www.treccani.it /magazine/lingua_italiana/speciali/D_Arzo/5_Lenzi.html del 31 gennaio 2022
La scuola Penny Wirton. “Per qualcosa che vale di più!”
di Anna Luce Lenzi

Libretto Universitario di Ezio Comparoni.
Libretto Universitario di Ezio Comparoni.
Quel percorso avventuroso che Ezio - Raffaele - Silvio aveva intrapreso fin da piccolo e per sempre, a un certo punto si dovette fermare. Era il 30 gennaio 1952. Non era un lunedì, giorno dell’avvio, ma un giovedì, giorno della pienezza.
Ma … in che senso si è fermato? E se non si fosse fermato affatto?
Quella ricerca di sé, di un senso alla vita, per cui Ezio impugnò lettura e scrittura, precoci l’una e l’altra, possono davvero essersi conclusi?
No, perché invece qualcosa cominciò e continua ancora.
Quell’avventura libraria, leggere, scrivere, immaginare, provare, riprovare, abbandonare, riprendere, è uscita dall’intimo del pensiero, si è sollevata dalla superficie della carta, ha preso il largo e si è messa a promuovere ai quattro venti una spedizione senza confini, adatta alla vita non di uno solo, riservato e schivo come Ezio - Silvio, ma di tanti, uomini, donne, ragazzi, piccoli corsari ai primi passi e sorridenti compagne di scuola: eccole, nella scuola Penny Wirton, le proiezioni incarnate di un immaginario vasto, complesso e irrisolto come è stata la letteratura per D’Arzo e come è, inguaribilmente, la vita.
Il non finito darziano
Annuario Eiar del 1935
Annuario Eiar del 1935
Troncato nel più bello, proprio quando le vicende storiche avevano indotto Ezio Comparoni a immergersi nell’umanità violenta e inane della guerra e del dopoguerra, il percorso tenace intrapreso dallo scrittore è rimasto inciso in una mappa che non è stata disegnata fino in fondo, ma che non si cancellerà più.
È il non finito darziano, il ponte tra vita e scrittura: è lì perché ogni lettore lo attraversi, se vuole, a suo modo, fino a quando approderà dall’altra parte e capirà a che cosa la mappa lo ha guidato.
Se mi volto indietro, scesa dal ponte, io vedo una moltitudine di gente che a D’Arzo ha dedicato la sua intelligenza e a volte anche il suo cuore; c’è persino chi duella o tenta di duellare, chi se ne fa custode, chi se ne fa garante nelle patrie lettere. Tanta lodevole attività che sembra sempre sul punto di rinnovarsi e generare germogli nuovi.
Se guardo avanti, le pagine scritte svolazzano lontane, autografe o a stampa, e tendono a lasciarsi risucchiare da correnti ascensionali che ce le possono sottrarre anche per un bel po’.
Ma intorno a me c’è un movimento multiforme e variopinto che si è generato intorno al nome Penny Wirton, quello del personaggio darziano di Penny Wirton e sua madre, povero e orfano del padre Tedd, che, scoperta una verità inattesa, lascia il suo paese e deve affrontare il mondo. Penny Wirton è una scuola, una strana scuola-nonscuola che è scuola di tutti.
A chi viene in contatto con noi spieghiamo sempre perché abbiamo scelto questo nome: non è difficile trasmettere il passaggio dal personaggio Penny a tutti i potenziali Penny che incontriamo, a  tutte le potenziali Anna Wirton, la madre, che si arrabattano per mantenere un loro posto dignitoso nel mondo.
Quel ponte tra vita e scrittura nel nostro caso ha portato a trasformare in vita la scrittura.
