IV
Ci sarà anche da vergognarsi, non dico: e per un prete tre volte di più. Ma un paese che brucia è soltanto un paese che brucia, e una guerra soltanto una guerra, e così terremoto e diluvio. Voglio dire che i grossi flagelli non sono mai riusciti a toccarmi gran che. Non è più affar nostro, mi pare. Nessuno li chiama e non chiaman nessuno, e, oltre a tutto, non san niente nemmeno di sé.
Vengono e passano e amen.
E quanto a complicazioni o altre cose del genere da un pezzo non ne ho molto di più di quel mulo che bada a mangiar la sua ortica: ma la vecchia là in fondo al canale era proprio qualcosa di più. Altroché, se lo era.
Passarono ancora otto giorni: e poi dieci. L’autunno era già in agonia. Di notte le siepi brinavano e la luna s’era fatta più fredda del sasso, e così ferma, rotonda e precisa come può essere solo a Natale: le due nubi che l’eran d’attorno parevano aria appannata. Di giorno era meglio, d’accordo, e fino alle tre c’era il sole: ma né un ramarro né un rospo non v’era più dato incontrarlo: una biscia acquaiola ancor meno: se n’erano andate da un pezzo e bisognava aspettare fino a marzo. E questo era già un brutto segno. Alle sei scendevate in istrada e non sentivate altro che odor di polenta e castagne bollite nell’acqua. I campanacci di bronzo arrivavano allora lì al borgo da un miglio, due miglia e anche più. E questo era già anche un po’ peggio.
La vecchia non si fece vedere.
"Prima o poi vengono tutti, da me. Qui non siamo né a valle o in città" mi dicevo. "Tanto più che l’inverno è alle porte. Finiscono col venir tutti, io lo so, prima o poi.
Non c’è che da star qui ad aspettare. Dovrà uscir dalla tana anche lei".
Adesso poi, fra parentesi, avevo preso a chiamarla la vecchia, quella vecchia della capra e gli stecchi, oppure anche la matta, e altri nomi perfino più stupidi. Per esempio, tuonava, pioveva, dalle gronde rotte l’acqua cadeva a gomitoli: e io dicevo soltanto: "Beh, non dovrà essere troppo allegro per quella". Mai fatto con gli altri così. E anche questo era già un brutto sintomo.
E invece no. Passò anche l’autunno. Le siepi adesso eran solo grovigli di spini: gli uomini stavan già per finire le trappole da portare su a monte nei boschi; e la vecchia non uscì dalla tana.
Feci quello che non avevo mai fatto. Mi decisi a informarmi di lei. Regalai due pelli di coniglio a un ragazzo che su per giù mi faceva da chierico e lo feci andare dal bosco ai calanchi. Il ragazzo se ne andò in giro due giorni qua e là, perché in realtà era un bravo ragazzo, pieno di idee e d’espedienti e per quassù anche quasi educato: salì alle torbe, e ai calanchi, ed ai pascoli e non riuscì a trovar più di tanto. Gliene diedi una terza: e lui si spinse ai confini di Bobbio: e quel che c’era da sapere lo seppi.
Viveva sola, al di là del sentiero degli olmi, proprio ai margini della parrocchia, e dopo non ci sono che forre torbiere e anche peggio, se pur peggio è possibile: c’era venuta a stare da poco, e senza dir niente a nessuno, venendo su dalle parti di Bobbio dove quattro anni prima i tedeschi avevano bruciato anche i sassi: si chiamava Zelinda Icci fu Primo: aveva compiuto i sessantatré l’otto agosto, e adesso lavava stracci e budella dalla mattina alla sera laggiù dal canale per qualcuno o qualcosa di un paese di valle dove c’era già qualche industria.
Ogni sera, al cader delle ombre, se ne veniva su per la strada di monte coi suoi stracci e la sua carriola e la capra (vinta, pare, a una lotteria di parrocchia): lungo le siepi si chinava a ogni passo a prender su sterpi secchi o anche carta: e davanti al Tabernacolo Jesus si segnava e abbassava la testa. Mai una volta alla processione: mai ai Vespri: mai in chiesa.
Quel che venni a sapere fu questo.
"Bene bene" dissi io allegramente "così abbiamo anche la Befana a Montelice. E in un maggio o nell’altro troveremo anche una parte per lei".
Il ragazzo si mise subito a ridere. Ma la cosa non mi piacque per niente.
"E adesso va. E grazie tante" dissi io.
"E sono venuto a sapere anche questa ..." cominciò lui non riuscendo a star serio.
"E adesso vattene. Via. Già sparito" lo interruppi battendo le mani.
E anche lui s’accorse che qualcosa doveva esser cambiato e che adesso spirava nuov’aria, perché scivolò via dalla porta senza aspettare nient’altro. Ma era un ragazzo sveglio, v’ho detto: così, prima, mi guardò a un certo modo che era sciocco e non sciocco e nessuno sarebbe riuscito a capirci qualcosa. E la cosa mi piacque anche meno.
Alla sera del nove stavo a insegnar la commedia ai ragazzi. S’aprì l’uscio e la Melide entrò, con tre o quattro formaggi di capra. Era appena tornata dall’aver cucito il lenzuolo ad un vecchio. S’avvicinava la loro brutta stagione. Quando l’agonia cominciava la mandavano subito a prendere: lei vegliava una notte, due e tre, lo lavava e cuciva il lenzuolo, e ogni volta tornando aveva sempre per le mani qualcosa.
"Una vecchia ha bisogno di voi. È nello studio".
"Sarà quella della capra e gli stecchi" disse il ragazzo con aria d’intesa.
La Melide prese a guardare me e lui con sospetto. E quando vide ch’io mi alzavo di colpo e mandavo a casa i ragazzi e non m’importava più d’altro, prese un’aria anche più sospettosa, sì che adesso non andava più via.
A suo modo era quasi gelosa di me: come i servi e i bambini, mi spiegò.
"Lo so" dissi "lo so". (Ed invece era tutta una storia).
"Le ho detto io di passare di qua".
Il ragazzo alzò gli occhi a guardarmi. Non riusciva sul serio a capire.
"Ah. Ma allora le avete parlato, così ..."
Lo alzai di colpo mezzo braccio da terra e lo portai fino quasi sull’uscio. Tutti gli altri si misero a ridere. La Melide non diceva parola.
"E adesso grazie e buona notte e bei sogni" volli fare l’allegro "e tutti in gamba fino a domani mattina: ma il fatto è, brava gente, che per questa sera non ho proprio bisogno di voi".
Così tutti se ne andarono via, e io restai solo in parrocchia.
Il corridoio era più buio di un forno, e a guardare la striscia di luce che usciva dalla fessura dell’uscio mi sentii come uno che è in debito: il creditore è di là ad aspettarlo, e lui intanto non sa come fare, perché il suo lo ha già speso da un pezzo e tutto quel che ha è un po’ di rame e in una mano ci sta.
Non m’era mai capitato da secoli, e la cosa mi fece pensare.
Sentii i ragazzi salutarsi in istrada. Un sasso rotolò per la piazza. Una porta e poi un’altra si chiusero.
Quello che stava alle torbe continuò la sua strada fischiando.
"Ed ecco qui la mia vecchia", pensai.
Dopo un poco aprii l’uscio. Era là.
Capitolo IV
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