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Giuseppe Antonio Borgese, Goliath La marcia del Fascismo, Verona, Arnoldo Mondadori Editore, 1949

Sandro Botticelli, Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata
Sandro Botticelli, Dante Alighieri, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata
Non esiste una razza italiana. Sangui diversi si mescolano nel popolo addensato fra le catene delle Alpi e le coste del mare africano. Anche il concetto geografico d'Italia è relativamente recente. Tuttavia esiste una nazione italiana; cioè una comunità con una lingua letteraria comune e un insieme comune di atteggiamenti psicologici e di convinzioni spirituali. Del resto l'unica valida definizione di nazione è questa: un agglomerato umano vincolato da una stessa educazione e abbastanza numeroso da dare origine a una volontà comune.
La nazione italiana ebbe origine, come tutte le altre nazioni europee, verso la fine del Medio Evo; ma nacque in modo diverso. L'Italia non fu fatta da re o capitani; essa fu la creatura di un poeta: Dante. Gli stranieri che identificano l'Italia con Dante hanno in sostanza ragione. Il suo temperamento e la sua opera ebbero una influenza decisiva, aumentata col passare dei secoli, finché divenne essenziale nelle classi dirigenti del popolo italiano. Non è un'esagerazione dire che egli fu per il popolo italiano quello che Mosè fu per Israele.
La sua biografia, com'è spesso accaduto ai fondatori di religioni e di nazioni, è nettamente spartita in due dal fallimento della carriera naturale e dall'inizio delle peregrinazioni. Dante fu cacciato in esilio nel 12, quando aveva trentasette anni; e fu la sua Egira.
Andrea Pierini, Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello, 1850, dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D'Arte Moderna, Firenze
Andrea Pierini, Dante legge la Divina Commedia alla corte di Guido Novello, 1850, dipinto a olio, Palazzo Pitti-Galleria D'Arte Moderna, Firenze
La sua prima giovinezza era stata, nel complesso, mediocre. Apparteneva a gente nobile senza denari, con scarso sangue azzurro e probabilmente priva di terre. Morendo, i genitori avevano abbandonato questa debole fronda nel violento ambiente di Firenze medievale. Anche di salute era malfermo, e d'aspetto poco attraente. Non erano mancate voci calunniose sul suo conto; era accusato, per lo meno da "amici" spiritosi, di scorrettezze in questioni di danaro e di mancanza di coraggio personale nei confronti di coloro che insultavano l'onor suo e della sua famiglia.
Andrea del Castagno, Dante Alighieri, ne Ciclo degli uomini e donne illustri, affresco, tra il 1448 e il 1451, Galleria degli Uffizi, Firenze
Andrea del Castagno, Dante Alighieri, ne Ciclo degli uomini e donne illustri, affresco, tra il 1448 e il 1451, Galleria degli Uffizi, Firenze
All'età di nove anni s'era innamorato, fuor di regola e forse patologicamente, di una fanciulla press'a poco della sua età di nome Bice o Beatrice. Ma è ragionevole dubitare che ella si accorgesse mai della fiamma che aveva acceso nell'animo del ragazzo. In seguito, sposò un banchiere di Firenze, e benché morta giovanissima, sembra che fosse una creatura normale, non senza gaiezza e un tocco di civetteria e di crudeltà femminile.
Alla morte di Beatrice, Dante compose un libriccino in memoria, intitolato la Vita nuova, dove sollevò la donna della sua fantasia, della quale non aveva sfiorato le dita, così alta in Paradiso da venire seconda soltanto alla Vergine; e lo chiuse con la promessa di celebrare la stessa donna in un'opera maggiore, anzi di vivere e di morire soltanto nella luce della sua gloria. Fu tuttavia dopo quella mistica evasione dalle delusioni della giovinezza che egli ebbe le sole esperienze di vita reale di tutta resistenza.