Una scuola nonscuola
Annuario Eiar del 1935
Annuario Eiar del 1935
La scuola Penny Wirton dal 2008 insegna gratuitamente l’italiano ai migranti attraverso un sistema di relazione diretta, personale, tra insegnante e allievo: niente classi, niente voti; si accettano studenti durante tutto l’anno, fino all’ultimo giorno; si segnano le presenze, non le assenze; il programma non precede, ma segue la situazione individuale di chi si rivolge a noi, che sia un laureato in Ucraina o un analfabeta del Mali, ognuno affidato a un insegnante tutto per lui. Per questo motivo concorrono al funzionamento numerosi volontari: solo a Roma sono più di cento, in maggioranza donne. Ma semplicemente aderendo alla Carta d'Intesa delle scuole Penny Wirton sono nate per fioritura spontanea altre scuole in tutta Italia, almeno 51 nel 2021: funzionano allo stesso modo, rigoroso quanto libero e sorridente; si richiamano dalle Alpi alle Piramidi, si incontrano e si riconoscono in presenza, online, sui social.
La lingua, le lingue
Il volontario Penny Wirton impara - per curiosità, per amicizia - a dire “Sciucràn!” a un arabo o “Donnovat!” (grazie) a un bangladese, ma resteranno segnali fra loro, come locuzioni di simpatia: non certo travasi o osmosi omologanti (qualcuno malevolmente finge di temerle) se non negli universali “Ok” “Ciao” “No problem” “Tutto-bbene”. A volte si è costretti a ricorrere a un povero inglese, a un poverissimo francese nel tentativo di aprire un varco, di aiutare la comprensione di termini che non si possono disegnare o indicare o mimare, come gli astratti “felicità” “giustizia”, ma la corsa è sempre verso l’italiano d’Italia, per diventare italiani: Italiani anche noi è il titolo programmatico del manuale e dell’eserciziario per il corso di lingua completo (Affinati Lenzi 2019 e 2019a), nato e cresciuto osservando le reazioni più o meno felici o dimesse degli allievi davanti agli esercizi costruiti per loro, selezionando quelli che riscuotevano successo didattico ed emotivo.
E allora l’impegno, l’immersione linguistica sono così totali che il sedicenne Sajib, da poche settimane in Italia, mentre ti aiuta a spostare il sacco nero delle cartacce, vedendolo squarciarsi e rovesciare a terra tutto quel che contiene, esclama costernato “Mannaggia …” con una spontaneità che quasi ti commuove.
Tutti cercano di conquistare parole e pronuncia, ognuno a suo modo, con ritmi legati all’età, all’istruzione, alle abitudini: molti si lanciano nell'imitazione acustica, ma poi pronunciano secondo la fonetica nativa: “Abdel, vuoi il quaderno grande o quello piccolo?” “Bìgolo!”, “Sertifichéiti”, chiede Motiur se desidera un attestato di frequenza. Violeta, poi, continuerà a confondersi con gli articoli (“Vengo a la scòla”: ha sempre paura di dimenticarli e li mette anche quando noi li omettiamo) e soprattutto a ignorare le doppie: “caro atrezi” e “machina”. Niente da meravigliarsi: le doppie non sono forse anche uno dei nostri “problemi” nazionali? La mama del Nord, il cibbo di Roma…, per non dire di altri fonemi, come l’asiugamano in Emilia, il cielo terzo che tte leva i bbrutti penzieri, la ’oda di ’avallo in Toscana, per non parlare delle vocali aperte e chiuse (viéni - vièni) diverse da Nord a Sud e unificate in alcune parti (il foglio di Romagna, i fratelli in Puglia …). I nostri studenti, che siano afghani o egiziani o maliani e senegalesi, tutti si adattano il più possibile all'accento che li accompagna nell’apprendimento a scuola o a cielo aperto.
Persino su Facebook si danno da fare con l’italiano; magari con gli inconvenienti del caso, che possiamo ben giustificare (a differenza di tanti nostri connazionali che spropositano in parole e atti, infischiandosene della correttezza del bell'idioma nativo) o se non altro comprendere, se pensiamo che ci vuole anche un certo coraggio a esporsi per salutare o ringraziare chi hanno incontrato a scuola: i loro maiestri, che qualcuno saluta affettuosamente con “Un braccio, Kazim”.
