Il terzo mezzo per diminuire o annullare addirittura le occasioni di dire di no, è l'osservanza inviolabile delle leggi.
Dopo il primo peccato degli uomini, Dio pronunciò la legge universale della morte, alla quale volle che fosse soggetto Adamo, e con lui tutto il genere umano; e nello stesso momento in cui fece la legge, la fece inviolabile. La legge della morte sembra inviolabile per la sua stessa natura; ma in quel tempo avrebbe potuto esser violata, perché mangiando Adamo e qualsiasi altro uomo il frutto dell'albero della vita, la morte sarebbe stata eliminata.
Che fece allora Dio? Ne forte sumat etiam de ligno vitae, et comedat, et vivat in aeternum (Nota 19): Perché non avvenga che Adamo, come ha violato la prima legge mangiando il frutto dell'albero della scienza, non violi anche la seconda mangiando il frutto dell'albero della vita, e divenga immortale: Collocavit ante paradisum Cherubini, et flammeum gladium ad custodiendum viam ligni vitae (Nota 20), pose alla porta del Paradiso un Cherubino con una spada di fuoco, perché senza eccezione impedisse a chiunque di entrare, e se qualcuno tentasse di esimersi dalla legge della morte, morisse immediatamente. Questo fu l'ordine tassativo che ricevette il Cherubino, e questo il rigore indispensabile della legge rispetto alla quale Dio volle che neppure suo Figlio godesse un trattamento di favore. Il privilegio e il potere e la spada del legislatore non devono servire a ferire le leggi, ma per ferire, ammazzare e bruciare chiunque intenda ferirle; per questo il Cherubino ebbe una spada, per questo quella spada era di fuoco.
Quale fu la conseguenza di questo rigore della legge, che non ammetteva eccezioni? Fu quella consapevolezza universale cantata da David: Quis est homo qui vivet et non videbit mortem? (Nota 21) Quale degli uomini viventi non vedrà la morte? E quando gli uomini furono consapevoli che la legge era inviolabile, sebbene la morte fosse la cosa più odiata e la vita la più amata, non ci fu mai nessuno che si arrischiasse a chiedere o che almeno lontanamente pensasse di poter essere esentato dalla morte, quantunque la morte fosse il male più odiato, e la vita il bene più amato. Si osservino dunque le leggi così severamente e inviolabilmente, che tutti si rendano conto che non possono esser dispensati. Così facendo dire di no alle leggi, i Principi eviteranno di dirlo essi stessi.
Ma siccome esistono alcuni Principi di così buon cuore o di così poco cuore, che non hanno il coraggio di dire neppure alla madre dei due Zebedei, neppure ai loro figli: Nescitis quid petatis, così i sudditi prendono forza per chiedere, le richieste vengono esaudite, e il no delle leggi ricade sopra loro. Ma appena si cominciano a fare delle eccezioni alle proibizioni, la legge non è più legge, non solo perché ciò che si concede a uno non si può negare agli altri, ma anche, e specialmente, perché ciò che si concede a uno che lo chiede, si deve concedere agli altri, anche se non lo chiedono.
Che il padre ancora in vita dia la parte di eredità che gli spetta al figlio, perché questi gliela chiede, è cosa sconveniente, ma passi; ma perché dà la sua parte anche all'altro figlio che non espresse un tale desiderio e non chiese una cosa simile? Perché non lascia che almeno questo aspetti la fine dei suoi giorni? È certo che il padre non agì prudentemente concedendo al figlio ciò che concesse e specialmente nel momento in cui lo concesse. Ma una volta data a lui la sua parte, agì coerentemente dando anche all'altro la sua; perché l'eccezione alla regola che si concede a uno perché la chiede, non si può negare all'altro anche se non la chiede: Uno petente ambobus mox divisit.
Io non nego che in materia di concedere a qualcuno e negare a qualche altro ci siano molte e diverse ragioni; ma la conseguenza del
'L'avete concesso a un altro, dunque non potete negarlo a me' è un argomento che si porta con la massima ragione ad appoggio delle richieste.Si persuada dunque il Principe che ciò che lui concede a uno perché lo chiede, deve concederlo anche agli altri, anche se non lo chiedono.
Si renda conto che le disposizioni e i privilegi non sono soltanto ferite della legge, ma ferite mortali, e che la legge morta non può dar vita a uno Stato. Consideri che le leggi sono le mura dello Stato e che se oggi si è aperta una breccia attraverso la quale possa passare un solo uomo, domani quella breccia sarà così larga che potrà passarci un esercito intero. Osservate le leggi politiche, le ordinanze militari, le disposizioni economiche, che, pur essendo nate per porre un rimedio, risultarono, a causa di tutte le eccezioni fatte, un vero e proprio discredito. E il Principe giusto giunga all'ultima e unica decisione di trattare le leggi come creature sue, sostenendole e mantenendole nel loro vigore senza violazioni e senza eccezioni; perché ciò che la legge nega a tutti senza far ingiuria a nessuno, una volta concesso a uno (anche se con tutta la ragione) non può essere negato a un altro senza offesa. Ed è quindi cosa migliore, più facile e più decorosa, che siano le stesse leggi a dire il no e a conservarsi intatte, piuttosto che il Principe a infrangerle, per non volerlo dire.