rispetto dell’autore, della sua verità umana e letteraria. In questo modo avevo fatto mia la lezione di Fabrizio Frasnedi che così racconta, nell’introduzione alle Opere, p. XXV, il suo incontro, il suo amore e la sua fedeltà a Silvio D’Arzo:
Silvio D’Arzo è, per quasi tutti noi, l'autore di Casa d'altri. Questo noi, va da sé, si riferisce alla sotterranea comunità dei lettori, alla solidarietà profonda e nascosta che unisce tutti coloro che hanno con i testi un rapporto vitale, carnale, di pelle. Accadde anche a me, molti anni or sono, di rimanere fulminato dalla lettura del più famoso racconto darziano, e di avere poi sempre conservato gelosamente questo amore, rileggendo e facendo conoscere il testo a generazioni di allievi e di insegnanti. È ovvio che volli poi allargare lo sguardo, e conoscere meglio l'autore di quella gemma. Esplorai così il terreno dal quale quel capolavoro era nato, e incontrai il mistero di un fascino che sembrava fatto apposta per non farsi catturare dalle parole: per lasciare, nel lettore, inappagata la sete di possedere. L'incanto di D'Arzo mi parve, a un certo punto, proprio rivelato dalla capacità dei suoi racconti di sfuggire alla critica delle definizioni, e di avvalorare una poetica dell'afasia: del non rivelare, nella scrittura, la chiave di un senso riassumibile, da una parte, e di lasciare, dall'altra, il lettore nel balbettio di nebulose affettive che rifiutavano di farsi pensiero. Mi hai raggiunto, pensavo, colpito, ferito, ma tu vuoi che quel vulnus non si sciolga nella pacificazione apollinea di un senso.
Frasnedi e l’ossessione ritmica di Silvio D’Arzo
Il racconto di Casa d’altri si apre con l’abbaiare di cani che annunciano la morte di uno dei pochi abitanti del paese di Montelice, un abbaiare che diventa “sirena del mondo alla fine” e allarga silenzi tra montagne sperdute dell’Appennino reggiano. I protagonisti sono una vecchia lavandaia di nome Zelinda, che tutti i giorni, anche nel crudo inverno, porta a lavare i panni nel fiume accompagnata da una capra, e il suo alter ego, un prete vecchio, un Falstaff dall’ironia sottile, drammaticamente sperduto anch’egli fra tramonti viola, in un paese dove ci sono «sette case», sette tetti e montagne fin che si vuole.
La domanda che la vecchia Zelinda deve rivolgere al prete è la spinta che conduce il racconto verso la fine, con una tensione creata non dai fatti ma dal ritmo della scrittura, attraverso una prosodia ossessiva, musicale. Un racconto dove non accade quasi niente. Silvio D’Arzo riesce a dare il tono al racconto tra sospensione e silenzio con questi due vecchi che affrontano in due modi diversi la morte, in un mondo che non gli appartiene, in un mondo “ostile”, diventato all’improvviso “casa d’altri”. D'Arzo, come i protagonisti del suo racconto, è un “esiliato” dal mondo, non ha un destino e non ha un nome ma solo “pseudonimi”. Il suo paese-rifugio non sarà Reggio Emilia, dov’è nato, ma la “Contea inglese” della letteratura, luogo privilegiato in cui cercare le risposte al senso ultimo della vita.
Senza un cielo sopra la testa