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Arricchisco questo testo del Borgese con foto di Emilio Sommariva (1883-1956).

Ritratto di Emilio Sommariva 1883-1956.
Ritratto effettuato da Emilio Sommariva 1883-1956.
G. Antonio Borgese, La crisi del libro, in La vita e il libro, pp. 377-386, Torino, 1911
Alcuni egregi romanzieri e novellieri d'Italia, incitati da Giulio Bechi, da Lucio d'Ambra e da Giustino L. Ferri, hanno ampiamente discusso sul giornale romano l'Alfiere intorno alla crisi del libro.
L'argomento non è nuovo; di troppa affluenza d'autori e di troppo scarsa avidità da parte dei lettori si lamentano gli editori italiani né più né meno che i tedeschi e i francesi, e contro l'avarizia del pubblico e degli editori brontolano gli autori in Germania e in Francia come in Italia.
Foto di Emilio Sommariva.
Foto di Emilio Sommariva.
L'industria del libro è in crisi un po' dappertutto, e suppongo sia stata più o meno in crisi in tutte le epoche, essendo la sua condizione di vita fra le più singolari che si possano immaginare. Poiché il libro non soddisfa nessun elementare bisogno fisiologico e nemmeno si può annoverare fra quei generi di lusso che la moda comanda, il consumo di carta stampata può oscillare fra limiti lontanissimi ed estremamente variabili. I rapporti che legano la richiesta alla offerta sono, in questo campo, assai più aleatorii ed infinitamente meno immediati che in qualunque altro; tanto più che, mentre una categoria di operai può facilmente volgersi ad un altro genere di produzione, se il genere fino allora prodotto non incontra il gusto del pubblico, è assurdo supporre che una generazione di romanzieri possa di punto in bianco cambiar mestiere, se gli acquirenti non affluiscono alla bottega.
Ritratto del musicista Giacomo Puccini.
Ritratto del musicista Giacomo Puccini.
A giudicar dalle apparenze, si direbbe che, per ciò che riguarda il libro, l'offerta determina direttamente la richiesta: quanto più numerosi sono gli editori, tanto più son numerosi gli alunni delle Muse; e, quanto più spesso si ripete la tentazione di una bella copertina e di un titolo saporoso, tanto più spesso capita che il passante le ceda. E qualche cosa di vero anche nelle apparenze più paradossali ci dev'essere.
Ritratto di Anna Bonomi Campanini.
Ritratto di Anna Bonomi Campanini.
Ma, naturalmente, non tutti i libri che si scrivono han la ventura di piacere a un editore e non tutte le copie di un libro che si stampa riescono a sedurre un passante. Ciò è banale e fatale, al tempo stesso: considerati nella grande massa, saran sempre gli autori ad aver bisogno degli editori e saran sempre gli autori e gli editori collegati ad aver bisogno del pubblico. Non potrà mai avvenire che l'industria editoriale soddisfi tutti gli autori che si credon degni d'essere rivelati né che il pubblico di un paese assorba tutte le copie di tutti i libri che l'industria editoriale di quel paese mette in commercio. La produzione del libro procede per via di faticosi esperimenti; ogni editore brancola finché abbia acchiappato un autore che per il suo genio o per la sua volgarità possa raggiungere le dieci o le centomila copie di tiratura; e, quando l'ha acchiappato, giova anche alla produzione dei mediocri; o, se non ha buon naso, si barcamena alla peggio fra l'oscurità e il fallimento.
Per ogni autore lanciato, quanta decente penuria in questi poveri auto-profeti del capolavoro futuro! per ogni editore milionario, quanti conti che non tornano!
Ritratto di Anna Bonomi Campanini.
Ritratto di Cesare Ludovici.
