(Nel 1933 emigra in America Giuseppe Antonio Borgese, che aveva scritto molto cattivamente su Marinetti e sul Futurismo (vedi https://www.garganoverde.it/brani/la-vita-e-il-libro/gli-allegri-poeti-di-milano.html). Aveva ragione.
Contrariamente alle critiche lanciate e a quelle prevedibili, la rivoluzione cucinaria futurista, illustrata in questo volume, si propone lo scopo alto, nobile ed utile a tutti di modificare radicalmente l’alimentazione della nostra razza, fortificandola, dinamizzandola e spiritualizzandola con nuovissime vivande in cui l’esperienza, l’intelligenza e la fantasia sostituiscano economicamente la quantità, la banalità, la ripetizione e il costo.
Questa nostra cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità, sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa: essa invece vuole finalmente creare un’armonia tra il palato degli uomini e la loro vita di oggi e di domani. Salvo le eccezioni decantate e leggendarie, gli uomini si sono nutriti finora come le formiche, i topi, i gatti e i buoi.
Nasce con noi futuristi la prima cucina umana, cioè l’arte di alimentarsi.Come tutte le arti, essa esclude il plagio ed esige l’originalità creativa. Non a caso questa opera viene pubblicata nella crisi economica mondiale di cui appare imprecisabile lo sviluppo, ma precisabile il pericoloso pànico deprimente. A questo pànico noi opponiamo una cucina futurista, cioè : l’ottimismo a tavola.
Un pranzo che evitò un suicidio
L’11 Maggio 1930 il poeta Marinetti partiva per il Lago Trasimeno in automobile, obbedendo a questo preoccupante, strambo e misterioso telegramma:
“Carissimo poiché Essa partì definitivamente sono preso da angoscia torturante Stop tristezza immensa vietami sopravvivere Stop supplicoti venire subito prima che arrivi quella che le rassomiglia troppo ma non abbastanza.Giulio
.
Lungo silenzio.
“Volete sapere il perchè? Ve lo dico: Lei, tu la conosci. Marinetti! Lei si è uccisa tre giorni fa a New York. Certamente mi chiama. Ora, per una coincidenza strana, interviene un fatto nuovo e significativo. Ho ricevuto ieri questo dispaccio ... è dell’altra che le rassomiglia ... troppo ... ma non abbastanza. Vi dirò un’altra volta il suo nome e chi è. Il dispaccio mi annuncia il suo imminente arrivo … “.
Lungo silenzio.
Poi Giulio fu preso da un tremito convulso irrefrenabile: “non voglio, non debbo tradire la morta. Quindi mi suiciderò questa notte!”.
- “a meno che?” - gridò Prampolini.
- “a meno che?” - ripetè Fillìa.
“A meno che? - concluse Marinetti - a meno che tu ci conduca immediatamente nelle tue ricche e fornite cucine”.
Fra i cuochi esterrefatti e dittatorialmente esautorati, i fuochi accesi, Enrico Prampolini urlò: - occorrono alle nostre mani geniali cento sacelli dei seguenti ingredienti indispensabili: farina di castagne, farina di grano, farina di mandorle, farina di segala, farina di grano turco, polvere di cacao, pepe rosso, zucchero e uova. Dieci giarre di olio, miele e latte. Un quintale di datteri e di banane”.
“Sarai servito in questa notte stessa, ordinò Giulio”.
Subito i servi incominciarono a trasportare dei grandi pesanti sacchi che scaricando piramidali mucchi gialli, bianchi, neri, rossi trasformavano le cucine in fantastici laboratori dove le casseruole enormi rovesciate a terra si mutavano in piedestalli grandiosi predisposti per una statuaria imprevedibile.
“Al lavoro - disse Marinetti - o aeropittori e aeroscultori. Le mie aeropoesie ventileranno i vostri cervelli come eliche frullanti”.
Fillìa improvvisò un aerocomplesso plastico di farina di castagne, uova, latte, cacao dove piani atmosferi notturni erano intersecati da piani di grigiori d’alba con spirali di vento espressi mediante tubature di pasta frolla.
