L'Unità del 10.06.2000
Il permesso di suicidarsi in Casa d’altri
Reggio Emilia ricorda il suo Silvio D’Arzo con una lettura di Ferretti
Roberto Carnero
Reggio Emilia
Per chi abita a Reggio Emilia e dintorni questa sera c’è un appuntamento da non perdere.
Alle ore 21.00, nel cortile di Palazzo Brami (al numero 21 di Via Emilia San Pietro), Giovanni Lindo Ferretti leggerà “Casa d’altri”, il racconto lungo unanimemente considerato il capolavoro dello scrittore reggiano Silvio D’Arzo (1920-1952).
Potrà sembrare strano questo accostamento del nome del musicista e cantante Ferretti, ex punk, componente del gruppo elettroacustico dei Csi, oggi anche solista (è appena uscito un suo album dal titolo Codex, Black Out), a quello di Silvio D’Arzo, nome d’arte di Ezio Comparoni, raffinato scrittore per pochi, di nicchia, ma che godeva della stima di un lettore difficile come Eugenio Montale (il quale ebbe a parlare di Casa d’altri come di “un racconto perfetto”). Tuttavia la scelta di Ferretti non è casuale: egli vive infatti in quella che fu la casa della madre di Comparoni, ed è inoltre, oltre che esperto lettore, anche un profondo conoscitore dell’ambientazione del racconto. Ma le suggestioni non si fermano qui. Sarà emozionante sentire il testo darziano recitato nel cortile della casa di Ada Gorini, la pittrice amata da Silvio D’Arzo, che con lei intrattenne un intenso carteggio, recentemente donato dalla famiglia della donna, alla Biblioteca “Panizzi” di Reggio Emilia.
La storia di Casa d’altri è ambientata in uno sperduto paesino dell’Appennino Emiliano, in un tempo non definito ma che forse è proprio quel secondo dopoguerra in cui lo scrittore stese il testo, che però non vide pubblicato a causa della sua prematura scomparsa dovuta a un male inguaribile: l’opera uscirà prima nel X Quaderno di Botteghe Oscure alla fine del ‘52 e poi in volume da Sansoni nel ‘53.
Ad essere messo in scena in Casa d’altri è un dramma tutto interiore, di coscienze: quelle della vecchia Zelinda, stanca di una vita che non le ha riservato che dolore e sofferenza, e dell’anziano parroco del suo villaggio, al quale la donna chiede una deroga alla legge della Chiesa, il permesso di suicidarsi. Ma questo lo capiamo solo al termine del racconto, dopo che l’autore è riuscito, dall’inizio alla fine, a creare una suspense degna dei migliori gialli. Insomma, in pieno clima neorealista D’Arzo opta per un registro esistenziale decisamente in contro-tendenza rispetto ai filoni maggioritari della produzione narrativa del tempo. E paradossalmente sembra proprio questa, insieme alla straordinaria maestria di una penna che sa intrecciare mirabilmente concentrazione stilistica e aperture liriche, la ragione principale di una presenza, sommersa ma feconda, di Silvio D’Arzo negli ultimi due decenni.
Silvio D’Arzo è infatti un grande “minore” della narrativa italiana del Novecento, esponente di una tradizione letteraria tutta da riscoprire.
Come ha mostrato molto bene Guido Conti nell’ultimo numero della rivista Palazzo Sanvitale, se vogliamo riscrivere la storia della letteratura italiana del secolo appena conclusosi liberandoci finalmente dai canoni e dai cliché accademici, è proprio a partire dai “minori” che dobbiamo iniziare a farlo. L’Emilia Romagna è in questo senso una terra davvero feconda: si pensi - solo per fare qualche nome - ad Arturo Loria, Antonio Delfini, Cesare Zavattini, Guido Cavani, Dante Arfelli. E Silvio D’Arzo, appunto, al cui “rilancio” contribuì negli anni Ottanta un altro emiliano, Pier Vittorio Tondelli, alla ricerca di radici letterarie nei propri luoghi d’origine, di padri e maestri da trovare in una linea eccentrica che potrebbe disegnare una sorta di canone letterario alternativo.
A sua volta Tondelli fu seguito, in questa passione per D’Arzo, da molti altri nuovi scrittori degli anni Ottanta e Novanta, anche fuori dai confini regionali: Claudio Piersanti (che intitolò il suo romanzo d’esordio Casa di nessuno, in sintomatica variazione del titolo darziano), Angelo Ferracuti (che in apertura del suo ultimo libro - Attenti al cane, Guanda - pone un’epigrafe darziana), Eraldo Affinati (tra l’altro curatore di una recente edizione di Casa d’altri e altri racconti presso Einaudi), lo stesso Guido Conti e il giovanissimo Davide Bregola (suoi racconti sono presenti in Viaggi e corrispondenze, Mobydick).
L’odierna lettura darziana è organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Reggio Emilia. Anche questo è un fatto positivo, perché forse significa che l’amministrazione cittadina intuisce che è finalmente giunto il momento di valorizzare uno scrittore di cui da troppo tempo la sua città natale, in cui egli trascorse tutta la sua breve esistenza tra l’insegnamento scolastico e l’attività letteraria, sembrava essersi dimenticata.
A parte un convegno nel 1984, poco o nulla si è fatto a Reggio Emilia per D’Arzo in questi anni.
Nel 2002 ricorrerà il cinquantenario della sua morte. Forse conviene incominciare a pensare sin da ora a come onorarne la memoria.
2000 - Il permesso di suicidarsi
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