Vi propongo il testo letto da p. Mario Villani il 24 aprile 2012 nel Centro anziani intitolato a Michele Ceddia, in occasione della consegna del premio a Giuseppe Bonfitto. Le foto sono state scattate dallo scrivente e furono pubblicate sul portale del Santuario di S. Matteo. Purtroppo il libro fotografico di cui si fa riferimento nello scritto non è stato mai pubblicato. Accompagno lo scritto con una poesia di Joseph Tusiani, della quale non conosco la data, trovata in una vecchia pubblicazione del Convento di S. Matteo a San Marco in Lamis. Accompagno il tutto con foto di Giuseppe Bonfitto. I grassetti sono dello scrivente.
Ho conosciuto Giuseppe nel 1965. Avevo bisogno di far sviluppare delle fotografie e mi indirizzarono a lui. Non era un fotografo per matrimoni e prime comunioni; da poco aveva aperto il suo negozio-laboratorio di ottica; gli arrivavano clienti da San Marco, da San Giovanni e da altri paesi che lui serviva con dedizione, precisione e cortesia. La fotografia era il suo amore vero. Fui conquistato dalla sua disponibilità generosa, dal suo sorriso, dalla signorile sobrietà nel tratto, dal parlare conciso e sincero. Trattò il mio povero rullino come le sue fotografie, mi diede consigli e non mi presentò alcuna parcella. Il mio rapporto con lui si consolidò quando nel 1970 fui destinato a S. Matteo. Con la fraternità francescana di S. Matteo aveva già un rapporto antico e profondo. Poi ha collaborato a diverse nostre iniziative ed è entrato a far parte del Gruppo di Studio della Biblioteca a cui ha donato parecchio del suo tempo soprattutto quando abbiamo prodotto il CD con database delle nostre tavolette votive; fa parte anche del nostro Gruppo Corale Gregoriano per l’animazione della liturgia domenicale. Insomma, Giuseppe fa parte della nostra famiglia. Come sammarchese gli sono debitore della memoria di oltre cento anni di vita della nostra cittadina che lui ha documentato, raccolto e interpretato attraverso l’arte che gli è più congeniale: l’arte fotografica. Il cuore del fotografo batte all’unisono con quello della città. È una storia vissuta a due in cui il testimone segue la città vivente nelle sue fasi gioiose e dolenti. La crescita e il declino, i quartieri antichi schierati intorno alla chiazza di sotta e la chiazza di sope, le case costruite in faccia al sole di mezzogiorno: strette, accucciate l’una all’altra per ripararsi dal vento e conservare, insieme al calore, l’inestimabile ricchezza della vicinanza e dello scambio amichevole. Poi la città dilagò e coi nuovi quartieri si sgranò superando il limite del torrente. Giuseppe ha documentato con rara attenzione il progressivo ingresso della nostra cittadina nella modernità. È una fase delicata che Giuseppe documenta con rigore. Nei primi decenni del ‘900, le case non erano più concepite con forte interconnessione, quasi a completarsi e difendersi reciprocamente. Non erano ancora degli alvearidormitori, ma già evidenziavano forti spinte individualistiche. Gli spazi comuni si restringevano, il privato era gestito non tanto sulla base del reciproco rispetto tra vicini, caro al mondo contadino, quanto con la pratica della esclusione e della non partecipazione. Ciò nonostante era ancora forte a San Marco, e Giuseppe lo documenta con puntiglioso amore, il senso della cittadinanza, dello stare insieme, in una visione comunale, quasi medievale. I cittadini di San Marco, nella documentazione di Giuseppe, sentono ancora il bisogno di stare insieme, di discutere, di giocare. Tra i pochi del Gargano e della Capitanata, i sammarchesi avevano già una villa comunale. Era il ritrovo pomeridiano sotto gli alti platani nelle calde giornate estive; la domenica mattina, nei tempi anteguerra, la banda cittadina dall’alta cassa armonica costruita in pianta stabile nel bel mezzo della villa diffondeva le arie e ouverture delle Opere più popolari. La cassa armonica era il simbolo vivente della lunga tradizione musicale sammarchesi. I quartieri crescevano armonici e ben strutturati con vie larghe e molti spazi comuni. Una invenzione davvero geniale furono i viali, il vero salotto della città: i due che costeggiano la statale, il