IX
Farla breve. Le giornate passavano, e lei non mostrava per niente di aver voglia di scender dal ramo: e sempre sarebbe stato così. Mi decisi ad andar nella tana.
In tanto non facevo che spiare le nuvole e sentire per l’aria se l’odore di radice bagnata cominciasse ad andarsene via: e la Melide a spiare i miei gesti. Ormai non riusciva a far altro. E anche un po’ di schiarita arrivò.
"Bene" mi dissi quel giorno, perché prima di muovere un passo una ragione devi pure trovarla e far ridere non piace a nessuno "se il tuo mestiere è interessarti di tutti, comincia intanto a interessarti di uno: non di più che uno solo. Fino in fondo però, fino alla radice a dir poco. Non c’è mezzo migliore così per interessarsi sul serio anche di tutti quegli altri. Se no, galantuomo, risparmiati pure il sapone: tutto il resto non è che paesaggio".
Non c’era da vantarsene, certo: ma mi par di conoscere parecchi che si son fermati un bel pezzo più in qua.
Ormai aveva smesso di piovere. Le donne avevan rimesso i fornelli davanti allo scalino di casa e i pulcini attraversavan la strada: me ne entrarono perfino in parrocchia. A metà del mattino venne fuori anche un pezzo di sole. Vecchio ottone, oro falso, però: da non potersi fidar più che tanto.
Ma ecco il brutto: dopo dodici giorni di pioggia era proprio una giornata da gente.
Cominciarono verso le otto.
Prima di tutto i sei più vecchi pastori del borgo per via della faccenda del maggio. Niente pi Gerusalemme, quest’anno. E ancor meno L’Orlando a Parigi. Durante la guerra gli spadoni erano stati consegnati ai tedeschi, una corazza mancava, e via ancora. E non c’era né soldi né tempo. Bene. Volevo suggerire qualche altro lavoro dove non ci volessero cose del genere? E fosse, oltre a tutto, anche corto? E ci fossero pochissime parti? Uno di loro era morto, a settembre: faceva da re Carlo e da Giuda e da tutto ed era il meglio di tutto il versante: ma il fatto è che era morto, a settembre. Loro sei erano venuti per questo fin dalle torbe ai confini di Bobbio.
Lì per lì non riuscii a scovarne nessuno. Pensavo ad altro, quel giorno.
"Certo che la Gerusalemme era quel che ci voleva per voi" dissi io solo per prendere tempo. Diedi un’occhiata dai vetri: il sole era lì per sparire: nubi blu gli ronzavano attorno.
Fecero di sì colla testa. Il sole, ecco, era sparito, e la stanza si fece anche più buia di un cinema. I sei vecchi aspettavano sempre.
"E richiamava anche un bel mucchio di gente" dissi io un po’ distratto. Guardavo sempre le nuvole blu.
Dopo tutto potevano anche andar oltre, passare. Bastava un fiato di vento e anche meno.
I sei vecchi si guardarono in faccia.
"Ne venivano fino da valle e anche fino dall’altro versante" disse uno.
"Tanto più, reverendo, che son cinque anni che non facciamo più maggi quassù" disse quello che stava alle torbe.
"Si capisce … La guerra …" dissi io tanto per dire. La stanza cominciava a schiarirsi di un po’. Forse il sole riusciva a farcela ancora: bastava un fiato e nient’altro.
Allungai il collo per guardare a ponente. "Perché non provate I Reali di Francia? Anche questo è tutt’altro che male.
Ci fu un mezzo consiglio: i sei vecchi si consultarono un po’ a bassa voce e poi uno parlò anche per gli altri.
"Sì. Ma per via delle sciabole? Ce ne vogliono cinque a dir poco anche lì. E poi costumi e corazze. E le donne? Ci sono tre donne in quel maggio, e due per di più molto giovani. Chi le trova le giovani, adesso?"
Tacevo. Anche quelli tacevano. Si guardarono ancora negli occhi: e poi tutti guardarono insieme quello che stava dalle torbe di Bobbio.
"Reverendo, vedete? ci vorrebbe un lavoro un po’ corto" tornò con pazienza a spiegarmi quello delle torbe di Bobbio. "Da lavorarci in sei o sette e anche meno. Non abbiamo più spade, ecco il fatto. E poi anche c’è venuto a morire Grisante, a settembre".
"Dite" dissi io senza starci a pensare "credete che il tempo stia su?"
Tutti quanti guardaron dai vetri.
"Si potrebbe fare l’estate di San Martino, per questo. Viene sempre una settimana buona a quel tempo".
"No… no. Io dicevo per oggi".
Domandavo se oggi non vien giù un temporale d’autunno. Ora, passati i settanta, questi pastori metton su barbe da santi, fattezze da santi e due occhi chiari e celesti come neanche un bambino, sicché quando vi guardano in faccia vi par sempre di essere in colpa: la verità è che han più fiuto di un gatto e non riuscite a nascondere niente.
Avevano fiutato qualcosa. Avevano fiutato di certo. Si ravvolsero il loro mantello e se ne andarono via contrariati. Era la prima volta che mi capitava in trent’anni, da quand’ero salito qui a monte, e la cosa dispiacque anche a me.
Dalla finestra li vidi prendere il sentiero dei pascoli.
Se ne andavano via tutti in fila, sempre dalla parte del fosso, e prima uno e poi l’altro tirarono fuori di sotto i mantelli i formaggi di capra che avevan portato per me.
