Epoca, n. 473 del 25 ottobre 1959
Specchio dell’epoca
di Guido Piovene
Le diagnosi del tempo

Da Epoca n. 473 del 1959
Da Epoca n. 473 del 1959
Il tempo tira alle diagnosi. Sul neo-teppismo, per esempio; in un convegno tenutosi recentemente a Roma sono state finalmente dette molte cose sensate, affini a quelle sostenute in questa rubrica. Si è denunciato lo spirito che informa la nostra scuola; si è finito col riconoscere nell’azione dei giovani teppisti “una forma esorbitante, sbagliata nei metodi e nelle finalità, ma in fondo giustificata di reazione contro la corruzione, il conformismo, il deteriore economicismo che dominano il mondo degli anziani”.
Sul che siamo d’accordo. Purché, date queste premesse, se ne accettino le conseguenze, e quelle politiche in prime luogo.
Ora, nuove premesse. Sotto accusa, stavolta, la “ondata di sensualità morbosa” che, dopo essersi manifestata in altre Nazioni del nostro emisfero, starebbe invadendo l’Italia. Allarme negli ambienti religiosi, ed in modo speciale religioso-politici; apprensione anche in altri ambienti; richieste di strette di freno, di interventi legali. Attaccati, naturalmente, come causa del male, i soliti scrittori, giornalisti, registi, ecc.
Da Epoca n. 473 del 1959
Da Epoca n. 473 del 1959
A più alto livello, discussioni, diagnosi; per esempio una, premessa da un settimanale di Roma, tra uomini di primo piano come Moravia (romanziere), Servadio (psicologo), Battaglia (penalista), Monicelli (regista).
Ammetto che il fenomeno prende aspetti sgradevoli. Non sono troppo d’accordo con Alberto Moravia. Egli ritiene che la “ondata di sensualità morbosa” subito dopo l’altro dopoguerra (cioè dopo il 1913) sia stata maggiore di questa. Non credo; o almeno aveva un diverso carattere, molto meno pericoloso. Nella maggior parte dei casi l’impulso era vitalistico, la parola d’ordine “vivere di più” e “più intensamente”. Ne emanava un violento, anche se spesso grossolano e aberrante, amor vitae. Oggi esattamente l’opposto. Vi è un sottinteso di stanchezza, di liquidazione, di non amore per la vita: “giacché tutto è inutile”, “giacché sarà sempre così”, “giacché non c’è niente di meglio”, “giacché non vale la pena di credere in nulla”. Tanto è vero che ne sono immuni gli ambienti che credono in qualche cosa, per esempio la parte seria della gioventù (che anzi è rigorista).
Sono dunque pronto ad ammettere che la “ondata di sensualità morbosa” è uno dei tanti sintomi di un profondo dissesto, e che l’Italia non può esserne esente. Perché poi dovrebbe esserlo? Forse per la speciale altezza e qualità morale della classe politico-dirigente italiana?
Detto queste cose, vediamo con chi bisogna prendersela. Come sempre i censori, quelli che invocano gli interventi legali, si astengono accuratamente dal guardare le cause. Se così facessero, infatti, dovrebbero anzitutto incolpare se stessi, le loro teste senza luce, i metodi d’insegnamento che prediligono, gli interessi che patrocinano e lo stato di cose nel quale vivono incarnati. Guardano solo i sintomi (i sintomi di mali prodotti in gran parte da loro) ed innocentano se stessi chiedendo la repressione dei sintomi.
Da Epoca n. 473 del 1959: Aldo Moro
Da Epoca n. 473 del 1959: Aldo Moro
L’odio si scarica su qualche libro, su qualche spettacolo.