Negli anni dal 1295 al 1301 entrò nella vita politica della sua città; fu più volte chiamato a tener pubblici uffici e a partecipare ad ambascerie; ebbe anche famiglia con moglie e figli.
Ma d'un tratto quella breve oasi nel deserto della sua vita svanì. Egli s'era gettato all'attività politica, in apparenza la meno adatta fra tutte all'autore della Vita nuova, con la stessa veemenza fantastica e la stessa assenza di realismo con le quali s'era lanciato nel vuoto della sua avventura d'amore. Dante fraintese il tempo suo, ne mancò le occasioni e non riusci a penetrare il futuro.
Il più antico ritratto documentato di Dante Alighieri conosciuto, Palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai, Firenze. Databile intorno al 1336-1337, l'affresco è di scuola giottesca ed è il ritratto iconografico del poeta più vicino a quello ricostruito nel 2007.
Il più antico ritratto documentato di Dante Alighieri conosciuto, Palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai, Firenze. Databile intorno al 1336-1337, l'affresco è di scuola giottesca ed è il ritratto iconografico del poeta più vicino a quello ricostruito nel 2007.
Sulla via del ritomo da un'ambasceria a Roma, fermatosi in Toscana, si ritrovò da un giorno all'altro proscritto, condannato durante la sua assenza dai fiorentini dapprima ad una grossa ammenda e ad altre pene, e, poche settimane dopo, ad essere bruciato vivo se fosse caduto nelle loro mani.
La moglie non ne condivise l'esilio.
Disfatta e rovina erano ormai chiaramente il destino di tutta la sua vita. Non salvò neppure l'onore, poiché l'accusa pubblica era di baratteria: imputazione che, quand'anche calunniosa, molti potevano ritenere attendibile per via delle sue difficoltà finanziarie e della fama che gli "amici" gli avevano fatto nelle loro satire.
Quel crollo era il frutto di un temperamento nel quale emozioni e fantasia erano tanto tese quanto debole pareva la sua resistenza organica. Nel suo romanzo d'amore c'erano sospiri, tremori e svenimenti senza fine, ed anche fuor della passione amorosa sembrava facile preda della malinconia e della paura. Per quanto la storia ch'egli "divenne amico dell'uomo che lo aveva battuto" possa essere opera di un bugiardo, sarebbe stato impossibile inventarla se il nome di Dante giovane fosse stato circondato da quell'aura di coraggio e di sdegno che fu poi chiamata dantesca. Ad ogni modo, l'inclinazione e disposizione del suo spirito era conformista; egli aveva fatto sua senza difficoltà la condotta suggerita dalla tradizione e dalla legge; e se la sua vita politica si era rivolta in un insuccesso, questo non rappresentava la sanzione ad una trasgressione rivoluzionaria, ma, al contrario, la conseguenza di un errato conservatorismo, che lo aveva fatto zelatore della sovranità fiorentina e oppositore d'ogni mutamento in
Monumento a Dante in Piazza Santa Croce a Firenze (1865)
Monumento a Dante in Piazza Santa Croce a Firenze (1865)
politica interna ed estera.
Se, da un lato, la sua semplicità era morbida e la sua intelligenza ristretta dinanzi alla tentazione di un pensiero ribelle e inventivo, dall'altro il fondamentale equilibrio della personalità di Dante riposa nella sua propensione per le proporzioni assolute dell'intelligenza e della bellezza, nel suo amore per la simmetria e l'unità; in altre parole, nel suo genio di classico costruttore. Ora che si trovava privato di quanto aveva posseduto nei cinque o sei anni di vita reale, si trovò spinto, se voleva sfuggire alla rovina totale, a sprofondarsi in se stesso e ad aggrapparsi alla sostanza immateriale del suo genio.