Gli editori falliti, i manoscritti inediti, le copie invendute: ecco i tre fattori che, sommati, costituiscono la perenne ed invincibile crisi del libro. Se ne può parlare senza falsi pudori, perché, se è vero che alla fin fine ciascuno ha quel che si merita, è anche vero che questa fine delle fini non giunge a una scadenza determinata. La gloria, come il Dio giustiziere del proverbio popolare, non paga il sabato; e potrebbe essere che, mentr'io scrivo, si maceri nella fame e nell'oscurità un artista a voi ed a me ignoto, ma che nei secoli futuri farà impallidire l'aureola di un Pascoli o di un D'Annunzio.
Ritratto di Gianna Biraghi.
Ritratto di Gianna Biraghi.
Ora non è presumibile che gli scrittori e le scrittrici dell'Alfiere ignorino questi mediocri luoghi comuni e che abbiano perso il lor tempo in un'inchiesta i cui risultati dovrebbero mirare a curare, sic et simipliciter la crisi del libro. Dev'esserci, in Italia, una crisi speciale, di questo paese e di questo momento: una crisi più grave, più pericolosa, più precisa nelle sue cause e nei suoi effetti, e perciò tale che si debba e si possa pensare a combatterla. Chi avrebbe osato parlare, in questo tono, di una crisi del libro, or sono dieci o vent'anni? Le ditte fallite, gli autori inediti, le copie invendute c'erano allora come ci son ora: ma quanti nomi di romanzieri e di poeti erano gloriosamente diffusi nella coscienza della nazione! Ricordo, come mi capita, senza distinguere i grandi dai mediocri. Carducci, D'Annunzio, Pascoli, Barrili (Nota 2) (Nota 3), De Amicis, Verga, Capuana, Matilde Serao, Mantegazza, Stecchetti, Fogazzaro.
Ritratto eseguito su commissione di Baggione.
Ritratto eseguito su commissione di Baggione.
E non son tutti. Certo nessuno di questi aveva ammucchiato il patrimonio di un Dumas o di un Hugo (non è colpa mia, se a proposito d'arte, debbo parlare il poco fiorito linguaggio d'un agente di borsa): ma sarebbe stolto lamentarsi che la Gazzetta di Radicofani non abbia la tiratura del Daily Mail e che i poeti bulgari non si ristampino con la frequenza di Shakspeare. In quell'epoca che va dal 1880 al 1905 o giù di li, dalla meteora sommarughiana all'egemonia di Treves, dall'avvento del naturalismo e del classicismo alla morte di Carducci, di De Amicis e di Barrili, un popolo come il nostro, non eccessivamente numeroso in paragone delle grandi masse umane che parlano inglese e tedesco o russo, povero di danaro, in gran parte analfabeta, sprovvisto di colonie, di domini, di fascino intellettuale sull'Europa colta, che da circa tre secoli stimava superfluo imparare la sua lingua, questo piccolo e gramo popolo fece per i suoi scrittori tutto quel che potè. Furono parecchi i romanzi che salirono oltre le ventimila copie, i libri di versi che giunsero alle quattro o alle cinquemila, gli scrittori che, con un po' di cattivo gusto, avrebbero potuto scolpire sulla loro villa le parole che Paolo Mantegazza scolpì sulla sua Serenella: la penna mi fece questi ozii. Se qualche romanziere avesse allora deplorato la crisi del libro, l'editore dei romanzieri alla moda avrebbe avuto buon giuoco rispondendogli: fammi un libro come questi; e dell'amara risposta appena sarebbe bastato a consolarlo il più mellifluo dei critici, facendogli osservare che non basta aver genio per aver fortuna e che ogni annuziatore di cose grandi deve salire il suo Calvario di fatica e di miseria.
Ritratto di Madò Wurm.
Ritratto di Madò Wurm.
Ma oggi né la brutalità dell'editore, né l'adulazione del critico basterebbero a risolvere la questione. Poiché è avvenuto questo singolarissimo fatto; che da una diecina d'anni la serie delle fortune letterarie s'è interrotta in Italia, Se s'eccettua un drammaturgo, Sem Benelli, venuto su con grande clamore negli ultimi due anni, si può dire che i più giovani tra i più famosi o che han varcato la cinquantina o stanno già per toccarla: Pascoli, D'Annunzio,
Roberto Bracco, Di Giacomo.
