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Silvio D’Arzo: la nascita, l’ambiente, la formazione letteraria.

Cerreto Alpi
Cerreto Alpi
La vita di Ezio Comparoni, meglio noto come Silvio D’Arzo, sembra appartenere al protagonista di un libro dell’amatissimo Henry James: straordinariamente “priva di fatti”, secondo la felice formula di Pietro Citati1. Egli nacque nel 1920 da Rosalinda Comparoni e da padre ignoto, a Reggio Emilia, dove trascorse la sua breve esistenza accanto alla madre in un isolamento vissuto come un “volontario esilio”. Quasi simbolo di questo isolamento fu lo “stanzone” di via Aschieri n. 4, il luogo in cui Ezio crebbe, studiò, scrisse, trascorse gran parte della sua vita appartata, sempre cercando di sottrarla allo sguardo indiscreto di estranei e conoscenti, come timoroso di mettere allo scoperto la sua intimità. Sappiamo che egli, vergognoso del suo misero alloggio, sommariamente arredato da un letto, un fornello, un tavolo, con la legna da ardere addossata alle pareti, la stufa di ferro col tubo che attraversava la stanza per meglio riscaldarla, libri e altre cose per terra, in casse da imballaggio, riceveva chi andava da lui sul pianerottolo, dopo essersi prudentemente chiuso la porta alle spalle, non permettendo neanche agli amici di fargli visita. Agli allievi dava ripetizioni nello studio di un amico. Non mancarono, tuttavia, in questo ambiente povero d’incontri, alcuni legami che ebbero una grande importanza nella vita culturale ed affettiva del giovane: innanzitutto l’affetto profondo e costante che lo unì alla madre, poi i vincoli d’amicizia che egli strinse, ormai adulto, con un gruppo di giovani reggiani, cui si aggiunsero il particolare rapporto, fatto di fiducia e di stima, attraverso lo scambio epistolare, durato dieci anni, con il suo editore Vallecchi, e quello con il critico Emilio Cecchi; infine, negli ultimi anni della sua vita, il sentimento che nutrì per Ada Gorini.
La madre
Cerreto Alpi
Cerreto Alpi
La figura dominante nella vita dello scrittore fu senz’altro la madre, Rosalinda Comparoni, originaria di Cerreto Alpi, sull’appennino reggiano. La donna, che, priva di un’occupazione stabile si barcamenava in qualche modo anche leggendo carte e tarocchi nei giorni di mercato (dopo aver fatto inizialmente la cassiera in un cinema cittadino), con difficoltà riusciva a provvedere con quelle misere entrate ai bisogni suoi e del figlio. È lo scrittore stesso, nel racconto L’aria della sera, a parlare del “lunario di tutta Quaresima” che madre e figlio dovettero vivere insieme. Questa povertà, che certamente costituì per entrambi un’incessante fonte di precarietà e di umiliazioni, aggiunse però anche nuovo stimolo al reciproco sentimento di appartenenza, che li portò quasi ad escludere il resto del mondo, dando significato alla loro vita insieme. Scriveva D’Arzo al suo primo (ed unico) editore, Vallecchi, in occasione della morte del padre di lui, Attilio Vallecchi:

“Se mi dovesse morire mia madre, credo che odierei il mondo intero: e nei momenti di dubbio, quando sono alle prese con difficoltà letterarie e sento la mia dappochezza, mi rimprovero subito, al pensiero che ho mia madre e che la realtà che vale è solo quella”.

Rosalinda Comparoni, sebbene fosse una povera ed umile donna del popolo, fu capace di intuire le straordinarie doti intellettuali di Ezio indirizzandolo verso la cultura e la letteratura, che le apparivano come una nobile conquista, un superbo riscatto della sua condizione familiare e sociale. Ella lasciò una profonda impronta nella vita e nell’opera del figlio, che ne parla come di una “grande e irraggiungibile madre provinciale”. Non rimase priva di influssi sul figlio neppure la sua loquacità vivacissima, che procedeva spesso per sentenze, con venature ironiche e ricchezza di immagini; così come non rimasero privi di echi, almeno nell’opera di lui, altri aspetti della personalità della madre come la religiosità. Rosalinda Comparoni era cattolica praticante e seguiva, con uno scrupolo che le veniva forse anche dalle consuetudini paesane, i riti liturgici; ma la sua era una religiosità “in bilico tra superstizione e fede, quelle stesse che D’Arzo fa rivivere in Casa d’altri, nel suo duplice carattere di ingenuità e ineluttabilità nella figura di Zelinda”.