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Foto di Linda Sommariva a Madesimo
Foto di Linda Sommariva a Madesimo
Arricchisco questo testo del Borgese con foto di  Emilio Sommariva (1883-1956)
G. Antonio Borgese, Nazionalismo, in La vita e il libro, Vol. II, pp. 314-322, Torino, 1911
I nazionalisti italiani, che prendono a modelli d'energia i grandi popoli d'Europa, d'Asia e d'America e anche questa è una riprova dell'impossibilità nostra e loro di uscire da uno stato di minorità mentale - dovrebbero, quando parlano d'irredentismo, ricordarsi più spesso della Germania. Vi sono anche nazionalisti che con l'irredentismo non vogliono o non vorrebbero aver nulla in comune; e a questa minoranza più equilibrata e chiaroveggente l'analogia ch'io adduco potrà far comodo.
Ritratto di Bianca Cattaneo
Ritratto di Bianca Cattaneo
I tedeschi della Boemia, in contatto e in attrito con gli czechi, vivono in condizioni non dissimili da quelle in cui vivono i nostri connazionali dell'altra sponda in urto coi croati e cogli sloveni o i nostri connazionali del Trentino in lotta coi tedeschi. Talvolta vincono, più spesso soccombono; rinunciano amaramente a territorii che storicamente fan parte della grande Germania; si difendono con l'unghie e coi denti; subiscono, quando e dove non possono più reagire, gli oltraggi della prepotenza nazionalista, del terrore e del bastone.
V'è poi una terra, la cui storia somiglia stranamente alla storia della Dalmazia. Questa terra è la riva baltica, dal confine russo-prussiano fin circa al golfo di Finlandia. Le popolazioni indigene (Estoni, Lettoni, Livoni) ricevettero la civiltà da un'aristocrazia militare teutonica, come la gente indigena di Dalmazia divenne europea per virtù dell'aristocrazia mercantile e militare veneta che la colonizzò, senza riuscire nell'intento, che del resto non s'era mai proposto, di soppiantare la razza primitiva. Il Baltico orientale si colorò d'una patina tedesca, come l'Adriatico orientale fu coperto da una superficie italiana.
Con l'andare del tempo un terzo incomodo, che non apparteneva né alla razza della minoranza conquistatrice né a quella della maggioranza conquistata, s'interpose fra i due elementi, imponendo il suo dominio politico all'uno e all'altro: i russi sul Baltico, gli austriaci in Dalmazia.
Ritratto di Teresa Tallone
Ritratto di Teresa Tallone
Ma le affinità non si fermano qui. Il nuovo padrone si sforzò d'imporre anche la sua cultura e la sua lingua, oltre che le sue armi e le sue leggi, ai vinti.
I russi riuscirono, in quest'impresa, sul Baltico; gli austriaci fallirono in Dalmazia, e, riconosciuta l'impossibilità d'intedescarla preferirono di favorire gli slavi contro gl'italiani, perché erano e sono ancora meno pericolosi politicamente, non'avendo come porro unum del loro programma la disgregazione immediata dell'Impero, mentre gl'italiani - fatti potenti - chiederebbero inevitabilmente l'annessione al vicino Regno.
E qui si fermano le affinità. I tedeschi dell'impero non han mai creduto di dovere intervenire nelle faccende dell'Austria, anche quando i loro connazionali pativano umilianti percosse dagli slavi di Boemia, e non han mai chiesto che il loro governo mutasse rotta e s'intiepidisse l'alleanza col vicino Impero, anche quando il governo del vicino Impero favoriva gli Slavi ed abbandonava alla loro sorte i tedeschi.