“Non avvicinatevi - gridò a Marinetti e a Fillìa - non odoratela. Allontanatevi. Avete delle cattive bocche voraci. Me la mangereste tutta, senza fiato”.
Ripresero il lavoro deliziosamente pungolati dai lunghi raggi elastici di un’aurora, cirri rossi, trilli d’uccelli e scricchiolii d’acque legnose di cui scoppiava in brilli dorati la laccatura verde. Atmosfera inebriante prodiga di forme colori con piani di luci taglienti e levigatissime rotondità di splendori che il ronzìo di un aeroplano altissimo torniva melodiosamente. Mani inspirate. Nari aperte per dirigere l’unghia e il dente.
Alle sette nasceva dal maggior forno della cucina la passione delle bionde, alto complesso plastico di pasta sfogliata scolpita a piani degradanti di piramide ognuno dei quali aveva una lieve curva speciale di bocca ventre o fianchi, un suo modo di fluttuare sensualissimo, un sorriso suo di labbra. In alto un cilindro di pasta di grano turco girante su perno, che velocizzandosi scapigliava in tutta la camera una massa enorme di zucchero filato d’oro.
Ideato da Marinetti, realizzato sotto la sua dettatura da Giulio Onesti, improvvisatosi scultore- cuoco, angosciatissimo e tremante, il complesso plastico fu da lui stesso piantato su una gigantesca casseruola di rame rovesciata. Gareggiò subito tanto con la forza dei raggi solari da inebriarne il plasmatore che infantilmente baciò con la lingua la sua opera.
Vennero sformati da Prampolini e Fillìa: una snella velocità slanciatissimo “lazo” di pasta frolla, sintesi di tutte le automobili affamate di curve lontane e una leggerezza di volo che offriva alle bocche guardanti 29 argentee caviglie di donna miste di mozzi di ruote e d’ali d’eliche tutte formate con soffice pasta lievitata.
Con bocche d’antropofagi simpatici, Giulio Onesti, Marinetti, Prampolini e Fillìa si ristoravano lo stomaco di quando in quando con un saporito rottame di statua. Nel silenzio del pomeriggio il lavoro divenne muscolarmente accelerato. Masse saporite da trasportare. Il torrente del tempo fuggiva loro sotto i piedi in bilico sui ciottoli levigati e tremanti del pensiero.
In una pausa, Giulio Onesti disse: “se la Nuova giunge col crepuscolo o con la notte, le offriremo un’aurora artistica mangiabile veramente inaspettata. Non lavoriamo però per lei. La sua bocca, per quanto ideale, sarà quella di una qualsiasi convitata”.
Giulio Onesti però manifestava un’inquietudine che non rispondeva alla serenità futurista del suo cervello. Temeva la sopraveniente. Quella bocca imminente preoccupava anche i tre futuristi al lavoro. L’intuivano e l’assaporavano fra i profumi di vaniglia, di biscotti, di rose viole e gaggie che nel parco e nella cucina la brezza primaverile, ebbra di scolpire anch’essa, rimescolava.
Nuovo silenzio.
Bruscamente un complesso plastico di cioccolata e torrone, rappresentante le forme della nostalgia e del passato precipitò giù con fragore e inzaccherando tutto di liquide tenebre vischiose.
Con calma riprendere la materia. Crocifiggerla sotto chiodi acuti di volontà. Nervi. Passione. Gioia delle labbra. Tutto il cielo nelle nari. Schioccar della lingua. Trattenere il respiro per non guastare un sapore cesellato.
Alle sei del pomeriggio svilupparsi in alto di dolci dune di carne e sabbia verso due grandi occhi di smeraldo in cui si addensava già la notte. Il capolavoro. Aveva per titolo le curve del mondo e i loro segreti. Marinetti, Prampolini e Fillìa, collaborando, vi avevano inoculato il magnetismo soave delle donne più belle e delle più belle Afriche sognate
La sua architettura obliqua di curve molli inseguentisi in cielo nascondeva la grazia di tutti i piedini femminili in una folta e zuccherina orologeria verde di palme di oasi che meccanicamente ingranavano i loro ciuffi a ruota dentata. Più sotto si sentiva la garrula felicità dei ruscelli paradisiaci. Era un mangiabile complesso plastico a motore, perfetto.