Viale dei Preti, il Viale della Rimembranza disegnato per ricordare i caduti cittadini nella Prima Guerra Mondiale, ogni albero un nome, ogni nome un grato ricordo. I Viali per gli intellettuali, gli impiegati, i benpensanti, gli sfaccendati e i preti; il viale della Rimembranza, col suo bravo distributore di benzina nei pressi della chiesa dell’Addolorata, per le maestre in pelliccia. E poi, la Villetta, una preziosità che oggi, in clima di devastazione affaristica, sembrerebbe un’assurdità. Le foto più antiche la mostrano nuda e desolata, ma strategicamente preservata e preparata per un progetto armonico da realizzare in tempi lunghi. Dapprima fu campo sportivo. Prevalse, poi, l’idea della Villetta. Introdotta e fiancheggiata dal bel Viale della Rimembranza, fu disegnata come luogo di intrattenimento sereno di famiglie e fanciulli, ma anche come raccordo tra i due aspetti importanti della vita cittadina: quello del movimento e dell’incontro produttivo del Largo Piano, con il momento spirituale della chiesa dell’Addolorata. Era una unica grande passeggiata: ad est il turbinio moderno delle macchine, delle persone e delle voci, ad occidente il bel triangolo dell’Addolorata chiudeva il breve triangolo finale, diventato sagrato raccolto e silenzioso, che naturalmente incanalava i sammarchesi verso la porta della chiesa. Poi, sappiamo come sono andate le cose. Giuseppe Bonfitto, come tutti gli artisti, è un intuitivo che con la semplicità dello sguardo, nel fluire delle vicende umane vede i fili sottili che le muovono. Per questo motivo gli riesce facile scrivere con le immagini una storia che avrebbe ancora molto da dire; infatti è una storia che, oggi soprattutto, potrebbe ben essere letta con serietà da cittadini, operatori e amministratori. Ma questa è un’altra storia. Giuseppe, infatti, articola il suo racconto sul piano di un amore profondo, quanto discreto, per il suo paese e per l’umanità che lo abita. A lui non stanno bene le denunce, non ama gridare, né si propone di scuotere chicchessia col violento impatto delle immagini. Anche la sua mostra sul degrado di alcuni quartieri di S. Marco e del suo Cimitero, ospitata nella nostra Biblioteca di S. Matteo una quindicina di anni fa, è stata allestita col pudore di chi narra malvolentieri e senza giudicare nessuno. A lui interessa l’umanità dei sammarchesi e il loro esprimersi libero e fantasioso, la curiosità, l’ironia, il giudizio sotteso nello stupore, nel rammarico, nella meraviglia. Gli interessa l’umanità del mercato e dei monelli, del gioco e della fatica. È affascinato dalla voglia di vivere, dall’ottimismo che trasuda anche dalle immagini più drammatiche: i piedi nudi nella melma gelida, lo sguardo compiaciuto del venditore di pesce che dinanzi alla macchina fotografica si sente un personaggio. Ne viene un caleidoscopio di sentimenti immediatamente espressi senza la mediazione di parole. Ha sempre inteso la sua attività di documentatore e interprete della città come un servizio. In questo senso Giuseppe ha obbedito sempre alla sua ispirazione, alla fantasia, inventando una notevole serie di attività artistiche e divulgative. Ne ricordo solo qualcuna. Nel 1964 espone una mostra con una sessantina di opere. È il suo manifesto programmatico a cui rimarrà fedele fino ad oggi: l’interesse per le cose di casa nostra, le bellezze della natura, la meravigliosa ricchezza della povertà dignitosa e priva di odio. La mostra fu oltremodo gradita dalla popolazione ed ebbe grande successo anche tra i forestieri. Fu recensita da alcuni quotidiani e premiata dall’ENAL. Nel 1971 il suo documentario Fede e Folclore fu proiettato nel locale cinema. Furono tre sere affollatissime di sammarchesi e di forestieri venuti per l’occasione. I riti della Settimana Santa furono rivissuti dagli spettatori con grande tensione partecipativa: i canti e le preghiere, le austere liturgie, le processioni severe e raccolte, la processione delle fracchie furono percepite dagli spettatori in tutta la loro mistica musicalità, frutto di sentimenti antichi e creatività attualizzante. Fu la prima, e forse l’unica volta, che un documentario sui riti della