Io detesto la pornografia e anche la letteratura così detta sexy. Vorrei una civiltà che ne fosse libera e ne potesse fare a meno, per umanità, equilibrio, orgoglio della propria persona e dei propri scopi. Ma non direi che i censori mirino a questo. Osservo che tra i libri, le pubblicazioni in genere, gli spettacoli “sessuali”, essi fanno una selezione. La fanno, ma a rovescio. Si scagliano contro i libri nei quali l’argomento sessuale predomina, che però portano anche un carica d’intelligenza, di denuncia, di opposizione. Non è dunque la pornografia, né l’argomento eretico, che li inquieta, ma quell’in più d’intelligenza, di opposizione, di protesta. Non la pornografia: l’intelligenza è la vera nemica.
Da Epoca n. 473 del 1959
Da Epoca n. 473 del 1959
La pornografia vera, semplice, stupida, è presa ben raramente di mira. Lo si scopre, tra l’altro, in tanti filmetti minori, confezionati con un unico scopo, quello di stuzzicare le inclinazioni più volgari del pubblico. E’ la pornografia facile, ridanciana, digestiva, non associata a “problemi” di nessun genere, il sottobosco della trivialità commerciale, che rimbecillisce la gente e toglie il gusto e la voglia di pensare ad altro. La censura non la disturba. La “sessualità” è lecita purché sia interamente e accuratamente del più basso livello pratico. Si direbbe che, in questa forma, non dispiaccia affatto ai censori, ma che la stimano opportuna.
La prova? Che le prediche contro la “sensualità morbosa” si uniscono al proposito di sostenere tutto quello che la favorisce.
Il costante deprezzamento della cultura e dell’intelligenza, ad esempio. Lo scoraggiamento continuo, a cominciare dalla scuola, di ogni vero impegno spirituale e politico, nel senso del futuro e della speranza. L’ostilità per gli antidoti veri della sensualità eccessiva e morbosa, il senso critico, la passione politica, le prospettive vaste. Facciamo che la gioventù non abbia prospettive incerte, ristrette, meschine; poi si potrà parlare; si potrà giudicare ciò che è veramente morboso e chi è veramente morboso. Ma è un controsenso, ed un atto di malafede, fare i moralisti e difendere uno stato di cose nel quale si diffonde la sensazione deprimente che “ormai non v'è altro da fare”, che il nostro destino politico, sociale, intellettuale è la stagnazione o il regresso. E finitela anche di chiedere agli scrittori di idealizzare una fogna.
Che cosa vogliono instaurare i censori, e tutti quelli che li spronano? Forse un mondo più lucido, più libero, più ricco di alte ambizioni umane? Forse un’Italia più moderna, più cosciente, più colta? No, precisamente il contrario. Una vita priva d’idee, ristagnante, obbediente, ipocrita, perciò sporchicchia. Qualunque cosa noi pensiamo in materia, non richiediamo i loro uffici.
La difesa del niente
Un giornale romano mi ha chiesto, press’a poco, se ritengo che la distensione deva avere un effetto sulla nostra situazione interna.
Sì, e questa è una nuova occasione offertaci, dopo tante perdute. Un ufficio degli intellettuali, di tutti quelli che non amano la stupidità, è di fare il possibile perché quell’effetto vi sia e per opporsi a quanti fingono di accettare la distensione, in realtà si accaniscono a darle un senso restrittivo.
Un effetto della distensione è quello di allontanare la guerra e di farci uscire da un incubo. Sarebbe però triste se tutto si fermasse qui. Se non ne venisse anche un nuovo impulso a rivedere le idee, a rimuovere gli ostacoli all’intelligenza e ad adeguarsi al vero.
La distensione bene intesa non è fine a se stessa, ma è piuttosto un inizio. Nasce da un’ondata di fondo di tutti i popoli del mondo, e chi governa è costretto a prenderne atto. Perciò non chiude, bensì apre, è rivolta verso il futuro. Bisogna fare in modo che in questa svolta della storia l’Italia non si chiuda, come sempre è avvenuto, a difendere il niente, anzi la sua vocazione alla decadenza. Soltanto un movimento che investe il mondo intero può svecchiare questo Paese e, finito il ricatto della paura, portarvi una maggiore sincerità politica, apertura intellettuale, vera libertà nei voti. Proprio ciò che finora è scoraggiato e scarso.
Guido Piovene