Nessun esule moderno può misurare lo strazio dell'esiliato medievale. La città del Medio Evo, sonora e crudele come un alveare, aveva sviluppato nel breve gioco delle sue azioni e passioni un sistema di autosufficienza psichica, che s'avvicinava alla completezza di un istinto animale. L'alveare, con tutta la sua crudeltà, è il solo modo di vita offerto all'ape; così era la società medievale, rappresentata dal comune italiano, rispetto ai suoi figli. L'espulsione era una maledizione, l'esilio un'agonia.
Nei primi anni dell'esilio, Dante nutrì ancora qualche speranza di riconquistare la madrepatria, sia per mutamenti di fortuna o per forza delle anni. Poi, anche quella speranza svanì, e Dante fu solo con l'opera sua.
Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, dipinto a olio, 1872, Chicago Art Institute
Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, dipinto a olio, 1872, Chicago Art Institute
Egli s'era rifatto della perdita di Beatrice costruendo il reliquiario de La vita nuova, una cattedrale per gioco, trasportando la morta fanciulla nel fulgore del suo paradiso personale. Ora che al crollo sentimentale s'accoppiava la disgrazia politica e sociale, altri personaggi sorsero in un altro settore della sua fantasia, come un opposto polo negativo: gli empi fiorentini e i cattivi papi. Ricordò la promessa della chiusa de La vita nuova, e mise mano a un più vasto edificio, il più vasto possibile: un Paradiso per il suo amore, un Inferno per i suoi nemici, un Purgatorio per se stesso, dal quale, dopo aver lottato e vinto, spiccava finalmente il volo.
Ma i fragili materiali con i quali aveva creato La vita nuova non potevano servire al disegno di quest'altra impresa. I primi sette canti dell'Inferno, nonostante qualche preludio ad una musica assai più potente, erano ancora pieni di morbide risonanze, di smarrimenti e lacrime e timori e disperata compassione. Sembra lecito ritenere ch'egli interruppe l'opera e la riprese solo dopo una lunga pausa, quand'era un uomo ormai diverso, compiuto, Quant'era rimasto degli elementi giovanili, morbidità e debolezza, era pareggiato ora da un'aggiunta di furore, odio, orgoglio, vendetta: tutti motivi che il lettore de La vita nuova non si sarebbe atteso dallo stesso uomo. Così completato, Dante divenne un eroe e poté creare un mondo.Mondo di perfezione e di unità.
Luca Signorelli, Dante, affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle Storie degli ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto
Luca Signorelli, Dante, affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle Storie degli ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto
Quanto non conviene al disegno è respinto lontano. Ciò vale per la Divina Commedia come per le altre opere filosofiche, estetiche, politiche, che sostengono la Commedia come contrafforti esterni.
L'ispirazione di Dante è simmetria. Nell'armonia delle parti, congiunta con l'assolutezza e l'eternità dell'insieme, egli trova la vendetta alla miseria e dispersione della sua esistenza particolare.
Si può interpretare la potenza ora acquistata da Dante come il risultato di uno sforzo volontaristico contro le inclinazioni naturali dello spirito. Ma più esattamente è un ritorno alla vera e profonda natura nascosta del suo spirito: come se avesse rotto il ghiaccio dell'infanzia e della giovinezza repressa, e avesse visto gonfiarsi all'improvviso il torrente della sua forza creatrice. Se avesse seguito senza freni l'impulso della sua violenza innata o acquisita, sarebbe diventato un eretico o un ribelle, un nemico dichiarato di tutte le istituzioni stabilite, dello Stato e della Chiesa. Se fosse stato un vero uomo d'azione, la sua vera vocazione sarebbe stata quella di fondare una nuova setta e una libera comunità, o di unirsi, ad esempio, ai Fratelli Apostolici e al loro capo, Fra Dolcino, che predicava e praticava nell'Italia settentrionale un comunismo evangelico integrale, molto più rivoluzionario di tutte le altre sette rivoluzionarie che si susseguirono nei secoli successivi.