Ritratto su commissione di Rossi Di Napoli
Ritratto su commissione di Rossi Di Napoli
Riga e Dorpat, per non dire che le due principali, avevano avuto, nello svolgimento della cultura tedesca, un'importanza certamente non minore di quella che Trento, Trieste, Sebenico, Zara abbiano avuta nello svolgimento della cultura italiana. Ciò non pertanto i tedeschi dell'Impero lasciarono che Riga fosse russificata, permisero che Dorpat fosse barbaramente ribattezzata in Iurjeff; assistettero, con dolore ma senza rivolta, alla distruzione di una gloriosa Università; e proseguirono nei loro rapporti d'intrinseca amicizia politica con la Russia. Dei tedeschi baltici alcuni si rassegnarono; altri emigrarono dignitosamente in Germania, e svolsero nella patria d'origine le loro energie, imponendosi dappertutto per la finezza dell'ingegno e per l'impeto del temperamento. Gli italiani, che leggeranno queste notizie, pronunzieranno l'aborrito nome del pangermanesimo, e non si rassegneranno a credere che i tedeschi pangermanisti abbiano mostrato tanto sangue freddo. Ma di pangermanismo in Italia non si sa nulla o peggio che nulla; e s'ignora, per esempio, che il pangermanismo politico è odiato e spregiato in Germania dalla enorme maggioranza delle persone serie; che il pangermanismo di cultura si guarda bene dall'impicciarsi di politica; che, finalmente, gli uomini politici in Germania sono tutti quanti pangermanisti nel fondo del cuore, ma rigidamente realisti e realisticamente transigenti nella parola e nell'azione.
Pinuccia Sommariva ritratta con il marito ed il figlio neonato
Pinuccia Sommariva ritratta con il marito ed il figlio neonato
Che i Tedeschi si siano comportati in questo modo verso i loro fratelli baltici, non significa che noi dobbiamo comportarci in egual modo verso i nostri fratelli adriatici. Ma significa questo: che il sentimento nazionale non coincide col sentimento irredentistico, e che non sempre l'organismo più forte è quello che reagisce con più acute grida all'amputazione di un dito. Si può essere irredentisti e deboli; si può essere fortissimi d'armi e di mente e invasi da una grandiosa fiamma di dignità e d'orgoglio, come sono i tedeschi, e frenar le lacrime e contenere lo sdegno quando una parte della patria ideale soggiace.
Chi parla in questo modo sa di non recitare il beau rôle. Sa che sarebbe stato facile intervenire al Convegno di Firenze e approvare il confusionario ordine del giorno in cui i congressisti si trovarono d'accordo, dopo i discorsi d'irredentismo sentimentale, d'irredentismo realistico e d'irredentismo bellicoso, guadagnandosi la simpatia degli irredenti, il plauso degli amici e la tranquillità della coscienza. Sa che non ci vuol molta finezza di perfidia per interpretare le sue parole come un segno di aridità di cuore e di debole sentimento patrio. E sa, finalmente, - ma non gliene importa - che non tutti vorranno capire che si può soffrire e tacere, amare e rinunziare.
Ritratto di Emilia Giliani
Ritratto di Emilia Giliani
Ad una rinunzia definitiva del Trentino e dell'altra sponda non v'è nessuno che pensi. Si tratta di vedere quali siano i modi della conquista. Vi sono intanto due deficienze negli italiani d'oggi: ignorano la geografia e la storia di quei paesi; non meditano sulle conseguenze di una guerra, e sia pur vittoriosa, contro l'Austria. Se si sapesse da tutti che le condizioni orografiche e idrografiche del nostro confine politico, storico e linguistico verso il nord-est e l'oriente sono tali che una precisa delimitazione delle razze non esiste, non esiste e non esisterà forse mai in quei paesi;
Ritratto dell'attrice Lyda Borrelli
Ritratto dell'attrice Lyda Borrelli
se sapessero- anche che la questione del Trentino implica in certo modo la questione del Süd-Tirol e che solo un popolo mercantile e marinaro come i Greci e Veneziani potrebbe occupare la costa orientale dell'Adriatico, disinteressandosi dell'hinterland; se sapessero, infine, che anche un'annessione ha il suo domani, come l'ha avuta in Germania l'annessione della Polonia e della Lorena, e come l'avrebbe per noi, ben più tristamente, l'annessione di qualche centinaio di migliaia di slavi; se gl'italiani sapessero tutte queste ed altre molte cose di simil genere, il problema dell'irredentismo sarebbe già risoluto. E sarebbe risoluto in questo senso: nessuna rinunzia ideale, nessuna velleità materiale, sforzi di ogni genere per mantenere la coltura nostra lassù, lavoro pertinace e instancabile per risollevare il valore della nostra coltura.
La composizione etnica dell'impero austro-ungarico.
La composizione etnica dell'impero austro-ungarico.