Hope, Favour, Haziz, Antonella: le persone
Annuario Eiar del 1935
Annuario Eiar del 1935
Entra Hope (ma può essere Blessing, Glory, Charity, Joy …: hanno tutte nomi straordinariamente augurali, le donne della Nigeria) e subito corre felice verso l’insegnante che ha riconosciuto, l’abbraccia. Allegramente mostra il suo capolavoro di capelli a due colori, treccine e volute fantasiose: la vivacità in persona.
Entra Favour, altra nigeriana, e si guarda intorno; qualcuno le va incontro e le indica dove sedersi: all’inizio della distesa di tavolini, perché c’è più spazio e lei deve tenersi vicina la carrozzina con la piccola di cinque mesi, che potrebbe dover cullare, allattare …
Favour non sorride mai, tanto che neanche la sua creatura fa smorfie sorridenti. Non sai che dramma ha dietro e dentro di sé; non sembra che si diverta particolarmente, eppure non perde una lezione. Ci vorranno mesi, ma alla fine troverà un timido sorriso anche lei.
Arriva Haziz, non fai in tempo a vederlo, si è catapultato in direzione di un amico già seduto a studiare, grida il suo saluto a tutta la compagnia… Eh, sì, i quindicenni egiziani danno sfolgoranti segni di vitalità e se non lo fanno, brutto segno, come quando scoprimmo perché Shakim era stanco e nervoso: il fratello che lo aveva spinto a raggiungerlo in Italia era “in ospedale” o meglio … in carcere.
Habibi (amico mio, cuoricino), ma Ismak (Come ti chiami)? Come si divertono a farselo ripetere dalla volontaria anziana! E come si intimidiscono e ridimensionano al cospetto delle coetanee italiane (ragazze, per favore, vestitevi con garbo, non sono abituati!) che oggi sono assegnate loro per la lezione: non vogliono mica fare brutta figura. Fanno a chi ricorda più in fretta i nomi degli oggetti indicati, si buttano a costo di chiamare scarpa una sciarpa, ma poi a modo loro, ridendo e scherzando, imparano e se ne fanno vanto. E Alaa l’indolente? Come mai oggi mi dice “Voglio imparare a scrivere come te.”? Vuole scrivere in corsivo! Già: lo hanno infilato in una classe delle medie, lui vorrebbe, ma non riesce a leggere il quaderno del suo compagno di banco!
A questo punto è d’obbligo l’elogio della copiatura: che fatica, povero Alaa! Quando riuscirai a copiare dal tuo compagno, vorrà dire che sai leggere e scrivere. E meriteresti il premio. Certo: avete mai provato a copiare una riga di arabo? Provate, provate.
Anche tra i volontari c’è una varietà illimitata: oltre ai ragazzi e ragazze del liceo, trovi molte ex insegnanti e molti ex impiegati che si scoprono felici di insegnare, trovi un attore veterano che è lieto di mettersi a disposizione di quella porzione minima di pubblico tutta per lui: lo studente somalo che lo aspetta, che vuole solo Maurizio, suo amico-padre o forse nonno, data la veneranda età.
C’è Antonella che riceve gli involtini regalati dalla studentessa cinese, Marcella che si commuove alle lacrime accettando la mela striminzita offerta dall’adulto afghano; c’è il disegno su foglio bianco del ragazzo di Dacca, ci sono i fiori rubati a una siepe per strada … Sono tutte risposte alla gratuità che questi nuovi Penny percepiscono come ricchezza ineguagliabile. Kingsley, nigeriano, non ne fa un segreto: in Nigeria se non paghi tanto (e fa il gesto eloquente con le dita), niente scuola. Tutti gli africani del Mali, del Senegal, della Costa D’Avorio, Gambia, Camerun, Etiopia e Eritrea vedono la scuola come un privilegio un tempo per loro impensabile.