Ma questi erano già celebri quindici, venti, qualcuno anche trent'anni fa, e l'Italia non è il paese ove l'età della gloria coincida con l'età del laticlavio. Come si spiega dunque questo singolare fenomeno, in virtù del quale la strada maestra della letteratura italiana sembra sia andata a finire in un cortile senza uscita? (grassetto mio)
Ritratto eseguito su commissione Buffa.
Ritratto eseguito su commissione Buffa.
Di quelli che son venuti dopo si può dir male e si può anche dir bene: il critico che li legge (checché pensino gli autori che discutono la crisi del libro, non è ancora venuto alla luce del sole il critico che possa leggere tutti i diecimila volumi che ogni anno si stampano in Italia) molto spesso chiude l'opera con un gesto di scoramento, ma qualche volta dà pur fiato alla sua tromba per annunciare con tutto l'impeto di un accumulato entusiasmo che c'è ancora una strofa da mandare a memoria, che c'è ancora una pagina di prosa da leggere ad alta voce. Ma nemmeno quei quattro o cinque fra poeti e novellieri giovani, che son piaciuti ai critici più scrupolosi, son riusciti a raggiungere il successo; nessuno ha saputo divenir popolare in largo senso, assumere una figura nazionale, sovrastare alla sua opera, essere egli stesso, come personaggio e come simbolo, una creazione. Ad un volume di bei racconti è succeduto un precoce e interminabile crepuscolo; a una lirica affascinante una serie di uggiose ripetizioni.
Ritratto di Fanny Crespi.
Ritratto di Fanny Crespi.
Cosi è, o cosi sembra; certo è che, mentre per solito gli scrittori fortunati si stancano di scrivere prima assai che il coro dei lodatori si taccia, in Italia gli annunziatori dei “grandi giovani” si stancano in un par d'anni lasciando in asso la nuova gloria dianzi con tanto fervore preconizzata. Si capisce che la fortuna sia magra ed incostante e che il secondo volume di un giovane (giovani in questo disastroso significato sono ormai tutti in Italia quelli che non han raggiunto il quarantacinquesimo anno) non sia atteso come un avvenimento. Dite voi quale romanziere possa contare sulla centesima parte della curiosità che suscitò intorno a sé la Leila di Fogazzaro.
Ritratto di Giorgina Tosi.
Ritratto di Giorgina Tosi.
Si capisce che sia cosi, ma non si capisce perché.
Non mancano le grandi case editrici pronte ormai ad accogliere, pur di provare, anche gli oscuri; ed ogni anno vien fuori un paio di piccoli editori benigni, che la letteratura giovane, se non ci fosse, vorrebbero magari inventarla. Gli italiani del Regno sono oggi trentacinque milioni, con una percentuale di analfabeti che di giorno in giorno va calando, con un grado di benessere economico che di giorno in giorno va salendo.
L'interesse alla vita spirituale è indubbiamente più forte oggi che non fosse vent'anni fa. E i precedenti sono tutti in favore dei giovani autori, giacché, se venti o trent'anni or sono, dopo la sciagurata catalessi nella quale la nostra letteratura subito prima e dopo le guerre nazionali giacque disfatta, era molto difficile credere che un nuovo libro italiano potesse compensar la spesa dell'acquisto e il tempo della lettura, questa fede è divenuta più facile ora che gl'italiani hanno avuto in D'Annunzio il lirico più potente degli ultimi tempi e in Verga uno dei più formidabili romanzieri d'Europa. La nostra opinione delle cose italiane è fortunatamente cresciuta. Che più? La Francia, che sullo scorcio del secolo XIX invadeva il nostro mercato con libri di prim'ordine, lo invade ancora, ma con roba contro cui non dovrebb'essere difficile lottare. Altro è sostenere la concorrenza di un Maupassant, altro è sostenere la concorrenza di un Prévost.