Giacché non è lecito dimenticare quanto segue: gl'Italiani furono sempre mischiati con gli Slavi in Istria, furono sempre una esigua minoranza in Dalmazia. Gli Slavi si lasciarono imporre la cultura e la lingua della minoranza, finché quella cultura fu od essi la credettero la più splendida del mondo. Si volsero contro gli Italiani, quando dai Tedeschi appresero che la cultura italiana era da circa due secoli una cultura di second'ordine.
Ritratto di Giulia Mazzocchi; fotografia eseguita su commissione del marito Arnaldo Risi, padre del regista Dino
Ritratto di Giulia Mazzocchi; fotografia eseguita su commissione del marito Arnaldo Risi, padre del regista Dino
Oggi come oggi la conquista sarebbe un pessimo affare; perché i popoli soggetti si lasciano assorbire solo da nazioni di spirito così potente che la loro grandezza sembri amabile anche a quelli ch'essa calpesta. Il problema dell'altra sponda è problema di cultura; intensa all'interno, estesa oltre i confini: che è poi la stessa cosa. Per ogni passo che noi faremo sulla via della civiltà, della saggezza, del dominio di noi stessi, dell'ordine morale e civile, senza ripensare al sogno perduto, il nostro sogno perduto farà un passo sulle nostre orme, non visto, per realizzarsi nel giorno della luce. Ma, se persevereremo come perseveriamo nei compromessi e nell'ignoranza e se alla vecchia vigliaccheria non sapremo reagire che con folli improntitudini e con lacrimevoli celebrazioni di primati, e se ad ogni passo ci volgeremo indietro piangendo Trento e Trieste, il nostro sogno precipiterà sempre più giù nell'ombra, come fece precipitare nell'ombra la sua Euridice il debole e impaziente Orfeo, a furia di guardarla e di chiamarla cantando.
Ritratto di Frati Cappuccini
Ritratto di Frati Cappuccini
Ma, quando saremo divenuti serii, ci accorgeremo della mostruosa assurdità nella quale per quaranta anni siam vissuti: gridar Trento e Trieste, senza muovere un dito per le sorti dell'italianità nei Grigioni, a Nizza, in Corsica. Questa madre Italia, che per alcuni figli è più tenera di Demetra, per altri è peggiore di una matrigna. Ferocissimi ad oriente, siamo vergognosamente obliosi ad occidente. Malgrado tante sottili spiegazioni, di questo assurdo non si dice oggi il perché.
Il perché è questo. In tre secoli di mortale decadenza, l'Italia ebbe solo un periodo di grandezza, con spunti di vigorosa originalità nazionale: quello che va all'incirca dalla rivoluzione francese al '48, e comprende il romanticismo, la riscossa, il mazzinianismo, il neo-guelfismo. L'unità fatta ci trovò esausti di forze e d'intelletto. E ricademmo, e ricominciammo a far le scimmie alla Francia.
Ritratto di Emilio Sommariva
Ritratto di Emilio Sommariva
La Francia, dopo il '70, organizzò il suo sentimento nazionale, per ragioni sue che non erano le nostre, verso la riconquista di due Provincie orientali, contro i Tedeschi. Anche noi, sviluppando sistematicamente i primi deboli germi d'irredentismo, organizzammo il nostro sentimento in egual modo, verso la conquista - che noi, con bizzarro arbitrio storico, chiamammo riconquista - di due Provincie orientali, contro i Tedeschi. E per non sbagliare, anche sulla riva adriatica c'illudemmo di aver da fare contro i Tedeschi, e solo in questi ultimi anni abbiamo scoperto che i nemici erano gli Slavi. E, circa in quel tempo, stretti dalla necessità, stringevamo alleanza con l'Austria. Mentre il sentimento nazionale, follemente modellato su un esempio straniero e contrario alla necessità reale, rendeva sterile e rovinosa l'alleanza. Ma questa patetica e mistica imitazione della Francia non ha nulla da vedere con un vero sentimento nazionale, e nemmeno dunque col nazionalismo, se le due cose, come a ogni costo si vuole, debbono coincidere.
