Ma come si possono evitare o eliminare queste occasioni, essendo tanti i pretendenti, tante le pretese, tanti i richiedenti, tante le richieste? Secondo me, agendo con destrezza e costanza, in modo che essi diventino sempre meno; e usando, per raggiungere questo fine, dei mezzi che ora indicherò e che ci vengono insegnati dal brano del Vangelo che esamineremo oggi.
Il primo mezzo è il negare alle persone più in vista o comunque più vicine al sovrano, legate a lui da vincoli di affetto e simpatia.
Dio aveva deciso di castigare il popolo d'Israele con quattro calamità o flagelli: fame, guerra, peste e belve feroci; e affinché fosse ben chiaro che per nessuna preghiera o intercessione sarebbe stata sospesa l'esecuzione di tale castigo, disse che se anche l'avessero pregato Noè, Giobbe e Daniele, non avrebbe loro dato ascolto. Il modo usato dal Profeta Ezechiele per esprimere questa minaccia è molto singolare. Egli usa queste parole: Se manderò fame, anche se intercederanno Noè, Giobbe e Daniele, i campi e le messi si seccheranno; se manderò guerra, anche se intercederanno Noè, Giobbe e Daniele, la spada distruggerà tutto; se manderò peste, anche se intercederanno Noè, Giobbe e Daniele, la morte consumerà ogni cosa; se manderò bestie feroci, anche se intercederanno Noè, Giobbe e Daniele, le bestie distruggeranno e devasteranno tutto.
Con ragione ho chiamato questo modo di esprimersi singolare, perché in tutta la Scrittura non se ne trova uno simile. Come mai Ezechiele lo usa, e Dio fa usare da Ezechiele questo modo di esprimersi pieno di tanto chiare e ripetute affermazioni tendenti a far capire che le preghiere di Noè, Giobbe e Daniele non riusciranno a far niente in favore del popolo ebraico? Perché in differenti secoli questi tre personaggi sono stati i più benvoluti da Dio; e perché il mezzo o esempio più efficace per persuadere e disingannare tutti coloro ai quali non debba venir concesso ciò che è stato richiesto, è negare alle stesse persone che godono prestigio presso il Re. Se Dio nega a Noè, a Giobbe, a Daniele ciò che essi chiedono, come potrebbe mai concederlo a me? Non voglio chiedere. Questo ci suggerisce il Testo preso in esame.
Perché i Re non imitano questo esempio del Re dei Re, si vedono tanto perseguitati da richieste, tanto tormentati da domande dalle quali non possono liberarsi, più costretti dalla conseguenza della loro debolezza che obbligati dalla ragionevolezza delle stesse richieste, dovendo e volendo dir di no a molti e non potendo farlo perché hanno concesso a pochi.
Si dica dunque un no a Giovanni e a Giacomo, anche se sono i prediletti, e come immediata conseguenza non solo si potrà dir no agli altri con assoluta e piena libertà, ma cesseranno addirittura le occasioni che renderebbero necessario il rifiuto.
Ascoltiamo ora che accadde a San Paolo e come Cristo lo trattò l'unica volta che Paolo Gli chiese qualcosa, lui che fu il Ministro che più di qualsiasi altro si dedicò al suo lavoro. Paolo chiese una volta a Cristo che lo esonerasse dal pagamento di una tassa che pagava su un piccolo fondo di terra ricevuto in eredità dai suoi genitori e a causa della quale non poteva sottrarsi dalle insistenze dell'esattore; e ripetendo per tre volte la sua preghiera: Propter quod ter Dominum rogavi (Nota 7), né la prima, né la seconda, né la terza volta il Signore pensò bene di esaudirlo: tutte le volte evitò di rispondere.
Ma come, proprio a Paolo (che, se non era il prediletto, non poteva essere neanche il secondo, poiché per lui Cristo era sceso dal cielo in terra per la seconda volta, lui Cristo assunse vivo in cielo per comunicarGli i Suoi segreti), proprio a Paolo il Signore nega una richiesta pur così giusta e così semplice, e non solo alla prima domanda, ma anche alla seconda e alla terza? Sì, perché i prediletti non si meraviglino dei rifiuti, perché i Principi non si sentano costretti e rattristati o non pensino di aggravare la loro situazione o mancare ai loro obblighi negando ciò che vien loro richiesto.
Paolo non era Ministro che servisse nel Palazzo Reale all'ombra dei tetti dorati, senza bagnarsi il piede nel mare né infrangerselo sui campi di battaglia, ma era un Ministro che, al servizio del suo Principe, peregrinava e correva incessantemente il mondo da levante a ponente, sempre con l'elsa della spada in mano in perpetue battaglie e conquiste, per mare e per terra, sopportando tali tempeste e naufragi, che una volta passò un giorno e una notte in mezzo alle onde: Die ac nocte in profundo maris fui (Nota 8). E con che faccia (ci si scusi l'espressione) o con che parole poté Cristo negare a un Ministro così bravo e importante ciò che questi Gli chiedeva? Lo stesso San Paolo ce le riferisce, e sono parole veramente degne di Colui che le disse: Et dixit mihi: sufficit tibi gratia mea (Nota 9). Paolo, ti nego ciò che mi chiedi, perché devi esserti sufficiente la mia grazia.
Ai prediletti e a coloro che godono l'affetto e la stima del Principe, deve essere sufficiente la ricompensa data da questo affetto, e tutte le altre possono venir loro negate senza esitazione. Dico senza esitazione, e potrei dire con riserva di toglier loro la fiducia, perché il Ministro che non si accontenta di avere la grazia del Principe e oltre quella grazia vuole altra mercede, non è soltanto indegno della mercede, ma anche della grazia. Ma ci sono molti che non sanno apprezzare nel giusto valore questa grazia, e per questo, offendendo la stessa grazia e il Principe, fanno della grazia scalmo per gli interessi. Questo è un disprezzare la grazia.
Ma sentiamo che dice S. Paolo della grazia che egli godeva presso Dio, perché forse potremmo trovare qualche nuovo elemento di discussione: Gratia Dei sum id quod sum (Nota 10). Devo alla grazia del mio Signore l'essere ciò che sono, tutto ciò che sono. E così devono dire e confessare anche coloro che, o per i loro meriti o per i nostri peccati, godono della grazia del loro Signore, perché il contrario sarebbe terribile e profonda ingratitudine.
Queste sono dunque le negazioni che i Principi hanno fatto e devono fare ai loro prediletti. Sono privazioni per mezzo delle quali non solo si aumenta il credito del Principe, ma anche quello di chi le riceve, perché ciò che può maggiormente accrescere il prestigio della persona importante e assai cara al Principe è il fatto che sia proprio quella intimità a fargli avere un rifiuto. Per questo i cortigiani con più nobile ed eroica etimologia si chiamano anche privati (Nota 12). E quando essi saranno contenti di esserlo, o il Principe farà che lo siano quand'anche essi non lo siano, le privazioni di questi privati renderanno più tollerabili le privazioni di quelli che privati non sono. E ammaestrati gli altri con questo esempio, né essi oseranno più chiedere ciò che a loro dovrà esser negato, ne il Principe sarà obbligato a negare, perché non riceverà più richieste e sarà così liberato per mezzo di questo suo modo di agire da molte moleste occasioni nelle quali contro il decoro e il desiderio della sua Maestà sarebbe obbligato a dire di no.