Prampolini disse: “vedrete che lui vincerà lei”.
Squillò medianicamente il campanello in fondo al parco.
***
Sovrumana in realtà splendeva nell’angolo opposto, sotto undici globi elettrici, la Mostra dei 22 complessi plastici mangiabili. Fra tutti, quello intitolato le curve del mondo e i loro segreti turbava. Come munti da tanto aerodinamismo lirico-plastico, giacevano stanchissimi Marinetti, Prampolini e Fillìa sopra un ampio tappeto di piume danese che per la sofficità madreperlacea nella luce elettrica pareva viaggiasse, nuvola investita da proiettore nella notte.
“Non mi giudicate una sciocca - mormorò con grazia languida - sono intontita. Il vostro ingegno mi spaventa. Vi supplico di spiegarmi le ragioni, le intenzioni, i pensieri che vi hanno dominati mentre scolpivate tanti deliziosi odori sapori colori o forme”.
A lei, che cautamente e sculturalmente scavava al proprio corpo, nei cuscini le pellicce e i tappeti, una nicchia-tana per belva raffinata, Marinetti, Prampolini e Fillìa parlarono alternandosi come tre stantuffi ben oliati della medesima macchina.
Bocconi ai loro piedi, e la faccia rivolta al centro della Terra, Giulio Onesti sognava o ascoltava. Dissero: - “Amiamo le donne. Spesso ci siamo torturati con mille baci golosi nell’ansia di mangiarne una. Nude ci sembrarono sempre tragicamente vestite. Il loro cuore, se stretto dal supremo godimento d’amore, ci parve l’ideale frutto da mordere masticare suggere. Tutte le forme della fame che caratterizzano l’amore ci guidaromo.
Il fascino, la grazia infantile, l’ingenuità, l’alba, il pudore, il furente gorgo del sesso, la pioggia di tutte le smanie e di tutte le svenevolezze, i pruriti e le ribellioni contro l’antichissima schiavitù, l’unica e tutte hanno trovato qui, mediante le nostre mani, un’espressione artistica tanto intensa da esigere non sol tanto gli occhi e relativa ammirazione, non soltanto il tatto e relative carezze, ma i denti, la lingua, lo stomaco, l’intestino ugualmente innamorati.
“Per carità - sospirò sorridendo - moderate la vostra selvaggeria”.
“Nessuno vi mangerà per ora - disse Prampolini - a meno che il magrissimo Fillìa … “.
Soggiunse Marinetti: “in questo catalogo della Mostra di scultura mangiabile, Lei potrà leggere questa notte gli originali pettegolezzi erotici-sentimentali che suscitarono negli artisti certi sapori e certe forme apparentemente incomprensibili. Arte leggera aviatoria. Arte temporanea. Arte mangiabile”.
L’eterno femminino fuggente imprigionato nello stomaco. La spasimante superacuta tensione delle più frenetiche lussurie finalmente appagate. Ci giudicate selvaggi, altri ci credono complicatissimi e civilizzatissimi. Siamo gl’istintivi nuovi elementi della grande Macchina futura lirica plastica architettonica, tutta leggi nuove, tutta direttive nuove.
Una lunga pausa di silenzio fulminò di sonno Marinetti, Prampolini e Fillìa. La donna li contemplò per alcuni minuti, poi abbandonò il capo all’indietro e si addormentò anch’essa. Il fievole sciacquìo delle respirazioni cariche di desideri, d’immagini e di slanci, s’intonava con lo sciacquìo chioccolante e tinnente del canneto nel Lago strofinato dalla brezza notturna.
Cento mosconi viola-azzurri davano un assalto artistico impazzito agli alti globi elettrici, incandescenze da scolpire ad ogni costo e al più presto anch’esse.
