Da parma.repubblica.it del 21 maggio 2018
La poesia di Silvio D'Arzo a Parma: abitare un'esistenza come Casa d'altri
di Lucia De Ioanna
L'atmosfera di sospesa e intensa attenzione che accoglie la lettura, eseguita a opera di Argante Studio, di alcuni passi tratti da Casa d'altri (https://www.garganoverde.it/letteratura.html?view=simplefilemanager&id=951) sembra fatta, in qualche modo, della stessa sostanza densa e rarefatta di cui è intessuta la scrittura di Silvio D'Arzo.
Occasione preziosa per conoscere, e necessariamente amare, l'opera dello scrittore reggiano Silvio D'Arzo (nato Ezio Comparoni nel 1920 da Rosalinda Comparoni e morto a soli 32 anni nel 1952) è stata offerta presso la Libreria Diari di Bordo attraverso la presentazione della versione lunga del racconto, a cura di Paolo e Andrea Briganti, e l'intervento di Giulio Iacoli, autore di Luci sulla contea, raccolta di scritti critici volti a sondare l'opera dell'autore attraverso l'interrogazione di temi ricorrenti.
“Giallo conoscitivo-esistenziale”, nella lettura di Paolo Briganti, “Casa d'altri racconta, in sospensione conoscitiva - via via sapientemente alimentata - la vicenda intrecciata d'un vecchio prete di montagna e di una vecchia che trascina la vita nella miseria”: da questo nucleo narrativo, apparentemente semplice, D'Arzo trae una narrazione capace di provocare il lettore sul piano esistenziale, interrogandolo sul senso di una vita fatta di giorni e ore tutti uguali, vissuta da estranei, come in casa d'altri, appunto.
Il parroco di Montelice, il piccolo paese sull'Appennino reggiano dove è ambientata la vicenda, ha perso ormai l'entusiasmo della vocazione e si percepisce, con amara ironia, come un curato da sagre e nient'altro': l'incontro con la lavandaia Zelinda, (un uccello sbrancato, una gatta di via) lo mette a confronto con quella che gli appare la più assurda creatura del mondo, solitaria e schiva, dietro alla cui reticenza il prete intuisce la necessità profonda di una confessione, di una comunicazione autentica. I passi di approssimazione a un possibile disvelamento sono cauti, guardinghi, fatti di silenzi e ritrosie della donna, pretesti e sassi gettati nel canale a infrangere la superficie di un silenzio. E il messaggio, il quesito che verrà a galla (se in qualche caso speciale, tutto diverso dagli altri, senza voler fare dispetto a nessuno qualcuno possa decidere di andarsene prima da una vita nella quale è proprio come stare a dozzina) è di quelli che richiederebbero, in risposta, parole nuove e autentiche: non cose d'altri tempi, vecchie nevi dell'anno passato, le sole che, invece, si affollano alle labbra del prete.
L'edizione curata da Paolo e Andrea Briganti corrisponde alla versione lunga del racconto darziano del quale esistono, stando alle ricerche condotte finora, tre diverse redazioni: circostanza, questa di una pluralità di versioni, che si comprende, nota Andrea Briganti, “appena si consideri che l'autore scomparve prematuramente, nel 1952, a 32 anni, senza poter mettere propriamente la parola fine a una serie di riscritture e di tentativi di pubblicazione di una storia che aveva cominciato a elaborare dal 1947”. I primi a occuparsi del manoscritto sono stati i due studiosi parmigiani che nel 2002 ne curano un'edizione per Diabasis, rispetto alla quale il libro edito da Consulta, impreziosito da una china di Elisa Pellacani, appare più agile, alleggerito dall'apparato delle note critiche.
A proposito del titolo, il manoscritto lungo è “l'unico documento primario in cui il titolo Casa d'altri campeggi a chiare lettere. Nella versione più breve, il titolo era Io prete e la vecchia Zelinda; nella versione media il titolo Casa d'altri fu inserito postumo, da altra mano.” Titolo che appare pertinente, in quanto giustificato internamente, solo nella versione lunga del racconto, l'unica nella quale compare la battuta con la quale le lavandaia Zelinda esprime il suo senso di estraneità alla vita: Perché questa non è casa mia. Questa qui è casa d'altri, io lo so.