Molti dei nostri Penny sognano un avvenire sportivo (e la cronaca calcistica non dà loro torto), ma sono pronti a fare i lavapiatti o, nel migliore dei casi, a riprendere l’attività di falegname o meccanico che esercitavano prima di essere costretti a strappare le radici e avventurarsi oltremare. Per il momento, si tuffano nello studio dell’italiano in questa scuola-nonscuola che non dà voti, non giudica, non ti affoga in una classe numerosa, ma ti dà una persona che pensa solo a te e a quello che di buono puoi imparare; la volta prossima forse avrai un “maestro” o una “maestra” diversa, ma sempre tutta per te.
E alla fine?
L
Annuario Eiar del 1935
Annuario Eiar del 1935
a fine non esiste: il corso finisce quando tu trovi un lavoro e allora non vieni più, quando varchi i confini e vai a Nord, quando sei trasferito così lontano che nemmeno le due ore e mezzo cui si è abituato Kingsley basterebbero a raggiungere la tolda di questa nave-scuola …
Alla fine potrai avere un bel foglio su carta intestata dove c’è scritto che tu - nome e cognome - nato a - nazione del mondo - il - spesso un fantasioso 1 gennaio … - hai seguito il corso Penny Wirton per un numero X di ore.
Annuario Eiar del 1935
Annuario Eiar del 1935
Ma nel tuo  portafoglio (attento a non perderlo, come è successo ad altri), insieme ai documenti provvisori e ai biglietti o abbonamenti di viaggio, conserverai il piccolo cartellino arancione con il tuo nome, che la Penny ti ha consegnato al tuo primo arrivo per  riconoscerti le volte successive e per lasciarti il suo telefono e indirizzo: ti ci sei affezionato come a un ritratto, una fotografia di famiglia, da estrarre e mostrare anche a distanza di anni per dire che ci conosci, che sei stato dei nostri!
Che ne dici, Penny Wirton del fu Tedd, dei ragazzi con profili attenti e precisi, capelli nerissimi e lisci, che sembrano scesi dalle navi con il Lord Jim tanto amato da D’Arzo, o degli altri con sorrisi lucentissimi e capelli crespi, spesso arrotolati in lunghe trecce dentro cuffie colorate, che sembrano ospitare ancora negli occhi l’ombra di un cuore di tenebra? E dei giovani ironici e seri che potrebbero essere cammellieri di un altrettanto “darziano” T. E. Lawrence? E di quelli pallidi, dallo sguardo allusivo che pare abbiano trascorso la notte a controllare i varchi del contrabbando in paesi d’erbe e acque e osterie nelle contrade orientali d’Europa?
Che ne dice Anna Wirton della giovane Runa con due figli da accompagnare a scuola e andare a riprendere, loro che parlano già italiano meglio di lei? Ma lei sta sognando di tornare a scuola, ha fatto l’esame di terza media e vorrebbe iscriversi alle superiori. Ce la farà? E le giovani mamme senza marito che si avviano a un futuro in compagnia delle creature che accudiscono amorosamente, qualunque sia stata la loro genesi? I figli sono figli, Anna lo sa: la piccola Joy ha il capino pieno di treccine colorate e infiocchettate, quando arriva da noi. Chissà se la mamma le inventerà una leggenda per raccontarle del padre, per farle coraggio quando andrà in classe e le chiederanno di lui: no, forse no, perché la storia di Penny ci ha insegnato che la bella menzogna può far male, che le sofferenze finiranno quando si riuscirà ad azionare il coraggio di vivere. Sì, è proprio questo che ci trasmettono gli scolari Penny Wirton: una gran voglia di vivere, di buttare via la zavorra che li ha appesantiti e finalmente prendere il volo, loro come noi, nella vita.
Bibliografia
Affinati E., Lenzi A. L. (2019), Italiani anche noi. Corso di italiano  per stranieri. Il libro della scuola Penny Wirton. Illustrazioni di Emma Lenzi, Erickson 2019;
Affinati E., Lenzi A. L. (2019a), Italiani anche noi. Il libro degli esercizi della scuola Penny Wirton, Erickson 2019.