Raffaello Sanzio, Disputa del Sacramento, dettaglio raffigurante Dante, 1509-1510 ca. Stanza della Segnatura, Palazzo Pontificio, Vaticano. Raffaello inserisce Dante tra teologi e dottori della Chiesa, in quanto il poeta fiorentino era ritenuto filosofo e teologo di chiara fama per le opere da lui lasciate in materia religiosa.
Raffaello Sanzio, Disputa del Sacramento, dettaglio raffigurante Dante, 1509-1510 ca. Stanza della Segnatura, Palazzo Pontificio, Vaticano. Raffaello inserisce Dante tra teologi e dottori della Chiesa, in quanto il poeta fiorentino era ritenuto filosofo e teologo di chiara fama per le opere da lui lasciate in materia religiosa.
Ma Dante non s'unì a costoro. Egli preparò invece per Fra Dolcino una assai incomoda dimora al centro del suo Inferno fantastico, dove lo spirito del magnanimo frate avrebbe dovuto dirigersi dopo bruciate le carni sul rogo di Vercelli. Quanto a lui, Dante, egli non fu bruciato né dai fiorentini, né dal Papa. Come dichiara compiaciuto in altra occasione, egli usò sempre del corpo che gli era stato dato senza pericolo; e morì a Ravenna nel suo letto, con la benedizione della religione dei suoi padri e fra le lacrime dei figli e dei signori che lo ospitavano.
Non era effetto di ipocrisia o di timore. L'ortodossia e il conformismo, quei due primi compagni del suo io intellettuale, lo accompagnarono nell'esilio ed egli mai li abbandonò; soltanto essi divennero un richiamo diverso e più profondo. Era ormai privato di tutto, non poteva abbandonare la sola speranza di salvezza che gli restasse, che era il suo genio per la simmetria, la compattezza della sua vita ulteriore. Se avesse abbracciato l'eresia di Fra Dolcino o di qualunque altro riformatore, si sarebbe frantumato di dentro. Eresia, scisma, significano letteralmente separazione e a Dante era invece necessaria l'unità, l'umanità.In un luogo dell'Inferno
La tomba di Dante a Ravenna, realizzata da Camillo Morigia
La tomba di Dante a Ravenna, realizzata da Camillo Morigia
egli creò il più sorprendente e moderno dei miti, il mito di Ulisse vecchio che per puro amore dell'avventura intellettuale, per fame di conoscenza, strappa il consenso dei suoi pochi compagni anziani e stanchi al disperato viaggio verso l'ignoto. Battendo i remi essi forzano le colonne d'Ercole, la terribile porta proibita del mistero, e dopo cinque mesi di navigazione verso occidente sull'oceano deserto annegano tutti sotto un'onda sorta da una nuova terra inattesamente veduta: benedetti, nonostante le fiamme dell'Inferno, nell'eterno ricordo della loro benemerenza spirituale.
Dante seppe creare quel mito, e seppe anche rappresentare una mezza dozzina di esseri infernali che sdegnano Cielo e Inferno pure frammezzo alle loro torture, e sollevano il capo, e agitano i pugni contro il creduto onnipotente; minacciando la piena validità dell'universo altrimenti riconosciuta. Ma egli non piegava a simili tentazioni; egli non intendeva vivere e morire a somiglianza del suo titanico Ulisse. La furia del suo incatenato Titano rimane come un basso gemito echeggiante nelle viscere della terra, non propriamente pericoloso. Dante può anche dimenticarsene, e non sentirsene scosso nell'aereo castello che costruisce a se stesso fra terra e cielo.
La stabilità di quel castello è adamantina, fondata com'è su quattro pilastri che pongono un limite assai più delle colonne d'Ercole. Uno dei pilastri è Amore; il secondo Ragione; il terzo Autorità; il quarto Fede.
La sintesi della personalità e dell'esperienza di Dante è una fuga insuperata per dirittura e risolutezza, dall'assoluto fallimento nella vita reale all'assoluto compimento nel sogno.

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