Ritratto di Don Gaetano Pellegrini.
Ritratto di Don Gaetano Pellegrini.
E, ciò non pertanto, imperversa la crisi del libro. E gli autori ne cercano le cagioni. Chi parla di male arti degli editori - quasi che gli editori fossero mai stati altro da quel che sono e quasi che si potesse, con una qualche parvenza di giustizia, bollare d'uno stesso marchio tutta una categoria d'industriali, nella quale non mancano né i galantuomini né gl'idealisti; chi parte in guerra contro i dilettanti e i guastamestieri - come se fossero un portato dei nuovi tempi e come se l'arte fosse un mestiere e come se alla letteratura si dovesse arrivare per gerarchia professionale; chi giudica disastrosa la concorrenza del giornale - dimenticando che nessuna statistica ha dato finora ragione a chi pretendeva che la rivista dovesse soffocare il libro e che il giornale dovesse eliminare la rivista. E propongono anche rimedii, i quali vanno da una qualche organizzazione sindacale degli scrittori a una specie di protezionismo del romanzo d'appendice nostrano contro l' importazione straniera.
Ritratto di Argia Zanetti.
Ritratto di Argia Zanetti.
Questa, non so come possa realizzarsi; e, quanto all'associazione degli scrittori, ammiro con amaro entusiasmo l'ingenuità di chi non intende come il più gretto degli editori divenga un modello d'imparzialità e di buon gusto, se si paragona a una combriccola di letterati. Ma, se c'è qualche abuso da correggere, se c'è qualche onesto vantaggio da raggiungere, credo che nessuno scrittore voglia essere cosi schifiltoso da trarsi in disparte. Che facciano dunque alcune proposte precise perché sia possibile discuterne.
Ritratto di Valeria Branfmuir.
Ritratto di Valeria Branfmuir.
Ma la precisione non si ottiene senza un po' di coraggio. E a me sembra che gli scrittori e le scrittrici che finora hanno risposto all'inchiesta abbiano peccato di eccessivo pudore: i più mediocri per non umiliarsi; i più meritevoli (ci son pure) di fortuna maggiore per non umiliare i colleghi. E così si sono aggirati senza requie in questo circolo vizioso: il romanzo, la novella, la poesia italiana dei giovani sono eccellenti; e il pubblico non ne vuol sapere. Come mai quest'assurdo? Come mai quest'ingiustizia? E il quesito sembra insolubile, appunto perché si dà come dimostrata la prima asserzione: che la letteratura italiana d'oggi sia eccellente, mentre proprio questa asserzione avrebbe bisogno di più prove. Che il tale abbia stampato un buon romanzo e ne abbia venduto cento copie, può essere ed è; ma la mala sorte di un individuo si comprende, quando si voglia riconoscere che il pubblico, stanco per la generale nullità della produzione odierna, finisce per coinvolgere anche le rare eccezioni nella sua giusta indifferenza.
Ritratto effettuato su commissione Hangsted.
Ritratto effettuato su commissione Hangsted.
E, poiché i libri non son come le derrate, che s'han da comperare fresche, e di libri belli ce n'è sempre a dovizia, e quando non sono nostri sono stranieri, e quando non sono moderni sono antichi, il pubblico compra libri più di prima (i conti dei librai sono lì a dimostrarlo), ma, per leggere in ferrovia, compra le futilità francesi, che almeno son messe insieme con una tecnica sicura, e per nutrirsi lo spirito si volge alle questioni scientifiche, filosofiche e storiche. Il progredire degli studi e delle curiosità spirituali si deve in parte alla decadenza della letteratura amena, come la decadenza della letteratura amena si deve in parte a quel progresso di cultura, da cui i “puri artisti” italiani son rimasti fuori e in paragone del quale fanno la figura di gente arretrata o ignorante. Tutto ciò è amaro, ma son convinto che i migliori fra i nostri romanzieri e novellieri, presi uno per uno, mi darebbero ragione.
