Orio Vergani, L'Idea Nazionale, Roma, 24 Luglio 1922.
Petrolini attore italiano
Passata in secondo piano innanzi all'avvento dei primi attori nati con un teatro ibrido, semirealista e semieterico, falso e viziato, il teatro di clinica e di società. Passata in secondo piano: quasi anzi scomparsa: o rifugiata in qualche raro elemento disperso, o affinato in casi unici, in interpreti-creatori, in qualche caso esclusivamente lirico e fatalmente lontano.
La grande tradizione torna sui nostri palcoscenici per merito di quegli attori che il pubblico considera solitamente per quelli che fanno ridere. Si è mantenuta ed è ritornata con Ferruccio Benini, il primo attore di cui ogni interpretazione, anche la più comica, fosse venata di tristezza: ha balenato, perdendosi a tratto nello strafare caotico, nell'arte di Giovanni Grasso: trionfa nella parte di Angelo Musco, (quello che fa ridere) attore tragico, d'una, tragicità esasperata e convulsa, d'una melanconia scorata e senza speranza; attore comico d'una veemenza e di una sottigliezza che solo un intuito nativo, prodigioso poteva, regolare col freno dell'arte. Si mostra finalmente, e si fa largo, e si afferma anche in quello che, quando debuttava, vent'anni fa, in un teatrucolo di Roma, aveva sotto il nome, nel cartello, scritto l'epiteto di Buffone.
Il grande accento del comico italiano, la sua mimica, il suo gesto, la sua intelligenza ritroviamo in questo buffone, in quest'uomo che è un grande artista: in Ettore Petrolini. Si è per tanti anni detto di lui che era un macchiettista volgare, il Re dei doppi sensi e delle scurrilità, un solleticatore di plebi. Bisogna ora - e per molti anni - dire che Petrolini è un autentico artista italiano.
Bisognerà incominciare col riconoscere che - volere o volare - Petrolini è uno dei pochi uomini, uno dei pochissimi artisti rappresentativi del nostro paese. La satira, l'ironia, la bonomia, quell'esaltarsi e quell'immediato tarparsi le ali che sono le caratteristiche della sua razza, di tutto il popolo romano, sono in lui sintetizzate. Da dieci anni, in Italia, si fa dello spirito alla Petrolini, si parla alla Petrolini, si ride e si fischia e si accentua alla Petrolini: e non solo dai giovani di barbiere e dai commessi viaggiatori. Egli è, coi suoi capelli ondulati, il suo naso aquilino, la sua bocca dalle labbra sottili, presente anche se invisibile in infiniti momenti della nostra vita: presente coi commenti, con l'ironia, con anche un poco di melanconia.
La sua comicità è tutta moderna: pare felice, ed è straziante: nasce da una grande melanconia e si direbbe dal disprezzo infinito di chi constata l'umiltà e l'abbiezione del nostro: Più stupido di così si muore potrebbe essere anche il motto della nostra vita, della nostra nuova civiltà sociale, arida e livellatrice, senza glorie e senza fedi, senza genio e senza impeti: il motto della nostra vita, della nostra nuova civiltà sociale, arida e livellatrice, senza glorie e senza fedi, senza genio e senza impeti: il motto della borghesia 1900-1920, a un secolo di distanza dalla grande rivoluzione, nel tempo dell'avvento della democrazia. La sua comicità è fatta di insulti, di vituperi, di maledizioni: torbida e disperata: che ride quasi come ride il piazzo: ride della propria immagine allo specchio: illuminata da una terribile e ossessionante girandola di spunti e di riflessioni ironiche, di balenii di tragedia ironizzata.
Ride. Da cosa è nato il riso di Petrolini? E' nato da un senso forse inconscio di vita disperata. E' nato da una sensibilità dolente e triste che non aveva trovato espressione se non pigliando in burla se stessa: una sensibilità dolce e triste che ora trova - e con quale voce, o con quale strazio, con quale scoramento - la propria voce, finalmente. Sembra un gioco di parole: ma la tragicità di Petrolini è figlia di sua figlia: della sua comicità. Più stupido di così si muore; e allora per la salvezza di quel dono d'arte, bisogna lasciar sfogo al dolore: che è sempre meno cattivo di una così cattiva gioia.
Ed ecco che Petrolini piange. Chi l'avrebbe detto! Piange la maschera che ha fatto sempre ridere: che era soltanto un volto contraffatto. Ed ecco, più chiara, nitida, assoluta, la rivelazione del grande attore italiano. Ecco una dopo l'altra le interpretazioni drammatiche: Il Garofano; Cento di questi giorni; Il Cortile; Il Notturno e Mustafà. Ecco, specialmente Mustafà, un tipo creato solo dal suo accento e dal suo gestire, una figura di abbiezione, di miseria, di viltà, segnata con una violenza di colore e una sfumatura di toni, una naturalezza, un segreto di semplicità tutta italiana. Non sono, credete, esagerazioni estive: Mustafà ha, nella interpretazione di Petrolini, l'evidenza, la verità e la tragica scena di certi scorci scespiriani.
Per questo Petrolini deve guardare molto più in là; non diciamo deve tentare, ma deve riuscire. Non osiamo noi fare nomi, indicare autori e lavori teatrali: ma basta ch'egli osi. In ogni lavoro dove ci sarà un carattere, uno spasimo, un dolore, un tormento, un dubbio, dove ci sarà dello spasimo e dell'angoscia autentica, dove ci sarà una figura e un pensiero di tristezza, di disinganno, di allucinazione, di povertà, di umiltà: ci sarà anche una parte per lui.
Da creare. Una parte dove essere poeta col poeta.
1922-Orio Vergani
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