II
Io alzai appena appena le spalle.
Non dirò che fosse una sciocca domanda, come al momento poté anche sembrarmi: il fatto è che sciocca sarebbe stata qualsiasi risposta.
Il giovanotto mi guardava aspettando. Sì, avrà avuto vent’anni. E poi forse neanche: diciotto. Diciotto, a ogni modo, è l’età che si meritava: e, fatta eccezione della sua tonaca nera, impossibile imbattersi al mondo in qualcosa più nuovo di lui.
“Cosa fanno qui a Montelice?” dissi. “Beh. Vivono … ecco. Vivono e basta, mi pare”.
L’amico non dovette sentirsi gran che soddisfatto. Mi aveva sorpreso lì, sulla mia seggiola, senza nemmeno le scarpe, con una corporatura e una faccia alla Falstaff, e anche un po’ addormentato per giunta: e adesso, ecco, anche quella risposta.
Per fortuna era ancora piuttosto educato e in certo senso perfino distinto: una cosa nuova nuova, v’ho detto, appena uscita dal conio.
“Ah. Capisco” ebbe la presenza di dire, come se si fosse trattato in realtà di un’informazione confidenziale e precisa. “Vi capisco benissimo. Vivono”.
Era il nuovo curato di Braino. Appena appena arrivato s’era presa la briga di salir fin da me a consigliarsi. E a far conoscenza con me, si capisce. Mi aveva subito chiesto un bel mucchio di cose, ballo, comunisti, moralità e via dicendo, e tutto sommato non mostrava voglia di andarsene via tanto presto. Ma ogni cosa col massimo garbo, e sempre di striscio, così, senza nemmeno parere. Starlo a sentire era un po’ un divertimento per me. Beh, anche una cosa triste però.
Un poco triste. Voi guardate il vestito di quell’ometto laggiù, impiegato al Comune o anche vedovo, e la prima cosa che vien da pensare è che un giorno è stato nuovo anche lui. E anche l’ometto, s’intende.
“E poi muoiono” aggiunsi.
Coi miei sessant’anni passati e quelle scarpe slacciate lì in terra, non c’era per niente pericolo che potessi passare per cinico.
“Sì. Qui non succede niente di niente. E neppure a Braino, vedrete. E neppure in tutta quanta la zona fino quasi alla valle. Gli uomini sono ai pascoli, adesso, e non tornano prima di notte: qualcun altro sta verso le torbe, e le donne a far legna qua e là. Se vi affacciate un momento in istrada, tutt’al più riuscirete a trovare una vecchia a soffiar sul fornello. Sempre che abbiate fortuna … O una capra. Magari anche solo una capra. (In certo senso le padrone del paese son loro: stanno affacciate perfino sugli usci a godersi il passeggio se c’è). E fra due settimane non troverete più neanche quelle. L’inverno viene presto da noi, e dura quasi mezz’anno”.
Non mi doveva credere molto, e benevolmente anche un po’ disprezzarmi.
“Alludevo alla gente … agli uomini” precisò lui civilmente.
“Ah, la gente. La stessa cosa anche lì. La vecchia storia del medico condotto anche lì. Il ragazzo arriva su fresco fresco con il suo centodieci e la lode e s’immagina di fare chissà: gli piace anche di fare un po’ il martire. A certa gente - per un po’, si capisce – il martirio non spiace per niente. Sul momento gira tutta la montagna col mulo, entra in tutte le stalle e via ancora.
E oltre a tutto, per tenersi informato, s’abbona anche a tre o quattro riviste”.
Votai il mio bicchierino di grappa. E anche lui sfiorò il suo con le labbra, ma appena appena, così, come farebbe uno scoiattolo giovane.
"Poi s’accorge che non ci sono che casi d’artrite: sciatiche e artriti e nient’altro… Allora non gli resta che prescrivere jodio, e ingrassare".
Mi rispose semplicemente guardandomi.
"Sì, come me. Esattamente”.
"Per carità" mi sorrise. "Non volevo dir questo".
"Beh, posso anche capirvi" dissi io: un po’ troppo paternamente ho paura. Ma il ragazzo non era tipo da accettare regali del genere.
Si alzò sorridendo.
"Certo, bisognerà darsi d’attorno" concluse ignorandomi con urbanità. "Bisogna cercare mezzi nuovi. Ogni tempo richiede il suo mezzo, trovate?"
Aveva ragione, d’accordo, e io avrei potuto tranquillamente dirgli di sì. Il fatto è che lui aveva troppa ragione, e questo per me è su per giù come aver torto e anche peggio. E poi c’erano tante altre cose. Gli risposi in tutt’altra maniera.
"Una cosa" dissi io. "Siete mai stato in un paese di monte, su per giù come questo diciamo, per un mese continuo di pioggia?"
Mi guardò un po’ stupito. Non più di tanto, a ogni modo, e mi pare anche un po’ divertito.
"E magari due mesi di neve? Neve-neve, mi spiego.
Certamente non come in città o come a valle”.
Aspettò dove andavo a finire.
"Io invece sì, ci son stato. E per più di trent’anni. Più di trenta Natali, sapete?"
Davvero aveva dei numeri, l’uomo. Riuscì a guardarmi con la più deferente diffidenza del mondo.
Adesso, dovevo sembrargli un curioso esemplare di tipica fauna locale, neanche troppo antipatico in fondo: l’ultimo dei Mille o la vecchia domestica sorda che ha servito cent’anni in città dalla stessa famiglia.
"E che cosa succede?" mi chiese unicamente per educazione.
"Niente, v’ho detto. Non succede niente di niente" cercai di rifarmi. "Solo che nevica e piove. Nevica e piove e niente altro”.
E finalmente trovai anche il coraggio d’infilarmi di nuovo le scarpe. L’amico ebbe la delicatezza di voltarsi a guardare il cappello.
"E la gente" conclusi "se ne sta giù nelle stalle a guardare la pioggia e la neve. Come i muli e le capre. Così".
Dalla porta ci fermammo un momento. Qualche cosa doveva pur dirmi. Una capra mise dentro la testa: ci considerò un po’ delusa e se ne andò via come uno di casa. Sarebbe tornata più tardi.
"Vedete?" dissi io ancora una volta, seguendo con gli occhi la capra. "Niente di niente. Ecco qui”.
"Beh, qualche volta possono succedere anche incontri del genere. Come quello con lei di quest’oggi" sgusciò lui sorridendo. "È già qualcosa quassù. Mille grazie”.
Scese giù dalla parte di Braino. A sinistra voltò. Era svelto e slanciato e tutto vestito di nuovo. Sì: diciott’anni, evidente. La più giovane cosa del mondo.
O anche la più vecchia: chissà.
Capitolo II
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