1941 Mario Corsi, La vita di Petrolini (Capitolo Uno) da teatronovecento.it/1941
23 agosto 2020
Da Scenario Num. 8 - Agosto 1941:
Il primo capitolo dell'avventurosa vita di PETROLINI - La mania di recitare
Autore: Mario Corsi
Ai lettori
Via Giulia - Il fascino della strada - Fare il teatro - Colpevole di mancato omicidio - Il riformatorio di Bosco Marengo - Una recita e una rivolta - Processo in cella - La camicia di forza e le manette - L'Arma Benemerita - La Via Crucis dei riformatori - In libertà perché elemento pericoloso - La fatale calamità - L'avventura di Campagnano - Una grande delusione - La prima scrittura - "Buffone"!
A sei anni Ettore fu mandato a scuola, alla "Vittorino da Feltre", presso il Colosseo. Ma per quanto precoce e di vivacissimo ingegno, fin da principio non diede saggi di particolare attitudine allo studio e tantomeno alla disciplina.
"Non ero davvero un fanciullo prodigio - confesserà più tardi. - Io ho studiato poco, ma ho visto molto. Quelle poche ore, quei barlumi di tempo che ho consacrato alla scuola, non servirono a farmi apprendere nulla. Sono certo, anzi, che il maestro abbia appreso qualche cosa da me, poiché certamente, come tutti i ragazzi discoli, avrò fatto qualche cosa di inatteso, di diverso, che avrà sicuramente colpito la mentalità semplice del maestro elementare".
L'inatteso e il diverso consistevano nel fare arrabbiare i maestri e nel combinare ogni sorta di dispetti ai compagni, sicché venne il giorno in cui il direttore della "Vittorino da Feltre" mandò a chiamare la madre del ragazzo e le tenne un discorso che finiva così: - La miglior cosa che possiate fare, è di tenervelo a casa. Non ha voglia di studiare e non concluderà mai nulla. Qui non se ne può proprio più: tenetevelo a casa...
Tenerselo a casa: una parola! Ci provò, la povera donna; ma con scarso profitto. Il ragazzo non amava che la strada. La strada lo attraeva irresistibilmente. Il padre, dedito al proprio mestiere di fabbro e per natura apatico, indifferente a tutto quello che accadeva in casa, lasciava fare; e la madre, buona donna, avendo da tirar su, da sola, cinque figliuoli, e da pensare, per quanto poteva, alla loro educazione, non aveva davvero la forza da imporre un freno allo spirito irrequieto e vagabondo del ragazzo. Nemmeno legato, sarebbe riuscita a tenerlo in casa! Gli sgusciava di mano come un'anguilla, e via, con altri scavezzacolli della stessa risma, all'Orto Botanico, presso il Colosseo, ciberà il campo prediletto dei suoi divertimenti, e di dove tornava spesso, a sera, malconcio, pieno di graffi, con gli occhi pesti e gli abiti a brandelli: segno manifesto di singolari tenzoni, e non tutte vittoriose. Piaceva menar le mani, a Ettore, e quando si trovava davanti a offese o soprusi, giustizia voleva farsela da sé, costasse quello che costasse. Ma oltre a menar le mani, e forse più, gli piaceva esibirsi: nei modi più impensati e stravaganti. Per esempio, di Carnevale, portava via di casa degli indumenti femminili, degli stracci, e con questi si mascherava bizzarramente; e in ogni stagione provava una gioia immensa a dare spettacolo di sé per le vie di Roma. A dieci anni, sgattaiolava di casa con una sedia e, una volta sulla strada o in una piazza, saliva sopra quella mobile e improvvisata tribuna e cominciava a declamare tutto quello che gli veniva in mente, pur di raccogliere intorno un certo pubblico di curiosi. La finzione era la sua follia. Il teatro, che non conosceva ancora, lo seduceva inconsciamente e irresistibilmente. Questi furono i primi saggi di recitazione di Ettore Petrolini. Recitare! Gli pareva non ci fosse al mondo cosa più bella e più divertente. A undici anni - lo racconterà più tardi - se vedeva un funerale, immediatamente gli si accodava. Poi, piano piano s'intrufolava fino ad essere vicino ai parenti del morto, e assumeva un'aria afflitta, e fingeva di commuoversi fino alle lacrime, per farsi compatire dalla gente.
- Povero figlio! - Quanto mi fa pena... - Chi sarà! - Sarà un nipote... - No, dev'essere il figlio... - Ma non aveva figli. - Allora sarà il figlio del portiere di casa... - Non credo. Guardalo come piange... - Ma chi è! Sarà il figlio di sua sorella... - Sarà il figlio della serva... - Tu lo conosci? Ma di chi è figlio? - Sarà il figlio della colpa.
Tutte queste cose forse non le dicevano; ma Petrolini s'immaginava che le dicessero, e ne provava un gusto matto. E perché faceva tutto questo? Semplicissimo: per fare il teatro. Per fare il teatro il ragazzo ne pensava di ogni genere. Ora si fingeva, e riusciva a farsi credere, ammalato. Un'altra volta si infilava la giacca a rovescio, se n'andava presso l'Arco di Tito e lì cominciava a pronunciare parole disarticolate, incomprensibili, illudendosi d'essere scambiato per un forestiero. Oppure, si caricava sulle spalle un'enorme cassa vuota e se n'andava curvo e barcollante per la strada, col volto atteggiato a spasimo, in modo che i passanti lo compatissero e avessero aspre parole di biasimo per chi aveva messo sulle deboli spalle di un povero ragazzo un simile peso.
"Per finzione? Per pazzia? Per scemenza! - si domanda Petrolini. - Niente di tutto ciò. Vi ripeto: facevo il teatro. E il mio grande successo era quando riuscivo perfettamente a illudere la gente, facendo credere ciò che non era. Facevo la parte, studiavo, recitavo".
Ma in lui c'era, spiccatissimo, anche lo spirito d'avventura. A undici anni, un bel giorno, si mise un paio di scarpe nuove di zecca e scappò di casa. Rimase fuori, con due amici del Colosseo, quattro giorni e quattro notti. I tre vagabondi forse non avevano nemmeno una mèta. Raggiunsero i Castelli Romani, si spinsero fino ad una cittadina del Lazio, e poi, affamati, laceri, presero la ingloriosa strada del ritorno. Una sera la madre di Ettore, che aveva ricercato il figliolo per quattro giorni, disperatamente, in ogni dove, persino nei commissariati e negli ospedali, affacciatasi alla finestra, scorse, alla tremolante luce d'un lampione a gas, un ragazzo rannicchiato e immobile sopra un gradino della porta di casa. La poveretta discese in strada: sul gradino c'era proprio il figliolo, coi piedi scalzi e sanguinolenti. Dormiva. Lo prese sulle braccia e lo portò di sopra. Solo l'indomani apprese perché era tornato senza scarpe: le aveva donate ad uno dei suoi compagni di viaggio che stava peggio di lui, ed era tornato a Roma scalzo!
La mania di recitare
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