Ritratto di Flora De Lys.
Ritratto di Flora De Lys.
La stessa preoccupazione economica non è un segno di mediocre vitalità artistica? Anche qui, presi uno per uno, quelli che han partecipato all'inchiesta sono ingenui ottimisti; ma nell'insieme rivelano un doloroso scadimento dell'ideale letterario. Certo, non si vive di solo ideale; ma è anche troppo noto che quegli artisti, cui la povertà costringe a chieder tutto al loro lavoro spirituale, vissero sempre in condizioni tragiche: costretti a rinunziare all'autonomia e qualche volta alla dignità morale nelle Corti, ove avevano almeno la sicurezza del pane e la tranquillità dello sviluppo interiore; liberi, si, moralmente, ma costretti a un lavoro da forzati che o li corrompe o li uccide, nella società democratica che compra i capolavori a tonnellate e poi sofistica sul peso. Le poche eccezioni, quasi tutte del secolo XIX, quando insieme ai romanzieri milionarii fiìorirono del resto anche i poeti “morti di fame”, non mutano nulla alla regola. L'esercizio dell'arte e del pensiero è anch'esso una specie di santità, e, se può portare a un vescovado, può anche portare al martirio; e chi s'incammina per quella via sa che, novantanove su cento, non eviterà la miseria se non sottoponendosi a un surménage rovinoso.
Ritratto su commissione di Alfonsa Rusconi.
Ritratto su commissione di Alfonsa Rusconi.
Che fare dunque per salvare il libro italiano? Forse un rimedio radicale ci sarebbe: invocare una vergognosa legge protezionistica che equiparasse la letteratura ai formaggi e ai salami. E forse il secolo XX ci arriverà. Ma dai nostri autori vorremmo ben altro: vorremmo che, pur mentre meditano, come hanno ben ragione, sui modi onorevoli che si possono escogitare per salvaguardare i loro diritti economici, riflettessero anchie sulle presenti condizioni della letteratura italiana. Di tante battaglie di rinnovamento che si combatterono nel secolo XIX, di tanti romanticismi e naturalismi e verismi e simbolismi e classicismi, di tante rivolte e di tante discipline, non sarebbe rimasta altra eco che un puro quesito economico?
Ritratto del pittore Adolfo Magrini.
Ritratto del pittore Adolfo Magrini.
La letteratura italiana d'oggi è proprio cosi contenta di sé stessa da credere non le rimanga altro che percepire i suoi diritti in contanti? Non crede di doversi sottoporre a un esame di coscienza e ad una fanatica furia di rinnovamento? Ho troppa stima di parecchi fra gli scrittori che han dato il loro incitamento o il loro nome all'inchiesta per non essere persuaso che nel dubbio che mi tormenta si tormentino anch'essi.
Come la società nella quale intristisce, così anche la sua povera arte è corrosa dalle cure quotidiane.
Ritratto di Eugenio Minetti.
Ritratto di Eugenio Minetti.
Guardate quanti drammi e tragedie ogni anno, e quanto scarsa in paragone la messe di opere narrativa!
Pare un problema letterario e non è. Poiché basterebbe che un ministro facesse stanziare cinquantamila lire annue per darle ai migliori romanzieri, ed ecco che da ogni drammaturgo verrebbe fuori un romanziere.
Ma il suo romanzo di domani non varrebbe né più né meno che il suo dramma di ieri.
Giulio Bechi rispose nel n. 156 dell'Alfiere, distinguendo opportunamente la questione economica dalla questione artistica, e facendo agli autori di libri, per la tutela dei loro interessi, parecchie proposte pratiche, di cui talune mi sembrano molto degne di considerazione.

Hai mai visto gli ex voto di san Matteo? Conosci Giovanni Gelsomino?