Settimana Santa e sulle fracchie produssero benefici veri per la cittadinanza. La locale Polisportiva, infatti, endemicamente a secco e sull’orlo dello scioglimento, fu inaspettatamente salvata dalla generosità di Giuseppe che aveva già deciso di devolvere a suo favore tutto l’incasso delle serate. La cosa ebbe un seguito. Dopo qualche tempo il Sindaco dell’epoca, Napoleone Cera conferì al nostro Giuseppe la medaglia d’oro per meriti sportivi per aver salvato da sicura morte la Polisportiva. Ancora oggi il nostro Giuseppe s’interroga; ma che ho fatto io di tanto importante per meritarmi la medaglia d’oro? In fondo ho fatto solo ciò che dovevo fare. È vero: oggi queste sembrano storie d’altri tempi. È altrettanto vero, come ha scritto Antonio Daniele, che questo atteggiamento è frutto di un modo di pensare la vita basata sulla gratuità, che l’articolista definisce francescana, una concezione certamente rara, ma non estranea a moltissimi giovani sammarchesi. Propone le cose, ma non se stesso; racconta fedelmente la sua città con alto senso civico, e poi sparisce nel suo laboratorio. Anche nel 1979 ci fu una mostra di successo su San Marco al circolo Acli. Nel 1981 allestì la mostra San Marco ieri che venne esposta nella Padula. Il luogo simbolo di S. Marco divenne un gran teatro di commenti, risate, nostalgie, ammiccamenti, rievocazioni, e, perché no?, anche di pettegolezzi. La scena si ripeté nella Biblioteca di San Matteo qualche tempo dopo, ad uso dei forestieri. Nel frattempo era stato pubblicato il volume fotografico Dal fondo dei paesi. In seguito Giuseppe donò alla Biblioteca di S. Matteo l’intero complesso di immagini. Nel 1992, a causa della guerra civile tra le repubbliche jugoslave, i novizi e i frati studenti di alcune province francescane slave furono costretti a lasciare le loro terre. Molti vivevano in conventi della nostra provincia monastica. Era necessario, quindi, che anche la nostra fraternità contribuisse a provvedere al necessario sostentamento di questi giovani frati colpiti dalla cattiveria umana. Alcuni di essi avevano perduto padri, madri e fratelli assassinati da cecchini. Dal bilancio interno recuperammo delle risorse. Gli amici furono presenti. Giuseppe volle partecipare con una iniziativa benefica culturalmente elevata. Allestì a sue complete spese la mostra Compra un fiore, aiuta la pace. Un centinaio di fiori scelti fra i più belli dei nostri boschi, fotografati magistralmente in natura e debitamente incorniciati, ornarono per qualche giorno i locali del convento. In breve tempo furono venduti tutti. Ora Giuseppe fa parte integrante del nostro Gruppo di Studio della Biblioteca di S. Matteo. Si occupa sempre di fotografia, resa più facile e meno costosa dalle tecnologie moderne. L’ultimo lavoro che ha fatto per la Biblioteca è stata la lunga serie di fotografie dei nostri ex voto: quasi mille scatti che hanno avuto come oggetto le tavolette votive e gli innumerevoli ex voto oggettuali relativi ai sec. XIX e XX. Ora lo aspetta analogo lavoro sulla collezione di paramenti sacri antichi su cui dobbiamo impostare una serie di studi in vista della nuova sezione museale che sarà allestita a Borgo Celano nella dimessa scuola elementare. Consentitemi, a questo punto, visto che è presente il rappresentante del Comune di San Marco, di ringraziare l’Amministrazione Comunale per averci concesso il comodato d’uso della scuola. Nel progetto è previsto anche un laboratorio di fotografia dove Giuseppe potrà esprimersi al meglio. Quasi 500 fotografie relative a S. Marco saranno fra breve pubblicate in CD col titolo San Marco ieri e oggi. La Biblioteca di S. Matteo, quando sarà sbloccato il resto dei fondi PIS decisi dalla regione, pubblicherà anche un’edizione cartacea delle foto di Giuseppe, arricchite da introduzioni e rievocazioni. Stasera Giuseppe Bonfitto riceverà il Leone di San Marco. Non sarà quello della Mostra Cinematografica di Venezia, ma sempre di fotografie si tratta. Non sarà d’oro, ma è ugualmente prezioso per il ringraziamento e l’affetto che esprime. P. Mario Villani Convento S. Matteo 24 aprile 2012
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