Ad un tratto, con la schiena sospettosa di un ladro, Giulio girando appena la testa a destra e a sinistra, si convinse che scultori e scultrice di vita dormivano profondamente. Scattò in piedi agilmente, senza far rumore, percorse con lo sguardo circolare la grande sua sala d’armi e deciso si avviò verso l’alto complesso plastico, le curve del mondo e i loro segreti. Inginocchiatosi davanti, ne iniziò l’amorosa adorazione con le labbra, la lingua e i denti. Frugando e rovesciando il bel palmeto zuccherino, come una tigre allungata, morse e mangiò un soave piedino pattinatore di nuvole. Alle tre di quella notte, con un tremendo torcersi di reni, addentò il folto cuore dei cuori del piacere. Scultori e scultrice dormivano. All’alba mangiò le sfere mammellari d’ogni latte materno. Quando la sua lingua sfiorò le lunghe ciglia che difendevano i grandi gioielli dello sguardo, le nuvole addensatesi velocemente sul Lago partorirono un precipitante fulmine arancione a lunghe gambe verdi che schiantò il canneto a pochi metri dalla sala d’armi.
Seguì la pioggia delle lagrime vane.
Senza fine.
S’intensificava così il sonno degli scultori e della scultrice di vita.
Forse per rinfrescarsi, a capo scoperto, Giulio uscì allora nel parco tutto invaso dalle sussultanti tubature dei rumori del tuono. Era insieme sgombro, liberato, vuoto e colmo. Godente e goduto. Possessore e posseduto.
Unico e totale.
** Da palazzoricci.it Enrico Prampolini (Modena 1894 - Roma 1956)
Rivela precocemente un forte spirito polemico, nel 1913, viene espulso dall’Accademia di Belle Arti di Roma, a cui si era iscritto l’anno precedente, per aver pubblicato un manifesto antiaccademico. Subito dopo inizia a frequentare lo studio di Balla e aderisce al Futurismo.
La sua ricerca è estremamente sperimentale. Egli si distingue, sin dalla prima mostra a cui partecipa, quella alla Galleria Sprovieri di Roma del 1914, per una forte attenzione alla composizione, che vira verso l’astrazione, e alla materia, che entra nel quadro, ad esempio attraverso il collage, creando dei rapporti con gli elementi stessi della composizione.
Negli anni bellici porta avanti un’analisi dei rapporti tra musica, movimento e forma, come aveva espresso nel manifesto Cromofonia del 1913.
Nel periodo tra le due guerre assume una posizione originale in seno al Futurismo, declinando la sua ricerca in relazione alle avanguardie artistiche con cui entra in rapporto, e svolgendo anche un’intensa attività di divulgazione dei maggiori movimenti europei attraverso le riviste.
Nel 1917 conosce Picasso, giunto a Roma al seguito dei Balletti Russi, mentre il 1919 è la volta del Bauhaus.
Nel 1923 rimaneggia e pubblica il Manifesto dell’Arte Meccanica scritto da Pannaggi e Paladini.
Nel 1925, dopo un gran numero di personali in Europa e negli Stati Uniti è chiamato come commissario alla Biennale di Venezia, poco dopo è premiato a Parigi all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative.
Dal 1925 al 1937 soggiorna a Parigi ed entra in contatto con il Surrealismo reinterpretandolo in un’ottica “biomorfica” che combina forme naturali e non figurative.
Nel 1929 firma il Manifesto dell’Aeropittura intesa in senso lirico.
Nel 1933 si cimenta con la pittura murale alla Triennale di Milano.
Sempre a Parigi, negli anni Trenta, conosce Mondrian e collabora con il gruppo Abstraction-Création.
Negli anni bellici propone uno stile eclettico in cui confluiscono gli interessi per il razionalismo geometrico degli anni Venti, combinati agli esiti figurativi del Picasso post-cubista, visibili nel ciclo delle Cassandre e dei soggetti mitologici.
Nel 1945 è tra i fondatori dell’Art Club, un’organizzazione volta alla promozione di un’arte contemporanea indipendente, in Italia e nel mondo. Sceglie definitivamente la via dell’astrazione, sulla scorta delle avanguardie russe e olandesi dei decenni precedenti. È vicino al gruppo romano Forma 1, anche se non vi aderisce. Nella produzione di questi anni sono riscontrabili anche tendenze informali.
Negli anni Cinquanta è tra le personalità artistiche più influenti nel panorama italiano, instancabile divulgatore, promotore di eventi, artista di rilievo, dal 1955 anche professore di Scenografia a Brera.
Muore nel 1956.