La Repubblica, 02 novembre 1996
Dalla giustizia alla tv fino all'Ungheria, molti oggi sostengono il contrario di ieri
L'Italia dei “clowns”
di Sandro Viola

Da Epoca n. 0319 del 1956
Da Epoca n. 0319 del 1956
Il guaio dell'Italia è che gli italiani non hanno memoria. Ne avessero almeno un po', gran parte dei pagliacci che si esibiscono giornalmente sulla pubblica piazza si sarebbero già trovati un altro mestiere. I pagliacci, invece, si sentono al sicuro. Sanno di poter dire oggi una cosa e domani il suo contrario, senza che il pubblico, smemorato com'è, faccia una sola piega. Quanto alla tecnica della pagliacciata, è d'una semplicità assoluta. Il pagliaccio dice il contrario di quel che aveva detto qualche mese prima, attento solamente a dirlo con la stessa voce spiegata, l'identica sicumera con cui aveva parlato - asserendo tutt´altra cosa - in precedenza. E l'effetto è assicurato: mai che emerga, infatti, l'ombra d'una protesta.
Un anno fa, i pochissimi che s'azzardavano a esprimere una perplessità sull'invadenza e la logorrea dei magistrati, venivano subito seppelliti dalle rampogne dei pagliacci. Una minima riserva sui comportamenti dello stimabile Borelli o del rispettabile Davigo, la minima esortazione al rispetto delle regole (tutte le regole) dello Stato di diritto, bastava a scatenare la schiera dei clowns. Ma adesso sono loro, i clowns, a prendersela con Borrelli e Davigo.
Un paio d'anni fa qualcuno propose che le Procure si dotassero d'un ufficio stampa o portavoce, così da metter fine al malcostume delle dichiarazioni e proclami dei magistrati dinanzi ai microfoni delle tv. Subito i pagliacci insorsero: si voleva tappare la bocca, dissero, agli intrepidi moralizzatori del paese corrotto. Ma adesso sono i pagliacci che strillano sulla necessità di regolamentare i rapporti tra giudici e “media”.
Da Epoca n. 0319 del 1956
Da Epoca n. 0319 del 1956
Questo è il bello, anzi il brutto, Che tutto si può dire, su questa pubblica piazza, senza render conto di quel che s'era detto e fatto prima. Per anni, chi esprimeva una nausea per quelle ammorbanti discariche della parola che sono i talk show, veniva tacciato d'ipocondria. Adesso, a lanciare anatemi contro i talk show sono quelli che sino all'altro giorno vi accorrevano giulivi.
Davvero, quante pagliacciate. Alcuni criticavano da tempo immemorabile che i giornali si fossero messi a ricalcare la tv, dando al presentatore Santoro lo stesso rilievo (numero di pagine) dedicato alle grandi catastrofi naturali. Bisognava vederli, i pagliacci: tutti in difesa del presentatore, naturalmente, tutti a sgolarsi sull'inevitabile centralità della tv. Ma adesso il vento è girato: eccoli quindi strepitare contro la stampa scritta “che vive di tv”, eccoli ergersi contro il napoleonismo del presentatore di Battipaglia.
Da Epoca n. 0319 del 1956
Da Epoca n. 0319 del 1956
Due anni fa, qualcuno avvertiva che le cose si stavano mettendo male, che il tribalismo politico era arrivato al suo culmine, che l'asprezza, la violenza dello scontro tra le fazioni stava imbarbarendo il paese. Niente, nessuna risposta. Ma adesso i cantori della rissa sono diventati “buonisti”, hanno scoperto le “buone maniere”, di scontri non se ne parla neppure. E, certo, la cosa fa piacere: ma una spiegazione, due parole per far capire che cosa abbia portato a un capovolgimento tanto radicale e inatteso, questo non viene mai.
Come diceva Berlusconi, due anni fa, tentando di sorreggere il grottesco governo di cui era a capo? Diceva: “Questo governo rappresenta il voto degli italiani … “: e la battuta veniva accolta, a sinistra, da un crepitare di lazzi e insulti. Bene, cosa dice adesso Veltroni? Dice: ”Questo governo non può essere buttato giù, perché rappresenta il voto degli italiani … “. Neppure lo sforzo di cambiare una virgola, non un trasalimento all'idea che ad ascoltare potrebbe esserci qualcuno un po' meno smemorato degli altri. L'arteriosclerosi degli astanti è data per scontata. Del resto, chi tratta gli italiani da arteriosclerotici ha probabilmente ragione. Non lo fossero, gli italiani s'accorgerebbero in queste settimane di rievocazioni mentre si parla tanto - per esempio - del '56 in Ungheria, di due o tre casi d'incredibile spudoratezza. Due o tre persone che all'epoca erano tutt'uno, una mutanda sul sedere, con le posizioni più proterve del partito comunista e che adesso danno lezioni quotidiane di laicismo, tolleranza, rifiuto del settarismo. Mattina e sera, sui giornali e alla tv. In prima fila ai dibattiti sull'Ungheria. Anime belle, modelli dell'intelligenza problematica (anti-ideologica), cultori del dubbio. Loro, gli stalinisti.