Ritratto dell'attrice Lyda Borrelli
Ritratto dell'attrice Lyda Borrelli
E v'è un altro perché. La Francia ha assorbito Nizza del tutto, e sta per assorbire la Corsica. Ma la Francia è liberale e rivoluzionaria. L'Austria tedesca vorrebbe assorbire il Trentino, e l'Austria slava ha ingoiato la Dalmazia e sta masticando l'Istria. Ma l'Austria, slava o tedesca, è clericale. I capi-popolo di Nizza, di Bastia, di Bellinzona han poco o nulla da dire contro Berna e Parigi. I capi-popolo e la mercantile borghesia ebraico-cosmopolita di Trieste, furenti contro il governo feudale e pretesco di Vienna, sfruttano a loro beneficio la nostalgia di patria dei nostri veri fratelli. Irredentisti a destra, dunque, e menimpipisti a sinistra. Ma anche questo modo di considerare la politica estera non dovrebbe essere accetto al nazionalismo.
Ritratto delle sorelle Coppini
Ritratto delle sorelle Coppini
Forse vi sono altre ragioni nel prevalere dell'irredentismo austrofobo. Ma questo dovrebb'essere il compito dei nazionalisti: spiegarci queste ragioni e da irredentisti divenire austrofobi. Poi, se vinceremo, prenderemo ciò che ci spetta. Anche la Germania, nel '71, prese l'Alsazia; ma non aveva preparato la guerra piangendo e gridando: Strasburgo! È possibile (non dico probabile) che la buona politica italiana sia di nimicizia all'Austria. Ma questa possibilità non sarà degna di fede finché non sia stata eliminata la pregiudiziale trentina e triestina, che soffoca ogni nostra libertà di respiro e fa somigliare la politica del governo a un perpetuo tradimento e la politica del popolo a un'eterna crisi isterica.
È troppo noto alla gente di buona fede che né io né quelli che la pensano come me ci siamo tenuti lontani dal nuovo nazionalismo per pregiudizii pacifisti o democratici o per timidezza o per mancanza di cuore. Malgrado la buona volontà e le buone qualità di taluni, abbiamo subodorato un tanfo di retorica, di compromesso, di cattiva letteratura, d'ignoranza storica, geografica, economica, militare. L'irredentismo è proprio il ponte dell'asino del nazionalismo.
Ritratto di Ada Artioli
Ritratto di Ada Artioli
Mettere la questione sopra un'altra base sarebbe stata la miglior prova di una veridica intenzione di rinnovamento; accettare il vecchio piedistallo sentimentale della nazione, anche a parole smozzicate, anche dopo una frettolosa verniciatura di realismo, è la prova più sconsolante della mancanza di coraggio ideale in molti di questi uomini, che pur pretenderebbero tanto coraggio politico e militare dalla loro patria.
Ritratto dell'attrice Lyda Borrelli
Ritratto dell'attrice Lyda Borrelli
E veramente non si capisce di che temano. Cavour, che pure essi invocano, offre loro un esempio di prim'ordine: egli, che seppe freddamente rinunziare a due Provincie, perché sapeva che nessun sogno si realizza senza un sacrificio. Comprendo, io che credo di sentirlo quanto essi lo sentono, l'amore per i fratelli di Trento e di Trieste. Ma credo che i nostri fratelli di lassù aspettino da noi ben altro: aspettano che la grande patria si decida a non offrire altri pretesti al governo di Vienna perché questo neghi loro le scuole e la libertà e imbastisca odiosi processi politici; e aspettano sopratutto che la patria divenga grande davvero, e con le sue nuove opere di saggezza e di bellezza dia a quei suoi tigli un'arma ideale di resistenza contro le orde slave, che non varrebbero a dare, dopo la conquista, né dieci prefetti né centomila carabinieri. La situazione non è ancora disperata: non grava su Trento, Trieste e Zara, come grava su Riga e Dorpat, l'immediata vicinanza di una Pietroburgo.
Ma credo che non un solo trentino vero, non un solo triestino vero vorrebbe che la grande patria si riducesse alla stoltezza del contadino, che, avendo ficcato il dito nel collo di un fiasco e non potendo più trarnelo fuori, preferì tagliarsi il dito anzi che rompere il fiasco; o alla frenesia di colui che, preso per un braccio in un ingranaggio, preferisca buttarsi entro l'ingranaggio e perirvi anziché salvarsi abbandonando quel braccio alla necessità che glielo stritola.
15 dicembre 1910.

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