III
Fu una sera. Sul finire d’ottobre.
Me ne venivo giù dalle torbe di monte. Né contento né triste: così. Senza nemmeno un pensiero. Era tardi, era freddo, ero ancora per strada: dovevo scendere a casa, ecco tutto.
L’ombra proprio non era ancor scesa: campanacci di pecore e capre si sentivano a tratti qua e là un po’ prima della prata dei pascoli. Proprio l’ora, capite, che la tristezza di vivere sembra venir su assieme al buio e non sapete a chi darne la colpa: brutt’ora. Uno scoiattolo attraversò di corsa la strada sgusciandomi quasi fra i piedi.
Solo allora, giù in fondo al canale che scorreva un venti metri di sotto, china a lavar biancheria o stracci vecchi o budella o qualcosa di simile, vidi una donna un po’ più vecchia di me. Sulla sessantina, sapete.
In mezzo a tutto quel silenzio e a quel freddo e a quel livido e a quell’immobilità un poco tragica, l’unica cosa viva era lei. Si chinava, e mi pare anche a fatica, affondava gli stracci nell’acqua, li torceva e sbatteva su un sasso: poi li affondava, torceva e sbatteva, e via ancora così. Né lentamente né in fretta, e senza mai alzare la testa.
Mi fermai sopra il ciglio a guardarla. Un sasso scivolò giù, fino in acqua, ma la vecchia nemmeno s’accorse. Solo una volta s’interruppe un momento. Si mise una mano sul fianco, diede un’occhiata alla sua carriola sull’argine e alla capra che frugava tra l’erba: e poi ancora riprese.
"Beh" dissi allora con me "quando ci si mette sul serio, il mondo sa ben essere triste, però. Ha perfino intelligenza per questo: e neanche un uomo ci arriverebbe mai e mai. Quel che importa però è non accorgersene. E poi gli occhi qualche volta sono fatti anche per chiuderli, no?"
Una scusa da un soldo, so bene. Ma era tardi.
Davvero era tardi: si vedevan qua e là due o tre stelle.
Continuai la mia strada.
Ma la sera dopo lo stesso. E così l’altra sera e poi l’altra. Alla medesima ora, eccola là ancora in fondo al canale.
Niente sole, niente luna, non un’anima viva all’intorno: quegli stessi campanacci di bronzo un po’ prima della prata dei pascoli e la stessa immobilità dappertutto.
Padronissimi di riderci sopra, ma anche i sassi a quell’ora eran tristi, e l’erba, ormai di un color quasi viola, era ancora più triste. E lei sempre laggiù, china sopra i lastroni di pietra. Affondava nell’acqua gli stracci, li torceva, sbatteva e via ancora. E senza fretta o lentezza: e senza mai alzare la testa.
Una cosa facile a dirsi, ma dovevate vederla.
"No" dissi fissandola bene. "Non credo di conoscerla, quella: la vecchia non è certo di qui; senza dubbio è un uccello sbrancato. Sempre meglio, a ogni modo, che sia lei a venire da me. Prima o poi vengon tutte, da me. E che cosa potrei dirle, oltre tutto?"
Perché ormai io ero un prete da sagre: ero un prete da sagre e nient’altro: su questo non c’era più dubbio. Per un matrimonio alla buona e dottrina ai ragazzi e metter d’accordo anche sette caprai per un fazzoletto di pascolo non ero poi peggio di un altro: e così se un marito cominciava a usare un po’ troppo la cinghia. Ecco solo il mio pane oramai: altra roba non era per me.
Bene. Per cinque sere io la vidi là in basso.
Mai messo un rospo in fondo a una tana, anni fa? I ragazzi lo fanno da noi. Ogni sera lo vanno a vedere, e ogni sera trovandolo lì, sempre fermo in quel punto preciso, sono contenti e scontenti, e non sanno nemmeno il perché. Così anche per me in certo senso. A neanche due passi dall’argine mi auguravo di non trovarcela più: ma una sera che lei cambiò posto e sul momento non riuscivo a vederla, fui lì lì per gridarle qualcosa.
E poi adesso mi sarebbe piaciuto poter farle anche un po’ male. Appena appena così, si capisce. Naturalmente non riuscivo a spiegarmelo; solo capivo benissimo che non c’era neanche un grammo di senso e che venivo per giunta in questo modo a far male anche a me. Siamo una cosa buffa però; il dente batte, ci spezza la testa, e noi sempre lì con la lingua a far di tutto perché non s’addormenti.
"Qualche volta" dicevo "gli occhi son fatti anche per chiuderli. Chiudili e volta la testa anche tu. Non c’è miglior regola a volte".
Il fatto è che era ormai troppo tardi; e una regola non è che una regola.