G. Antonio Borgese, Nazionalismo, in La vita e il libro, pp. 322-327, Torino, 1911
In un volume di cose letterarie ho voluto anche raccogliere questi scritti d'occasione, i quali, salvo il primo, non hanno in apparenza che relazioni accessorie con problemi puramente letterarii: non già perché io me ne esageri l'importanza, ma perché, chiarita la mia posizione rispetto al nazionalismo, possa evitare quando che sia di riprendere ab oro la discussione.
E evidente, per esempio, che la mia opposizione al nazionalismo non ha motivi pacifisti o demagogici e che non è l'ideale di un'Italia grande e potente ciò che del nazionalismo io respingo. Non intendo i modi che la nuova tendenza consiglia pel raggiungimento di quell'ideale: e in questo dubbio il Convegno di Firenze non ha potuto che confermarmi.
Fu il Congresso delle sospensive: sospensiva tra protezionismo e liberismo, sospensiva tra riformismo e antiriformismo, sospensiva tra irredentismo e triplicismo. Sarà lecita, dunque, anche la sospensiva fra nazionalismo e antinazionalismo: quella che, in goffi termini parlamentari, si chiama benevola attesa o benevola diffidenza. Dal Convegno è nata un'Associazione nazionalista, con un comitato direttivo e parecchi gruppi regionali. È possibile che nelle nuove organizzazioni si studino problemi concreti e se ne propongano soluzioni precise: in questo caso sarò il primo a compiacermi di una nuova energia politica, della quale in Italia è anche troppo vivamente sentito il bisogno. È intanto buon segno, piccolo ma non trascurabile, che i nazionalisti abbiano contribuito a divulgare le realistiche e coraggiose osservazioni che il Bevione raccolse nel suo viaggio d'Argentina.
Insomma, il nazionalismo potrà vivere a patto che divenga un partito, cioè che si collochi nettamente di fronte alla questione clericale, alla questione proletaria, alla questione meridionale e via discorrendo. Non solo la natura, anche la storia rifugge dal vuoto; e il desiderio di un'Italia grande e potente, di una coscienza nazionale, di un sentimento di dignità è moltissimo per un'ispirazione lirica, è pochissimo, quasi nulla, per un'azione politica. Restando così com'è, il nazionalismo non avrebbe altro valore che quello di un indice e di un sintomo: indice di un nuovo stato d'animo della borghesia italiana, che essendo più ricca, è anche meno avversa alle navi e ai cannoni e potrebbe anche decidersi, senza paura di crisi interne all'occupazione di Tripoli; sintomo della rovina dei vecchi partiti e dell'insuccesso pratico dei nuovi (Sindacalismo, democrazia cristiana) e, per conseguenza, della fatale necessità che sorgano nuove cose al posto delle vecchie e consunte.
Ma gl'indici e i sintomi sono sterili e transitorii. Come potrà, dunque, nascere a vera vita il nazionalismo? Concretando il suo programma, si risponde ed anche io rispondo. Se non che, quando questo programma fosse concreto e preciso in materia economica, in materia ecclesiastica e così via, susciterebbe immediatamente forti opposizioni per via degli interessi che da quel programma si sentissero lesi. Orbene, il nazionalismo può oggi chiamarsi così come si chiama, perché a buon diritto può chiamare nemici o tepidi amici della nazione quelli che ne desiderano la mortificazione e non la grandezza. Ma, quando avesse per base un programma preciso, non potrebbe vietare ai suoi nemici di ragionare come segue: voi desiderate grande la patria, e credete indispensabile per la sua grandezza quella tal soluzione del problema doganale e del problema meridionale.
E, inevitabilmente, i nomi dei nuovi partiti sarebbero desunti non dall'amor della nazione che è la base comune, ma dalle soluzioni specifiche.
Si dirà che ritorno alla misera questione del nome. Ci ritorno per mostrare che non è poi così misera come si crede. La scelta del nome, in Italia, è un segno d'imprecisione: di quell'imprecisione che è, ad un tempo, la ragione d'essere del nazionalismo e il germe, in certo senso, della sua rovina. Per vivere, esso dovrebbe precisarsi: precisandosi, si rinnegherebbe, diventando propriamente un partito e contrapponendosi ad altre parti della nazione. È un circolo vizioso nel quale esso, da quando è nato, nervosamente si aggira. Sente il bisogno di realizzarsi. Fonda i suoi giornali. Reagisce contro le critiche mie e del Prezzolini, confessando d'altro canto questo bisogno di realtà. Organizza un Convegno. Non raggiunge lo scopo.
L'inimicizia sorgerebbe da dissensi su problemi speciali, mentre resterebbe la concordia sulla volontà di una patria più grande.
Concretarsi significherebbe dunque limitarsi e rinunziare al nazionalismo per un altro ismo che nessuno può oggi prevedere.
Ovvero, il nazionalismo additerebbe i nemici occulti o palesi della nazione. Se questi nemici fossero gli ebrei o le organizzazioni internazionali, avremmo un nazionalismo alla francese, che i nazionalisti italiani non vogliono. Se fossero i clericali, nazionalismo diverrebbe sinonimo di anticlericalismo.
Se fossero i proletarii, avremmo una nuova sfumatura di liberalismo patriottico e borghese. Se fossero i democratici in genere ricadremmo nella solita confusione, poiché son molti che imprecano contro la democrazia, ma non so quanti siano che sappiano suggerire qualcosa di diverso. Ovvero il nazionalismo potrebb'essere espansionista o bellicoso sul serio: chiedere cioè quella tal conquista o quella tale guerra. Così si avrebbe il contrasto, si avrebbe la vita.
Ciò non è. E il nazionalismo resta per, ora quel che dicevamo: un indice, un sintomo. Ma si chiede, ed alcuni amici nazionalisti mi chiedono: non è importante un indice da cui risulta che le elassi dirigenti italiane divengono più energiche e non si vergognano di provvedere alla difesa e all'avvenire della patria? notando l'importanza di quest'indice, essendo insomma nazionalisti, non si contribuisce a questo rinvigorimento, non si collabora, anche in minima parte, ad evitare che si ricada nell'antica miseria morale? e non è, anch'esso, importante il sintomo dell'insufficienza dei vecchi partiti? e i nazionalisti, riconoscendo il vuoto delle vecchie formule, non preparano, sia pure confusamente, un nuovo orientamento delle traviate forze politiche italiane?
Sia lontana questa unanimità. Ma, anche in tempo di quiete, anche nelle pagine che precedono non s'è mai discusso sulla necessità d'esser forti né sull'ideale di una grande patria. S'è discusso sui mezzi più opportuni e più serii. E questo volevo che risultasse ben chiaro.
20 febbraio 1911.
Sospensiva
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