La lettura di questo “racconto perfetto” (secondo il giudizio che ne diede Eugenio Montale) segna invariabilmente una linea di demarcazione nell'animo del lettore, come avvertono i curatori: “può succedere una cosa, leggendo Casa d'altri. Magari non te ne accorgi subito, ma a distanza di tempo poi ci fai caso, risali all'indietro con la mente, ripercorri qualche anno, e ti rendi conto che proprio lì, mentre leggevi quella storia, qualcosa ti stava succedendo: si stava formando una chiara, netta linea di demarcazione dentro di te. Dentro di te-lettore. La linea del prima e del dopo. Prima, eri uno che non aveva letto Casa d'altri. Poi, sei diventato uno che Casa d'altri l'ha letto”.
Avvicinarsi all'opera di Ezio Comparoni sondando il potenziale conoscitivo di alcune tematiche di fondo che affiorano in modo ricorrente e decifrando, in filigrana, dietro all'addensarsi di immagini insistenti, l'azione generativa di ragioni psicologiche e esistenziali profonde: questa la direzione della ricerca messa in atto da Giulio Iacoli in Luci sulla contea. D'Arzo alla prova della critica tematica, Mucchi Editore.
Come osserva Elisa Vignali nella postfazione, l'indagine di Iacoli punta a “non sottacere e anzi amplificare “il problema” di certe questioni radicali in D'Arzo, legate al senso di immedicabile estraneità dei personaggi, almeno in parte riflesso della solitudine dello scrittore rispetto al mondo autoreferenziale della provincia di origine”.
Un fondale da dragare per portare a galla “determinati significati di profondità, di immagini, finanche ossessive” quali la mutua compenetrazione di animato e inanimato, i sentimenti di estraniazione e disagio dei personaggi, di indifferenza, lontananza, incompletezza e precarietà che concorrono a definire il paesaggio interiore delle figure messe in scena dalla scrittura darziana.
Interessante il modo in cui l'autore fa affiorare emblemi del desiderio e della marginalità da Essi pensano ad altro, romanzo ambientato a Bologna, in un casamento abitato da angeli, diversi, inadeguati alla vita, come osserva l'autore: figure di renitenza ai ruoli sociali previsti, imprigionati in epiteti che ne sanciscono l'esclusione dal consorzio urbano. Affondando, con sensibili antenne analitiche, nel corpo della scrittura, Iacoli porta alla luce le dinamiche di desiderio e attrazione leggibili in tanti ritratti maschili darziani “che mettono in scena il perturbamento, il senso conflittuale della sessualità, tra pulsioni e repulsione” e la difficile adesione a leggi di genere vincolanti.
Nello stesso casamento vivono l'imbalsamatore Berto Arseni e lo studente Riccardo, che proviene dalla provincia contadina, l'ammaestratore di animali Enrico e il fratello Nemo, suonatore di trombone, legati da “relazioni problematiche, costantemente passibili di crisi e sconvolgimenti”. Il lettore è chiamato da Iacoli a cogliere quegli indicatori, disseminati nel romanzo di ambientazione urbana, che rimandano a un sentire altro, segni in superficie “di un desiderio intimo e rimosso”.
Facendosi guidare dall'idea di una 'logica della censura', derivata da Foucault, logica in base alla quale una società rigida non riconosce nome e legittimità a figure emarginate, figure che eccedono i margini dei generi codificati, Iacoli segnala come gli elementi di irriducibilità messi in scena da D'Arzo “stanno a significare, nel ritardo culturale della città fascista, quanto non era visibilmente riproducibile”.
Gli scavi tematici offerti in Luci sulla contea da Iacoli guidano il lettore nella decifrazione della scrittura darziana, interrogando gli spazio bianchi, il non detto e il rimosso, come osserva Elisa Vignali, “con un rigore non disgiunto da una passione coltivata negli anni per uno stesso oggetto di studio”.
Nuova occasione per scoprire o riscoprire il racconto-capolavoro di Silvio D'Arzo, nell'edizione ConsultaLibrieProgetti, si offre il 22 maggio alle 17,00 presso il Circolo di Lettura e Conversazione in via Melloni 4 a Parma: ospiti del salotto di Isa Guastalla, saranno presenti i curatori, Paolo e Andrea Briganti, per leggerne alcuni brani insieme a Mirella Cenni dell'Argante Studio.