Salirono ancora un bel po’, e poi si riunirono tutti. Ci fu come una congiura. Quello delle torbe di Bobbio fu il primo a rimettersi in via. Tutti quanti gli tennero dietro. Sparirono a mano sinistra.
"Quella non è la via della torba" disse la Melide che mi stava vicino. "Per la torba si sale a diritta. Non ritornano a casa, quei là".
Mi voltai per guardarla.
"Quelli scendono a Braino" insisté con un certo disprezzo. "Sono capaci di scendere a Braino a consigliarsi col prete di là".
Anche questo era la prima volta in trent’anni.
"Beh. Non mi è mai piaciuto il formaggio di capra" la elusi.
Mi guardava in maniera curiosa.
"Sa di selvatico" dissi.
Così sia. E anche questo era cosa passata.
Con due camicie e un colletto ancor nuovo e una cotta usata due volte a dir molto e qualcos’altro del genere, alla fine riuscii a mettere insieme un fagotto anche più che passabile: ci infilai in mezzo una rama di frassino e me lo provai sulle spalle.
"Qualcheduno vi cerca di là" entrò in quel momento la Melide e rimase sull’uscio a guardarmi. Ero proprio un bel po’ imbarazzato. Non che ci fosse niente di male, d’accordo: certo ero molto ridicolo.
Posai il sacco e passai nello studio.
Stavan lì ad aspettarmi due dirigenti delle Figlie di Maria, di Grappada, giù a valle. Erano venute su a monte per una storia più vecchia di me: un pellegrinaggio ad Oropa o a Loreto o magari anche in tutti e due i posti, che un po’ per mia colpa si rimandava sempre a un altr’anno, e che ormai bisognava pur fare.
Oramai bisognava pur fare, ripetevano senza guardarmi, questo era fuor discussione, si sa … Tutte le quote erano già state raccolte. Veramente non tutte: il mio elenco, per esempio, mancava. La montagna cominciava già a mormorare … niente di grave: mezze voci soltanto … Almeno per ora, intendiamoci. Mi rendevo ben conto? Capivo?
Davvero eran gente curiosa. Tenevano gli occhi abbassati e le labbra strettissime, come fossero offese di tutti e di tutto e di me più di ogni altro. Due rimproveri incarnati, per dirvi. Ma io non badavo a nient’altro che a tener gli occhi a quel pezzo di sole. Adesso c’era e di colpo spariva, e poi dopo un po’ riappariva come fosse già in agonia e resistesse solo per farmi piacere.
Davanti a loro mi pareva d’aver diciott’anni. Dicevo sempre di sì. Come no? Si capisce. Ci sarebbe stato senz’altro, quest’anno, e avevo scoperto perfino un progetto che non doveva essere peggio di un altro.
Lasciarono cadere freddamente la cosa.
"Sì … ma per le domestiche?" chiesero un po’ contegnose.
Mi voltai a guardarle come uno che si sia allora allora svegliato.
"Le domestiche cosa, scusate?"
Quelle strinsero le labbra anche più.
"Si diceva" si degnarono con sofferenza "se tutte le ex domestiche possono essere accolte, oppure solo quelle con un servizio di almeno vent’anni …"
"Beh, io direi tutte … Sì, tutte. È la cosa migliore mi pare".
Si consultarono un momento cogli occhi. Sotto il naso apparve e sparve di colpo qualcosa che per gente del genere poteva essere anche un mezzo sorriso d’intesa. Io sentii vagamente la trappola.
"Oh, può darsi. Può darsi" ammisero con deferenza eccessiva. "In questo caso però ci vorrebbero almeno tre macchine in più. Forse quattro. Ma se lei può procurarcele … Se, si capisce, lei è in grado…"
Non ero in grado di niente, era chiaro: e lo sapevano anche meglio di me. Si misero tutte composte a guardarmi per godersi in silenzio l’effetto. Parevano come impagliate.
"Allora … allora solo quelle con almeno trent’anni. Sì, forse è meglio così. Solo quelle".
Mi diedero un’occhiata compunta come a un incomprensibile idiota. E poi ancora si guardaron fra sé.
Il sole c’era e non c’era: altre nubi venivano da monte: cominciavo sul serio a stancarmi. Mi lasciai andare ancor di più sulla seggiola con una placidità vergognosa.
"Beh, ragazze" dissi io cercando anche un mezzo sbadiglio. "Arrivederci a Loreto o ad Oropa o magari anche in tutti e due i posti. Mettete insieme una bella cosetta, capite? Ma il fatto è che adesso purtroppo ho un bel mucchio di cose da fare: e così, se non vi dispiace, me ne torno a tirar la carretta".
Era un passare la parte, lo so: ma così le due oneste galline se ne andarono via sgambettando. L’ultima cosa che vidi di loro furono quattro magrissimi stinchi e due cappelli con frutta di stoffa, e mi parvero offesi anche quelli.
Neanche questo mi piacque gran che.
"Una strana giornata" pensai. "Tutto sommato una strana giornata".
"Che giorno è oggi?" chiesi alla Melide.
"Mercoledì, sei novembre" mi disse.
Mercoledì sei novembre. Tutto sommato una ben strana giornata. Diversa.
"Pare che stiamo perdendo clienti" cercai io di scherzare. Il tono era proprio, però, un po’ sforzato.
Certe cose non posson piacere. Non c’è nessuno a cui possan piacere.
La Melide fu lì lì per parlare. Guardò il pacco e non disse una parola.
Io me lo misi in ispalla ed uscii.